Sono passati due anni da quando eravamo tutt* a Firenze per Orso, in corteo nelle strade di Rifredi, dove aveva vissuto. In quei giorni veniva annunciata la sconfitta dello Stato Islamico in Siria, la lunga guerra pareva finita con la battaglia per Baghouz ed Orso, ucciso negli ultimi giorni di quello scontro finale, sembrava quasi che dovesse essere l’ultimo a dover morire per la libertà in quelle terre. Ma gli stati, le potenze mondiali e regionali, continuano a negare la libertà delle popolazioni della Siria, dell’Anatolia e della Mesopotamia e la guerra non è mai finita.
Lorenzo Orsetti, Orso, è morto il 18 marzo 2019 a Baghouz, in Siria. Un centro del Governatorato di Deir ez-Zor, sulla riva sinistra dell’Eufrate, al confine con l’Iraq, ultima porzione di territorio controllata dallo Stato Islamico nella regione. Lorenzo fu ucciso in un’imboscata assieme agli altri membri dell’unità araba delle SDF (Syrian Democratic Forces) con cui operava, negli ultimi giorni dell’offensiva lanciata a inizio febbraio dalle SDF. Lorenzo si era unito da pochi mesi alla Tekoşîna Anarşîst, una delle formazioni anarchiche organizzate nell’International Freedom Battallion. Con il nome di Tekoşer Piling, Lorenzo aveva già combattuto nel 2018 ad Afrin contro l’esercito turco e le truppe FSA foraggiate da Ankara, nella milizia marxista-leninista Tikko e nelle Antifascist Forces in Afrin.
Lorenzo era arrivato in Rojava nel settembre 2017 per unirsi alle YPG, le unità di difesa del popolo, la milizia del PYD, il Partito per l’Unità Democratica, la principale forza del movimento di liberazione curdo in Rojava, il Kurdistan occidentale in territorio siriano. Dall’inizio dell’insurrezione e poi della guerra civile in Siria nel 2011, il movimento di liberazione curdo aveva assunto il controllo di ampie aree a nord e nord est del paese, avviando attraverso il movimento-ombrello TEV-DEM un processo di riorganizzazione democratica della società, fino a dichiarare il 19 luglio del 2013 l’autonomia delle regioni curde in territorio siriano.
Nell’estate del 2014 il mondo scopre queste vicende. Prima quando lo Stato Islamico attacca Shingal per sterminare la popolazione ezida, un genocidio che fu contrastato solo da YPG/YPJ e PKK, che aprirono un corridoio umanitario tra le montagne, permettendo agli ezidi di salvarsi, poi con il tragico assedio di Kobanê. La città divenuta simbolo della resistenza e delle aspirazioni rivoluzionarie contemporanee, chiusa a sud dalle truppe dello Stato Islamico e a nord dai carri armati e dai soldati dell’esercito turco. Le forze dello stato turco, ufficialmente schierate contro lo Stato Islamico, in realtà avevano la funzione di isolare la città e supportare gli assedianti.
Fu la solidarietà l’arma decisiva che permise di rompere l’assedio e di liberare, mesi dopo, Kobanê. Fu fondamentale il ruolo delle decine di migliaia di persone, parte di organizzazioni giovanili, studentesche, partiti, sindacati, associazioni, del vasto mondo della sinistra rivoluzionaria attiva in Turchia in quegli anni, che si riversò sul confine, a Suruç e nei dintorni, di fronte a Kobanê, permettendo con azioni di massa come le catene umane, che rompevano l’isolamento della città, il passaggio di profughi, rifornimenti e combattenti. Furono decisive le grandi manifestazioni di solidarietà a livello globale e, dopo, le tante delegazioni internazionali arrivate sul posto a sostenere la lotta. Determinanti nei giorni cruciali dell’assedio, a inizio novembre 2014, furono le grandi proteste in Turchia, che assunsero un carattere insurrezionale in alcune zone del paese.
In quel periodo in molte parti del mondo i movimenti iniziavano a guardare con interesse a quanto stava avvenendo in Rojava, riconoscendovi i caratteri di un’esperienza rivoluzionaria. Qualcuno la definì pure una rivoluzione anarchica. La situazione era in realtà molto più complessa ma il modello consiliare di democrazia, la critica della società patriarcale, il federalismo, il cooperativismo che sono stati da subito al centro dell’esperienza del Rojava, hanno suscitato grande interesse nel movimento anarchico a livello internazionale. Anche perché alcuni gruppi e organizzazioni anarchiche della regione hanno, in modo più o meno diretto, da posizioni più o meno critiche, sostenuto l’esperienza del Rojava lanciando anche appelli internazionali, come il gruppo Devrimci Anarşist Faaliyet di Istanbul.
A vari livelli, il movimento anarchico ha avuto un ruolo e si è costruito degli spazi di intervento. Nel nel variegato campo della solidarietà in vari paesi del mondo, come direttamente in quelle regioni portando il proprio contributo, sia a livello di organizzazioni con azioni e iniziative, campagne internazionali, controinformazione, dibattito, supporto a progetti.
Lorenzo non era un militante conosciuto, era uno di que* compagn* che si riconoscono negli ideali anarchici ma che per vari motivi non fanno parte di gruppi, assemblee o collettivi. Che magari non trovano il loro posto nella variegata, e spesso conflittuale, realtà di movimento. Lorenzo era tra coloro che vedevano nell’esperienza del Rojava una speranza, se non un esempio. Il Rojava ha trasformato l’impegno di tant* giovani militanti, ha avvicinato tante persone all’attivismo, ha riportato, almeno in parte, la questione della rivoluzione nel dibattito quotidiano.
Lorenzo decidendo di partire ha fatto una scelta che potevamo fare in tant* e che, in effetti, in molt* hanno fatto unendosi ai battaglioni internazionali dai più diversi paesi del mondo. La sua scelta però non è diversa da quella di tant* che senza essere al fronte hanno sostenuto a livello culturale, sanitario, politico, e su ogni piano di lavoro, l’esperienza del Rojava. Lorenzo ha dato tutto per portare il suo contributo, per questo la sua storia non è solo una vicenda personale ma è parte di un mondo in cambiamento: le sue scelte, il suo impegno si sono incontrate con quelle di centinaia di migliaia di altr*, la sua storia è la nostra storia, la storia di ciascun* di noi.
Dalle testimonianze che lui stesso ha lasciato, oltre che dalle parole di molti compagni che lo hanno conosciuto, sappiamo che ha sempre rivendicato con orgoglio gli ideali anarchici nella sua militanza in Rojava: per questo è importante ricordarlo come anarchico.
Lo scorso 18 marzo, a due anni dalla morte di Lorenzo, la formazione Tekoşîna Anarşîst a cui apparteneva ha pubblicato sul proprio canale twitter vari messaggi commemorativi, tra cui anche la lettera di uno dei suoi membri che spiega: “Una delle ragioni per cui veniamo qui è per imparare riguardo a questa rivoluzione, impariamo l’importanza dell’autodifesa per mantenerci liberi dall’influenza del sistema capitalista. Impariamo come combattere il patriarcato che ciascuno di noi ha dentro di sé. Impariamo dalle persone qui che se vuoi veramente qualcosa, devi solo raggiungerla.”
Due anni fa la guerra sembrava essere finita ma prima con l’operazione “Sorgente di pace” a ottobre 2019, con cui l’esercito turco ha invaso il Rojava occupando una vasta fascia tra Tell Abiyad e Serê Kaniyê, poi con i bombardamenti e le incursioni via terra nel Kurdistan del sud nell’Iraq settentrionale nel 2020, lo stato turco ha continuato a portare la guerra nella regione. Lo Stato Islamico non è che una delle forze che cercano di sopprimere ogni aspirazione alla libertà nella regione, ma tutti gli stati che intervengono nell’area vedono l’esperienza rivoluzionaria del Rojava come una minaccia, perché è un pericoloso esempio per tutti gli oppressi il mondo il fatto che, anche nel più tremendo conflitto contemporaneo, quello siriano, possa nascere una speranza dall’autogoverno, possa accendersi una prospettiva rivoluzionaria. Di là della rivoluzione, per gli stati costituisce una minaccia anche un semplice amministrazione autonoma della regione, perché è una prospettiva di pace che mette in discussione la politica egemonica di guerra su cui gli stati affermano il proprio dominio. Per questi motivi anche in Italia, come in Germania, Francia e in altri paesi, compagn* che hanno sostenuto direttamente la lotta delle popolazioni del Rojava sono stati o sono tuttora soggetti alla persecuzione dello Stato.
Per un curioso caso la morte di Lorenzo è avvenuta il 18 marzo, una data simbolica per i movimenti rivoluzionari a livello internazionale, per l’insurrezione della Comune di Parigi di cui quest’anno ricorre il centocinquantenario e per la caduta della Comune di Kronstadt di cui ricorre il centenario. La storia di Lorenzo si colloca su questa stessa tradizione e ci ricorda che la rivoluzione sociale è oggi l’unica prospettiva possibile di fronte al fallimento dello stato, del capitale e del patriarcato che a livello globale inaspriscono la morsa autoritaria su miliardi di persone pur di mantenere potere privilegi e profitti. Sono molti i modi per contribuire alla trasformazione rivoluzionaria di questo mondo: nessuna strada è facile, ogni goccia è importante e ciascuna vita è preziosa perché possa crescere il mondo nuovo che portiamo nei nostri cuori.
Dario Antonelli