Gli eventi della settimana appena trascorsa a Livorno insegnano che la lotta paga, ma soprattutto insegnano che ci sono delle grandi potenzialità nella società che spesso vengono ignorate e che il dibattito politico ufficiale tende a nascondere e mascherare.
In questi giorni è esplosa in città la protesta studentesca sui problemi dell’edilizia scolastica, è iniziata lunedì 7 gennaio dal Liceo “F. Enriques” con scioperi e cortei quotidiani, per poi estendersi coinvolgendo tutte le scuole superiori della città portando in piazza 3000 studenti giovedì 10 gennaio. Altrettanto partecipata è stata la manifestazione di sabato 12, organizzata dagli studenti, che ha visto la partecipazione di studenti da altre città, tra cui Pisa, Pontedera, Arezzo, Rosignano e Portoferraio, di lavoratrici e lavoratori della scuola, di genitori, e di tante persone solidali. Dal periodo 2008-2010 non si vedeva una mobilitazione studentesca così determinata e partecipata. Una mobilitazione nuova per la partecipazione, per la determinazione e per i contenuti che esprime, che affrontano anche radicalmente la situazione politica e sociale. Una vera scossa per la città. È importante dunque sostenere la protesta studentesca, come anche le iniziative promosse da lavoratrici e lavoratori della scuola che hanno proclamato lo stato di agitazione. Va riconosciuto che gli studenti hanno subito allargato la prospettiva, non è solo la questione di un liceo ma il problema è generale. È chiaro allora che le “soluzioni” non possono essere solo per qualcuno, e non devono mettere in discussione le condizioni raggiunte da altri, perché tutte e tutti hanno devono poter studiare e lavorare in contesti adeguati.
I fatti che sono stati la scintilla della protesta sono conosciuti, ma è meglio ripetere i passaggi più importanti per capire meglio cosa è successo. Questo anno scolastico il Liceo “F. Enriques” ha superato i 1200 studenti e ben sette classi non hanno spazio nella sede di Via della Bassata. Per alcuni mesi la Provincia, che ha la competenza dell’edilizia scolastica delle scuole superiori, ha pagato l’affitto di alcuni fondi commerciali a Porta a Mare, soluzione inadeguata e temporanea, in attesa di individuare un edificio come succursale. Da dicembre l’Ufficio Scolastico Provinciale si è spostato in Via Galilei lasciando libero un edificio in Piazza Vigo che è stato assegnato all’IIS “Vespucci – Colombo”, che ha potuto così lasciare libero l’edificio di Via Calafati, che la Provincia ha assegnato al Liceo “F. Enriques” come succursale. In questo gioco dei bussolotti l’edificio di Via Calafati viene da anni utilizzato come jolly e assegnato alle scuole che hanno carenza di aule, nel tentativo di far entrare tutti gli studenti negli edifici a disposizione della Provincia. Quando sembrava tutto sistemato, da una verifica dei Vigili del Fuoco effettuata due giorni prima del trasferimento è emerso che la Provincia non aveva depositato la SCIA per la certificazione antincendio dell’edificio, obbligatoria per le scuole. Mancando dei requisiti di sicurezza la Dirigente Scolastica del Liceo “F. Enriques” ha allora deciso di non accettare la soluzione di succursale proposta dalla Provincia ma di mantenere tutti gli studenti nella sede centrale, organizzando l’orario su doppi turni, mattina e pomeriggio. Così è iniziata la protesta degli studenti del liceo, con sciopero a oltranza e cortei ogni mattina fino alla sede della Provincia, la partecipazione è stata totale. Lavoratrici e lavoratori della scuola partecipano alle manifestazioni, anche gli organi collegiali prendono posizione contro il trasferimento nella succursale che non ha requisiti di sicurezza e contro i doppi turni. Fin dai primi giorni la provincia prova a smontare la protesta sostenendo che si tratti solo di problemi formali e procedurali ma che esiste una sostanziale sicurezza dell’edificio.
Dopo tre giorni di protesta ininterrotta esplode il caso, la stampa locale informa che sono 70 gli edifici scolastici non a norma in città, contando sia quelli di proprietà della Provincia (a guida PD) sia quelli di proprietà del Comune (a guida M5S). La neoinsediata Presidente della Provincia Marida Bessi e l’assessore regionale per l’istruzione Cristina Grieco, ex dirigente a Livorno dell’IIS “Vespucci – Colombo”, continuano a banalizzare la protesta. Dopotutto non c’è niente di eccezionale – sembra di leggere tra le righe di qualche giornale – buona parte delle scuole non hanno certificazioni, e l’edificio di Via Calafati è sicuro, fino a un mese prima ci stava proprio il “Vespucci”! Il mercoledì ormai però la questione è esplosa. In questo contesto il personale della Questura che sorveglia in gran numero le manifestazioni mette in atto pressioni per scongiurare un’estensione della protesta ad altre scuole e per evitare che si assumano forme di protesta più dure e rumorose. Intanto la dirigenza della scuola stava elaborando una terza soluzione con riduzione delle ore di lezione a 50 minuti e rotazioni su cinque giorni settimanali ma sia i docenti, sia l’Assemblea sindacale convocata dalle RSU della scuola, sia gli studenti respingono questa soluzione, uno stravolgimento d’orario sarebbe negativo per la didattica e per i tempi di vita di tutte e tutti. Inoltre lo scopo è avere una struttura adeguata per effettuare la didattica ordinaria, non una didattica compressa in uno spazio insufficiente.
Il giovedì manifestano studenti da tutte le scuole, non riesce il tentativo di dividere gli studenti, la protesta si radicalizza e migliaia di persone occupano per ore Piazza del Municipio, davanti alla sede dell’amministrazione provinciale. La Provincia in quella mattina decide di ricevere solo la dirigenza della scuola, e tratta con arroganza le delegazioni di docenti, studenti e genitori, incontrandole di fatto solo per informarle di quanto già deciso. Dopo una lunghissima attesa infatti viene comunicato che la Provincia si sarebbe genericamente attivata per trovare una soluzione, mentre la scuola, tramite l’adozione dell’orario compresso, si sarebbe dovuta assumere l’impegno di interrompere la protesta e riavviare le lezioni. A quel punto è stato fatto notare che tale decisione certo non compete alla dirigenza ma a coloro che stanno protestando. Viene dunque ribadito che solo con risultati concreti la protesta si sarebbe interrotta, e il giorno seguente oltre mille persone sono tornate a manifestare fin sotto la Provincia.
Dopo questa quinta giornata di protesta, nel pomeriggio di venerdì, durante la conferenza stampa convocata dalle RSU della scuola in merito alla mobilitazione, arriva da parte della vicaria della dirigenza del Liceo “F. Enriques” la notizia che sarebbe stato raggiunto un accordo. La Provincia, con il coinvolgimento del Comune attraverso la vicesindaco – anche lei si presenterà alla conferenza stampa – avrebbe trovato una soluzione per avere 5 aule nella sede dell’Istituto“Buontalenti” in Via Zola. La “soluzione” appare immediatamente sulla stampa, assieme ad un bonario intervento dell’assessore regionale Grieco, che riconoscendo stavolta le ragioni degli studenti afferma con formidabile voltafaccia di essere pronta a aiutare a risolvere la situazione. Il problema è che le aule in questione già sono occupate da altre attività didattiche tra cui quelle del CPIA, Centro Per l’Istruzione degli Adulti, che organizza corsi istituzionali statali per il conseguimento della licenza elementare e media, le cui attività sarebbero da ricollocare. Certo creare disagio e mettere in discussione gli spazi per un altro percorso educativo non può essere una soluzione, la lotta per spazi di studio e di lavoro sicuri e adeguati vale per tutti e va condotta insieme. Sabato 12 un nuovo corteo molto partecipato ha attraversato la città per concludersi in Piazza del Municipio. Al termine della manifestazione, negli interventi al microfono non si parla solo dell’edilizia scolastica, ma anche di sfruttamento e alternanza scuola lavoro ed è chiara la critica sia all’attuale governo sia ai precedenti.
In questo momento non si sa come procederà la vicenda, ma certo chi sta conducendo la protesta sa bene che tutte e tutti devono poter studiare e lavorare in sicurezza. Intanto per lunedì sono annunciate altre iniziative di protesta e gli studenti dopo questa intensa settimana di lotta si stanno organizzando per dare continuità a queste giornate.
[aggiornamento: Lunedì 14 gennaio la Provincia, ha constatato che la soluzione di spostare cinque classi del Liceo “F. Enriques” in alcune aule dell’Istituto “Buontalenti” non era possibile perché i locali in questione erano troppo piccoli. Volendo evitare nuove proteste, ha deciso di collocare nuovamente, in via temporanea, sette classi del liceo nei fondi di Porta a Mare, effettuando nuove certificazioni sui locali e riprendendo a pagare l’affitto. Certo non si tratta di una vera soluzione, quei locali erano inadeguati nei mesi scorsi e lo sono tuttora, ma certo non costituiscono una minaccia per la sicurezza di chi studia e lavora come invece l’edificio di Via Calafati. Sicuramente il clima elettorale e lo scontro tra PD e M5S ha fatto sì che la competizione per il potere anche stavolta prevalesse sulla necessità di trovare una migliore soluzione, dal momento che non c’è stata una reale collaborazione tra Comune e Provincia per individuare soluzioni migliori. Ad ogni modo questa è una vittoria, la lotta è riuscita a mettere al centro il tema dell’edilizia scolastica e ad impedire che il Liceo “F. Enriques” dovesse utilizzare un edificio non sicuro come succursale. La lotta attraverso lo sciopero e le manifestazioni ad oltranza ha quindi portato un risultato concreto che altrimenti non sarebbe stato raggiunto. Adesso l’impegno sarà quello di fare pressioni per avere soluzioni più adeguate e interventi anche negli altri istituti, ma soprattutto quello di estendere la questione al di là della sicurezza nelle scuole e di mantenere in piedi la rete che si è formata nel corso della lotta.]
La protesta studentesca al Liceo “F. Enriques” è stata fin da subito sostenuta da lavoratori della scuola e dai genitori; la stessa dirigenza scolastica non ha assunto una posizioni di contrasto e anzi ha cercato di utilizzare il peso della protesta nella trattativa con la Provincia. La presa di posizione dei lavoratori e le iniziative intraprese come lo stato d’agitazione, la conferenza stampa, la partecipazione alle manifestazioni, il rinvio della consegna delle pagelle, sono significative e importanti per la lotta in corso e in generale per la sicurezza sui posti di lavoro. Questo contesto generale ha forse favorito per certi aspetti la protesta e ha assicurato una certa copertura mediatica a livello locale. Va però considerato al contempo che il clima politico di campagna elettorale che c’è in città in vista del voto per le amministrative, e che ha spinto molti partiti ad intervenire diffusamente sulla vicenda, può influenzare la protesta anche in modo negativo. Questo è stato particolarmente evidente nell’atteggiamento degli esponenti istituzionali e delle dirigenze scolastiche. Tuttavia il movimento studentesco è riuscito finora a mantenere una certa autonomia da queste dinamiche.
La protesta degli studenti non nasce dal niente, né può essere considerata una iniziativa eterodiretta da docenti, genitori o altri soggetti. La questione della sicurezza nelle scuole era stata uno dei temi centrali in occasione delle giornate di mobilitazione studentesca a livello nazionale che hanno portato nello scorso autunno a manifestazioni in molte città. In quell’occasione anche a Livorno per la prima volta dopo anni gli studenti sono tornati in piazza numerosi e sono tornati a organizzarsi in modo coordinato tra le varie scuole. Quindi le proteste di questi giorni non sono sorte dal nulla, è frutto di un percorso. Il problema dell’edilizia scolastica, oggi esploso in città, era già stato denunciato dagli studenti livornesi ad ottobre e novembre, con manifestazioni e occupazioni.
Dopotutto i problemi dell’edilizia scolastica non sono certo una cosa nuova, negli ultimi decenni sono stati fatti solo interventi di manutenzione e ristrutturazione, non sono state create nuove strutture per le scuole superiori cittadine. Negli anni gli studenti hanno spesso denunciato le carenze dell’edilizia scolastica, opponendosi alle politiche di tagli all’istruzione condotte dai governi, contestando misure repressive attuate con il pretesto della sicurezza, come l’installazione delle telecamere, e protestando sotto la Provincia per chiedere interventi di manutenzione e risanamento degli edifici. L’edificio di Via Calafati negli anni ha sempre avuto dei gravi problemi, così come la succursale del Liceo “F. Cecioni” in Via Zola, o la sede dell’IIS “Colombo” in Via S. Gaetano, quella dell’IIS “Orlando” in Piazza 2 giugno, o quella dell’ITI in Via Galilei. Solo quando la protesta degli studenti si è fatta sentire ci sono stati dei provvedimenti concreti. Oppure quando i lavoratori della scuola hanno preso determinatamente posizione, come quando nel 2015 al Liceo “F. Enriques” è stato finalmente sostituito il linoleum della pavimentazione la cui colla conteneva amianto. Se non si affrontano con la lotta e con la reazione di piazza, le questioni relative alla sicurezza e alla salute nei luoghi di studio e di lavoro vengono aggirate da dirigenti e istituzioni, che continueranno a prenderci in giro con rimpalli sulle competenze degli enti, la mancanza di finanziamenti, la burocrazia, le certificazioni prive di sostanza e la banalizzazione dei problemi sollevati dagli studenti.
Bisogna inoltre avere chiaro che anche quelle certificazioni che la maggior parte delle scuole non hanno non garantiscono da sole che gli edifici scolastici siano sicuri. La SCIA antincendio ad esempio non certifica lo stato di sicurezza effettivo, ma è solo una segnalazione in cui sono presentati gli interventi che si pianifica di fare in futuro sull’immobile per l’adeguamento antincendio delle scuole previsto da DM del 26 agosto 1992, ogni anno prorogato. Perché i governi ogni anno decretano proroghe per queste certificazioni, per mantenere le scuole “legalmente” aperte e al contempo non essere costretti a nuovi investimenti nell’edilizia scolastica. Ultimo in ordine di tempo è il “decreto semplificazioni” varato a dicembre dal governo che contiene le ennesime proroghe per gli interventi sull’edilizia scolastica.
Se gli edifici scolastici non sono sicuri non è poi certo un problema di carte bollate, perché nell’anno scolastico 2017/2018 in Italia c’è stato un crollo ogni quattro giorni nelle scuole, per 50 casi complessivi e 13 feriti. Nel 2008 lo studente Vito Scafidi restò ucciso in un crollo del soffitto dell’aula in cui stava facendo lezione al Liceo “Darwin” di Rivoli. Se davvero si volesse seguire la legge che lo Stato stesso si è dato, quasi nessuna scuola probabilmente sarebbe a norma, basti pensare alla superficie. Ogni aula dovrebbe avere 1,96 mq di spazio per ogni studente con il proprio banco e sedia, più lo spazio per l’insegnante, la cattedra e il resto. Basta andare a scuola col metro e misurare la propria aula per capire come le istituzioni si rapportano alle loro stesse leggi, e quanto in teoria dovrebbero essere spaziosi i luoghi di studio.
Ma qual’è l’idea di sicurezza che trasmette la scuola, e come la scuola insegna agli studenti a rapportarsi alla questione della sicurezza? Non consideriamo ovviamente le misure repressive come telecamere e presenza di polizia nelle scuole. Agli studenti la sicurezza viene per lo più presentata come una questione di emergenza, principalmente attraverso prove di evacuazione o generali indicazioni sui comportamenti da tenere in caso di calamità o di incendio. Inoltre nel corso degli anni gli studenti devono partecipare a incontri con le aziende, o devono effettuare il periodo di alternanza scuola lavoro, a volte in questi contesti si parla anche della sicurezza sul lavoro. Le aziende in questi casi raccontano come è normale la propria versione dei fatti. Per questo la sicurezza spesso è esclusivamente presentata come risultato dei corretti comportamenti del lavoratore (seguire procedure, mettersi il casco, le scarpe ecc), non come una condizione sicura di lavoro controllata dai lavoratori stessi. Allo stesso modo quando lo studente si trova nel contesto scolastico è costretto in un ambiente che ti insegna il più delle volte a seguire indicazioni e a non mettere bocca sulle decisioni dell’autorità, si devono seguire delle direttive magari finalizzate solo ad avere una certificazione ma non bisogna interrogarsi troppo e soprattutto bisogna aspettare che le autorità competenti risolvano i problemi e non interferire né tanto meno attivarsi e agire per ottenere reali condizioni di sicurezza.
C’è bisogno, in tutti gli ambiti della società e non solo a scuola, di liberarci da un contesto così autoritario. Solo l’autogestione, attraverso la partecipazione di tutte e tutti, permette la conoscenza diffusa e il controllo diretto della realtà che viviamo, di conoscerne i rischi e le criticità, di risolvere collettivamente i problemi. Questo significa l’abolizione dell’organizzazione gerarchica della società fondata sulla proprietà, sulla subordinazione e sulla delega a dirigenti ed esperti e lo sviluppo di un metodo organizzativo e decisionale libero e orizzontale.
Il problema dell’edilizia scolastica è generale e reale, è emerso grazie alla protesta ma non è una novità, è sempre stato sotto gli occhi di tutti, innanzitutto delle istituzioni responsabili. È positiva l’estensione della protesta ad altri istituti sia perché problemi sono comuni sia perché solo confrontandosi tra studenti di diverse scuole, magari anche di altre città, può emergere la dimensione sistematica e politica del problema, non confinato alle singole scuole. Inoltre in questo modo si può uscire dalla logica autoritaria dei rapporti con dirigenza, docenti e genitori, in cui ti spesso si è costretti se si limita l’attività ad un istituto. Ottenere dei risultati concreti in questa lotta è importante perché significa ottenere migliori condizioni di studio e di lavoro per tutte e per tutti, perché può essere un esempio per nuove lotte, perché conquistare un po’ di libertà fa crescere la voglia di libertà.
Ma al di là degli obiettivi da raggiungere la protesta in corso è molto importante: è una novità dirompente nello scenario sociale cittadino; è un segnale della voglia di prendere parola, di scendere in piazza, che è presente nella società e soprattutto nei più giovani; è una rottura rispetto alle norme repressive varate dai governi nazionali e dall’amministrazione comunale, dal momento che con il movimento si aprono nuovi spazi di libertà che rompono i divieti, anche solo temporaneamente; è tornato in città un movimento studentesco capace di darsi propri strumenti politici e di costruire percorsi in autonomia.
La volontà di riscatto e lo slancio ideale che emerge dalle assemblee e dalle manifestazioni è molto forte. In questo contesto sociale, le nuove generazioni sono più impoverite e sono a diretto contatto con le più forti contraddizioni della società. Inoltre il contesto politico autoritario, violento e polarizzato che viviamo impone di schierarsi, di prendere posizione. Spesso i più giovani sono additati come violenti o come apatici, per questi problemi, dicono gli “esperti di giovani”, la soluzione è il disciplinamento: la direttiva “scuole sicure” che porta la polizia nelle scuole, l’alternanza scuola lavoro che prepara allo sfruttamento, la reintroduzione della leva obbligatoria, il reddito di cittadinanza, i provvedimenti sulla sicurezza di Minniti, Orlando e Salvini. In piazza, in modi diversi e con varie prospettive, c’è anche il rifiuto di questo modello gerarchico di società.
Per questo la protesta in corso è importante per la sua forza e per quello che esprime, ma anche perché è un segnale che va colto.
Collettivo Anarchico Libertario
Federazione Anarchica Livornese