DICK, Philip K.
L’Ultimo dei capi (The last of masters)
in DICK, Philip K., Tutti i racconti (1954). Vol. 2
Roma Fanucci Editore (ed. 2016)
Fra un’ ora, ci saranno diecimila uomini pronti a combattere. Abbiamo aerei a reazione. Artiglieria pesante. Bombe. Proiettili batterici. Cos’è la Lega Anarchica? Una massa di gente con gli zaini
sulle spalle!
— Già — disse Bors. — Una massa di gente con gli zaini sulle spalle.
— Cosa possono fare? Come fanno a organizzarsi degli anarchici? Non hanno nessuna struttura, nessun controllo, nessuna autorità centrale.
— Hanno il mondo intero. Un miliardo di persone.
(P.K. Dick – The last of masters)
Philip Dick, genio visionario della fantascienza, considerato oltretutto uno dei migliori scrittori in assoluto della letteratura americana, attivo frequentatore dei circoli libertari di Berkeley, si chiedeva in una sua dichiarazione del 1980 a proposito del racconto che analizzeremo: “ La morale di questa storia è ambigua: dobbiamo avere un capo o possiamo fare da soli? La risposta, ovviamente, è la seconda, in linea di principio. Però certe volte c’è un abisso fra quello che è teoricamente giusto e quello che è fattibile.”[1]
Nei suoi racconti spesso la realtà e l’illusione si intersecano mettendo a nudo tutta la fragilità e le angosce del genere umano. Nel racconto “L’ultimo dei capi” del 1954, la capacità dell’autore di affrontare il tema della liberazione dall’oppressione non fa sconti a nessuno. Persino una rivoluzione, se cristallizzatasi può provocare spesso una legittima ribellione. Le parti possono invertirsi e ricomporsi in varie sfaccettature senza che si riesca a definire quale sia quella corretta. Forse lo sono tutte e forse nessuna.
In questo lungo racconto, ingiustamente annoverato fra quelli marginali, una epica rivoluzione anarchica, avvenuta duecento anni prima di una data non precisata, trionfa in tutto il pianeta e riesce a salvare l’umanità dalla minaccia di una guerra nucleare. Nel mondo i governi centrali sono messi al bando; la storia delle marce vittoriose in nome dell’anarchia viene svelata pian piano dai racconti e dai dialoghi dei protagonisti. Quella che emerge è una società anarchica ai limiti del primitivismo, dove ogni forma di tecnologia cosiddetta avanzata è messa al bando. Il compito di alcuni miliziani, facenti parte della Lega Anarchica, che girano il mondo a piedi o con mezzi di fortuna, è quello di scovare le società clandestine che sono riuscite a formare un governo centralizzato, anche se sparute ed isolate come quella costituitasi nella valle sperduta di Fairfax.
Il leader dell’ultimo governo ancora in vita, un ex robot governativo ormai sgangherato di nome Bors, il quale deve continuamente essere rianimato dai suoi assistenti, possiede una unica enorme capacità: quella di detenere nelle sue bobine sinaptiche tutto il “know-how” utile a ricostituire una società tecnologicamente avanzata. Per 200 anni questa sorta di governo statale è riuscito a sopravvivere isolato dal mondo finché la Lega non ha avuto notizie della sua esistenza. Così quattro membri di questa sorta di milizia itinerante cercano di scoprirne l’esistenza e di eliminarlo.
Da questi pochi elementi riusciamo a capire come, per paradosso, Dick ribalta la percezione plastica della rivoluzione libertaria. I membri di questa società “evoluta” vogliono solo poter continuare ad esistere e, quando si vedono scoperti e minacciati, mobilitano tutte le loro risorse tecnologiche e militari (composte da poche migliaia di persone tutte ben armate) per difendersi. Eppure anche in questo caso i limiti di una risposta basata esclusivamente sulla reazione militare sono insufficienti al cospetto di un pianeta che nella sua interezza sostiene ancora la Lega Anarchica che in definitiva ha salvato il mondo.
“Ci avete salvato la vita (…) Se non aveste abbattuto il governo, saremmo tutti morti in guerra. Perché dovremmo nascondervi qualcosa?” afferma una ragazza alla quale viene chiesto se sa qualcosa di un governo “guerrafondaio” ancora esistente.
Gli anarchici vinceranno, anche se i quattro membri della Lega saranno vittime di un agguato durante il quale due di loro vengono uccisi. L’enorme spiegamento di forze alla fine non sa contro chi deve combattere: “Come lemming che correvano al mare per affogarsi. Mille, diecimila, con le dita coperte di metallo, armati, all’erta. Carichi di bombe, di fucili, di lanciafiamme, di granate batteriche. C’era un piccolo neo: nessun esercito li aspettava. Era stato commesso un errore. Bisognava essere in due per fare una guerra, e solo una delle due parti si preparava a combattere.”
L’uccisione definitiva di Bors, inviso ai suoi stessi assistenti, manda tutto l’esercito di Faifax allo sbaraglio. Senza il loro leader e la loro guida , la società di guerrafondai si sfalda totalmente.
In definitiva, forse è possibile tracciare un parallelo fra questo racconto lungo di Dick ed il romanzo della Le Guin Quelli di Anarres. Anche in questo caso notiamo una critica alla possibilità di cristallizzazione del processo rivoluzionario, il quale può essere persino messo in discussione se non tollera margini di autonomia di una parte della sua società. Il finale lascia aperto il campo a nuove possibilità. Il governo sa che ormai questa società microscopica che fa della tecnologia militare la sua forza è destinata a scomparire, ma per quanto tempo ancora prime che se ne riformi un’altra simile?
“Per Dick”, scrive Aaron Barlow, dei Cultural Studies, già professore di inglese al New York City College of Technology, “le élite erano sia aliene che pericolose. Per lui, il fulcro della visione e del dibattito politico non si focalizza mai sui governanti ma sulla piccola persona, il negoziante, il meccanico, il lavoratore”. Nella sua analisi sul lavoro di Dick, Barlow ha confrontato diverse storie in cui gli esseri umani in una società governativa cedono una parte di libertà a un gruppo d’élite. Da queste storie, tra cui quella che abbiamo raccontato, Barlow ha tratto tre temi importanti che caratterizzano gli scritti anti-governativi di Dick: primo, che l’umanità è spesso condannata da istituzioni di potere create dagli stessi umani; secondo, che la paranoia è un aspetto naturale del governo: “Un’élite non può mai fidarsi completamente delle persone che governa” e questa sfiducia lascia un popolo governato in perpetuo pericolo; terzo, la convinzione che l’individualità debba essere sacrificata, sia per il bene della stabilità sociale o della sua sopravvivenza, è una minaccia costante.[2]
La Capacità di Philip Dick di ribaltare le strutture formali e cogliere l’essenza reale dello spirito libertario crea un paradosso solo apparente e ciò che salta agli occhi del lettore in questo caso è il messaggio di liberazione da ogni governo elitario. Anche se Bors muore, le sue bobine sinaptiche no… I tempi possono ancora cambiare?
Flavio Figliuolo
NOTE
[1] DICK, Philip K., Tutti i racconti, vol.2, FSBook ed. 1987, Appendice: note ai racconti.
[2] BARLOW, Aaron. “How Much Does Chaos Scare You?: Politics, Religion, and Philosophy in the Fiction of Philip K. Dick, Morrisville, NC. United State, 2005.