Ad un mese dalle elezioni nel Regno Unito, proviamo a tirarne fuori alcuni insegnamenti.
L’attenzione degli organi di informazione si è concentrata sul successo inaspettato del Partito Conservatore, che ha ottenuto la maggioranza dei seggi alla Camera dei Comuni, e sul successo del Partito Nazionalista Scozzese, che ha conquistato 56 seggi sui 59 situati a nord del Vallo di Adriano, che segna il confine tra Inghilterra e Scozia. A queste si contrappongono le sconfitte del Partito Laburista, che ha perso 26 seggi rispetto alle precedenti politiche, e dell’UKIP, il Partito Indipendentista di estrema destra.
Una prima osservazione riguarda la vittoria dei conservatori, che non è così completa come sembra. Non c’è stata nessuna affluenza popolare a sostegno dei conservatori di Cameron: non solo la sua quota di voti è piccola, il 10 per cento in meno della precedente alleanza conservatori-liberali del 2010, ma ha vinto con una delle più basse quote di voti nella storia moderna della Gran Bretagna.
Il partito conservatore ha conquistato 24 seggi in più con solo lo 0,8% di crescita della sua quota di voti, mentre il partito laburista ha perso 26 seggi, nonostante abbia guadagnato l’1,5%dei voti.
Il primo ministro Cameron ha letto questo risultato come un mandato popolare a “finish the job”, portare a termine il lavoro. Niente di più falso! Lo stesso nazionalismo scozzese non è senza una base sociale. Già il referendum dell’anno scorso ha rivelato un nocciolo duro dell’indipendentismo scozzese fra gli operai delle più grandi città, stanchi dell’austerità; la nuova leader del partito nazionale scozzese, Nicola Sturgeon, si è impegnata in una massiccia campagna anti-austerità, diventando la stella nascente di queste elezioni. E’ stata l’unica a portare avanti una chiara campagna antiausterità nelle elezioni del 2015.
L’incapacità del partito laburista di mobilitare i propri elettori sugli stessi temi è costata a questo partito quaranta dei quarantuno seggi che aveva conquistato in Scozia alle precedenti elezioni. Nonostante al sud del confine abbia guadagnato 15 seggi, la sua performance rimane largamente al di sotto della maggioranza parlamentare. Anche la crescita del partito antieuropeista e antimmigrati UKIP, passato dal 3 al 13% dei voti, testimonia l’esistenza di un malessere per la situazione economica diffuso anche al di fuori della classe operaia e dei lavoratori dipendenti, malessere a cui questo partito di destra dà risposte ataviche ed identitarie.
Queste sono le meraviglie della democrazia britannica: una classe dominante abituata a decenni di potere, è smaliziata nell’uso di sistemi legali per rendere inutili il ricorso alle urne. Anche se la maggioranza degli elettori è contraria alle politiche di austerità, il primo ministro assume l’incarico affermando che terminerà il lavoro! Da una parte il sistema uninominale, attraverso la formazione dei collegi, permette di sopravvalutare i “partiti dell’ordine”; dall’altra l’uso di forze politiche che frammentano il voto popolare, populiste, nazionaliste, identitarie rafforzano il controllo delle classi privilegiate.
In una situazione in cui il capitalismo, anche in un paese ricco come il Regno Unito, offre alle classi popolari solo disoccupazione, miseria ed emarginazione, il partito laburista ha dimostrato, in più di cento anni di storia, di aver abbandonato ogni prospettiva di trasformazione sociale; i partiti nazionalisti ed identitari spostano l’attenzione dalla questione sociale a questioni che servono solo al ceto politico: l’indipendenza della Scozia, l’uscita dall’Unione Europea.
Le recenti elezioni in Gran Bretagna dimostrano ancora una volta che la lotta elettorale è la miglior garanzia che il capitalismo e le classi privilegiate manterranno il loro potere. Il proletariato, nel Regno Unito come altrove, ha bisogno di uscire dal regime della proprietà privata, di espropriare i capitalisti per risolvere la carestia provocata dalle politiche di austerità. Questo non lo potrà dare nessuna forza parlamentare, ma solo l’azione diretta degli sfruttati.
Tiziano Antonelli