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Il passato che non passa

Il passato che non passa

Cosa ha di diverso l’Italia di oggi da quella dell’immediato dopoguerra? Perché il ministro della Giustizia di allora, il comunista Togliatti, si poteva permettere un’amnistia generalizzata ai criminali fascisti ed oggi invece si continua a tenere aperta e si rilancia in grande stile, a distanza di quasi quarant’anni, la pagina degli anni di piombo? Sono domande queste che sorgono spontanee dopo che lo Stato della Bolivia di Evo Morales (un altro campione della sinistra antimperialista) ha deciso di soddisfare prontamente la richiesta di estradizione di Cesare Battisti, avanzata dallo Stato italiano e condotta in prima persona da agenti della polizia italica. Già anni or sono la vicenda Sofri, poi quelle degli estradati dall’Algeria e dal Nicaragua, avevano messo in evidenza la volontà persecutoria dell’apparato nel perseguire reati connessi all’insorgenza politica armata degli anni ’70-’80; ora la vicenda Battisti riconferma e rafforza una linea di comportamento di cui non si vede la fine.

Appare del tutto evidente che la situazione politica italiana, nei suoi assetti istituzionali, è ancora parecchio lontana dal raggiungere un grado di stabilizzazione tale da permettersi di archiviare quel periodo e non tanto perché ci sono alcuni emuli delle BR in giro, quanto per l’utilizzo che si continua a fare di quei fatti ai fini della lotta politica e del contenimento della crescente insofferenza sociale. Non c’è evidentemente da sorprendersi: per un paese che ha impiegato ventiquattro anni per arrivare alla conclusione che l’Aeronautica Militare, nei suoi massimi dirigenti, ha coperto la strage di Ustica compiuta da qualche ‘fedele’ alleato senza indicare chi; per un paese che dopo trentacinque anni ha saputo solo individuare in generici fascisti di Ordine Nuovo i responsabili della strage di piazza Fontana del 1969; in un paese che non ha mai voluto andare a fondo in vicende definite oscure (ma chiarissime per chi ha occhi per vedere) come quella di Salvatore Giuliano, di Roberto Calvi o di Carlo Alberto Dalla Chiesa; per un paese del genere, terreno di conquista delle mafie, dei poteri forti internazionali, dei servizi segreti, gli avvenimenti di quegli anni rimangono una preziosa miniera da cui attingere per spargere veleni, per minacciare ritorsioni, per intimidire gli oppositori.

Un’amnistia inoltre comporterebbe l’ammissione che nell’Italia di quegli anni ci fu un movimento diffuso teso al sovvertimento rivoluzionario degli assetti di potere contro il quale lo Stato, in tutte le sue componenti, varò una legislazione d’emergenza che colpì i fondamenti costituzionali e la cosiddetta civiltà giuridica. Una legislazione sostenuta con entusiasmo dal PCI di Berlinguer e del compromesso storico, applicata da quelle ‘toghe rosse’ che istituirono i grandi processi contro il cosiddetto terrorismo nella cui accezione vennero compresi anche molti esponenti dei movimenti sociali di quegli anni (ricordate il 7 aprile?). Chi scrisse e approvò quelle leggi infami, da Stato di polizia, non ha mai trovato il coraggio di una lettura storica di quella fase, potrebbero mai trovarlo i loro degni eredi?; e se a sinistra non c’è questo coraggio come pensiamo ci possa essere un po’ di onestà intellettuale in una destra comunque colorata (gialla? verde ? blu?) che continua ad agitare il drappo rosso della lotta al terrorismo, sempre e comunque, come arma di dissuasione e di repressione nei confronti di ogni possibile movimento di contestazione e di lotta. Se la lotta (anche quella armata) di quegli anni è stata solo espressione di criminalità, non vi può essere metabolizzazione politica ma solo vendetta e giustizia sommaria, da esaltare con le riprese video, le dichiarazioni truculente, in attesa di agitare i cappi come ben seppero fare i leghisti nei tempi d’oro di Tangentopoli e ben prima del loro ‘capitano’ Salvini. Cose in cui il ministro Bonafede sta dimostrando di muoversi sempre meglio; d’altronde non ha indossato anche lui la giacca della polizia?

Ma se dopo il ‘Decreto sicurezza’, la caccia all’immigrato, la criminalizzazione delle ONG, sentono il bisogno di tirare fuori delle storie di quarant’anni fa, come se fosse ieri, e minacciano di sommergerci con altre vicende simili ricorrendo per il mondo quanti decisero di sfuggire alla rappresaglia delle leggi emergenziali che condannavano a decine anni di galera non tanto i responsabili di omicidi che se la cavavano con poco – basta che facessero più nomi possibili – ma i semplici sostenitori, un dubbio ci viene. Non è che siamo di fronte all’ennesima operazione di distrazione di massa? Non è che cercano di esorcizzare la paura di trovarsi di fronte ad un movimento di contestazione stufo di balle e di promesse roboanti?

Quello che è certo è che sull’onda di una falsa emergenza di sicurezza, il controllo poliziesco si sta rafforzando e si sta dotando di armi sempre più efficaci, per il controllo sia degli stanziali che dei migranti: d’altronde in un Europa che si fa fortezza verso l’esterno e condominio rissoso verso l’interno, in un contesto di guerra, sia esterna che interna, non ci si può stupire che sia l’elemento repressivo a dilatare le proprie competenze. Sta piuttosto alla coscienza critica di questo continente, al suo elemento laico e progressista, ai movimenti sociali, la capacità di non farsi travolgere dall’isteria securitaria, di dissolvere in sostanza i fantasmi del passato.

Massimo Varengo

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