“Ah, dimenticavo. Sarà per colpa del temperamento, degli ormoni endogeni e sintetici che mi stravolgono ogni momento, della mia passione per il gin-tonic, del mio oroscopo maya o per aver trascorso la mia infanzia in quella Renterìa degli anni Ottanta che chiamavano Beirut, sono esaltata, incendiaria e matta.
Pertanto, ricapitolando: sono una zoccola basca femminista radicale sboccata propagandista. Prima che lo sputi fuori qualcuno, l’ho già detto io.”
La casa editrice Golena propone finalmente Diventare cagna, di Itziar Ziga, breve libello incendiario che arriva in Italia da Barcellona grazie all’impegno militante di alcune traduttrici.
È difficile che ci si soffermi sul percorso che un libro compie per arrivare a noi, nelle nostre mani. Non indugiamo quasi mai sulle modalità di accesso ad un testo che, senza traduzione, probabilmente ci sarebbe stato precluso.
La prima riflessione che questo libro scatena riguarda, appunto, il tema della traduzione. Che cos’è una traduzione militante? Cosa rappresenta per la circolazione delle idee e dei saperi?
Diventare cagna è stato di recente presentato in Italia da una delle sue traduttrici, Valentine Braconcini, che nel raccontare il libro si sofferma sul ruolo e sul valore politico della traduzione: il traduttore è un connettore di culture diverse fra loro, in grado di far dialogare contesti differenti. Non è una presenza invisibile, piuttosto un perno centrale attorno a cui ruotano le dinamiche dell’interazione culturale.
Da questa prospettiva assume su di sé un ruolo politico centrale nel contesto sociale odierno. Si fa veicolo e trasmissione di saperi e teorie che spesso vengono ignorati dalla cultura mainstream, che riduce la sua attenzione a prodotti commercialmente virtuosi o approvati dalle accademie.
“Essere una traduttrice militante significa approcciarsi ai testi e al lavoro traduttivo da una posizione volutamente non neutra, bensì di parte. Scopi, metodologie, posizionamenti, finalità, tutto concorre ad un approccio politico se vogliamo, in quanto per il traduttore militante la questione non è tanto passare dal testo di partenza al testo di arrivo, ma soprattutto come e perché lo si fa.
Il mondo è pieno di traduttori non pagati o sottopagati che lavorano in questo senso – soprattutto nell’epoca della globalizzazione digitale, che permette un accesso a saperi “lontani” molto più agevole – e spinti unicamente da una forte passione e dalla consapevolezza dell’importanza di creare reti, diffondere riflessioni e materiali che si ritengono importanti e costituirsi ponti tra culture.” (Valentine Braconcini)
A partire da questo primo spunto si instaura da subito quell’equilibrio fra individuale e collettivo che segna l’intero libro e che lo rende a suo modo eccezionale, in grado di legare assieme temi e prospettive diverse in un unico lungo dialogo a più voci. Un libro che non si lascia imbrigliare né catalogare, difficile da riassumere se non accettando il suo essere mosaico, una raccolta di frammenti coerenti uno con l’altro. È a partire dai numerosi sguardi che propone che vogliamo provare a raccontarlo, senza cercare di contenerlo o sezionarlo.
Parole
Il primo impatto con Diventare cagna è con il linguaggio che Ziga mette sulla pagina: diretto, mai filtrato, pesante nella sua significanza eppure leggero nella forma.
Un linguaggio in sé quasi paradossale: tanto semplice e immediato da risultare formidabile nella capacità di disvelare la complessità dei temi e delle riflessioni che fa emergere. Frivolo eppure serio, sboccato ma senza essere mai superfluo, rapido, diretto, pungente, ma mai violento. Liberatorio e di liberazione. Finale nella completezza del ragionamento che accompagna, eppure aperto al tutto. Spunto, miccia, inizio.
“Mi interessano l’origine e il motivo per il quale molte di noi, donne femministe, indossiamo il travestimento da puttana (che si abbia o meno un lavoro sessualmente remunerato). Partiamo dalla potente riappropriazione dell’insulto. Dalla constatazione che tutte noi donne veniamo trattate in alcuni o in molti momenti come paria abbordabili sessualmente. Dalla resistenza quotidiana che ci spinge a disfarci di minigonne o corsetti per essere prese sul serio o per passare inosservate. Dalla costruzione piacevole del nostro personaggio sociale.”
È chiaro che il linguaggio non è mai neutro, ma si fa veicolo di concetti e idee. In Diventare cagna la parola diventa terreno politico nel quale scardinare costruzioni culturali e schemi sociali e si fa strumento incendiario, piede di porco, per scassinare le gabbie all’interno delle quali misuriamo i nostri movimenti. Per questo di può dire che la lingua di Ziga è una lingua politica: personale e collettiva al tempo stesso.
Il libro è un libro politico, nel senso operativo del termine: propone pratiche affermative di sovvertimento del reale. Non si limita al teorico e sfugge al paradigma vittimario tipico di una parte del femminismo. È il principio del piacere che diventa il mezzo attraverso cui costruire il sé – nonostante l’autrice sia stata vittima di violenza famigliare e politica.
È un linguaggio sovversivo, perché ribalta radicalmente il punto di vista, spezza i consueti processi di produzione di significato. L’insulto puttana diventa rivendicazione di sé, del proprio essere. Diventa grido di autodeterminazione; ci si riappropria della parola strappandola al suo contesto originario. Rimane la stessa eppure se ne capovolge la semantica: da insulto violento a segno di autodeterminazione. Se prima la parola puttana è arma e voce del patriarcato che contribuisce a tracciare uno spazio normativo, rivendicandola come propria la si svuota della sua carica prescrittiva e si ridisegna il terreno stesso nel quale essa agisce. Non si trasforma solo un termine, si sgretola uno schema culturale e si ridefinisce uno spazio, prima costrittivo, ora luogo di azione.
Femminismo
“Il femminismo senza prospettiva di classe è bianco e borghese (omettono il dato materiale solo quelle agiate, noi povere non dimentichiamo nemmeno per un istante quanto costa mantenere la nostra penuria). E senza nozione critica del sesso e del genere il femminismo è essenzialista e transfobico, e in qualche modo connivente con tutta la violenza attraverso la quale continuano a cercare di modellarci come donne e uomini.”
L’autrice inserisce la lotta femminista all’interno di una cornice socio-economica senza la quale esso si riduce a feticcio simbolico. Il femminismo ha il compito di scavalcare il genere, solo così si può dilatare l’orizzonte delle lotte e dar loro ampio respiro.
Itziar Ziga si colloca all’interno di un movimento queer che rifiuta ogni nozione essenzialista della differenza sessuale, intendendo la costruzione identitaria come sostanzialmente processuale e performativa, sulla scia delle teorizzazioni di Judith Butler. Secondo Butler, tra l’altro, il corpo è parte integrante del processo di costruzione sociale del genere nei diversi momenti e luoghi dell’esperienza quotidiana: non vi è alcuna identità di genere che non sia agita.
Forte poi anche l’influenza di Preciado, che non a caso del libro cura il prologo – assieme a Virginie Despentes – e delle sue riflessioni sulle strategie post-identitarie per “denaturalizzare” il genere e sul valore politico del rafforzamento delle devianze. Ma parlando dei riferimenti dell’autrice, non possiamo dimenticare Annie Sprinkle, “matriarca” dell’attivismo post-porno e “Cagna alfa”, cui il libro dedica un intero capitolo.
La spinta dirompente che scaturisce da questo volume va in direzione del superamento dei binarismi imposti dal sistema patriarcale e rappresenta una ventata di ossigeno in un dibattito – specie quello italiano – che rischia di calcificarsi e arrugginirsi su concetti e teorizzazioni che si fanno intoccabili.
Per questo, per dar voce ad una multiformità di pensiero e azioni che il femminismo è in grado di contenere al suo interno e di valorizzare, il libro è un ritratto collettivo di esperienze e vite diverse che si mescolano e amalgamano alla voce dell’autrice e alle sue riflessioni. Un caleidoscopio di voci e pensieri e vite che compongono una collettività poliedrica, accomunate non tanto dall’essere donne o uomini, ma dal provenire da ambiti e contesti che tradizionalmente si vogliono muti. Le voci che Ziga orchestra provengono dalle periferie del sistema capitalistico, patriarcale, bianco occidentale.
“E io scrivo dai margini, dalle fogne del sesso. Dall’attivismo e dalla rabbia di genere e di classe, come donna ‘permale’ e povera.”
In ottica intersezionale, il testo affronta diffusamente anche la retorica del “femminismo salvatore” in un capitolo dal significativo titolo di “Hijab e minigonne: tanto scandalo per così poca stoffa”. In questo, argomenta efficacemente di come l’utilizzo strumentale della retorica della donna musulmana sottomessa e costretta a velarsi, nasconda in realtà l’islamofobia di uno sguardo neocoloniale che nega, ancora una volta, l’autodeterminazione e finanche la parola alle donne, in questo caso alle donne di religione islamica.
Liberazione
La liberazione che Ziga propone è dalle gabbie concettuali, dagli stereotipi, dalla femminilità e dalla mascolinità che sono “poli d’indottrinamento di massa”. Attraverso la narrazione della sua storia, racconta di una possibile modalità di liberazione, ma l’intero libro è contraddistinto dalla forte e irriducibile tensione alla libertà; l’autrice mostra una strada, sta poi a ciascuna scoprire o ritrovare la propria personale proposta. Le proprie modalità di rifiuto e abbattimento di schemi culturali. La personale via d’uscita dalle briglie che la società occidentale capitalista e patriarcale impone.
In questo sta uno dei pregi del libro: Ziga non mostra LA strada, LA soluzione, elabora una sua risposta, in un tacito invito a chi legge a fare altrettanto. Per questo il libro è un inno gioioso alla libera espressione di sé e del proprio corpo. Che ciascuna declini la femminilità secondo il proprio vissuto, la propria personale attitudine.
Silvia Antonelli e Asia Arsa
Diventare cagna, Itziar Ziga, Golena Edizioni, Pagine 128, Prezzo 15,00 euro.