Lo scoppio di un petardo non è particolarmente interessante, soprattutto nei giorni che precedono la fine dell’anno. Ma se il petardo è accompagnato da una rivendicazione, che pretende di giustificarlo politicamente, allora diviene un atto politico, e come tale va giudicato.
Il petardo scoppiato alcune notti fa davanti al portone di una stazione dei carabinieri a Roma è stato rivendicato con un comunicato pubblicato su un blog, e si può trovare qui: https://anarhija.info/library/roma-italia-cellula-santiago-maldonado-fai-fri-
In questo comunicato viene delineato un quadro della situazione sociale in Italia e della strategia degli anarchici che dovrebbero giustificare l’atto dimostrativo. E’ di questa parte del comunicato che intendo occuparmi.
Un atteggiamento settario
Secondo gli estensori del comunicato questi sarebbero tempi di attendismo e pace sociale: l’azione deve essere uno scossone per svegliare chi dorme. Bisogna prendere in mano la propria vita rompendo la pace opprimente. Nonostante la pretesa di non considerarsi una minoranza elitaria, gli estensori del documento ripropongono uno schema avanguardia-massa di tipo aristocratico. Il velato disprezzo nei confronti delle masse è proporzionale all’esaltazione del fatto in sé stesso come elemento di rottura. L’esaltazione dell’azione, il rifiuto del confronto con i riformisti mostrano la difficoltà a confrontarsi con una realtà che è diversa da quella che si vorrebbe.
Questo atteggiamento non è solo delle “cellule di fuoco” ma, con sbocchi pratici diversi, è diffuso all’interno e all’esterno del movimento anarchico, è un atteggiamento che spesso paralizza l’azione concreta di militanti ed attivisti. Dobbiamo liberarci da questo atteggiamento, se vogliamo costruire un rapporto diverso con le masse, con i movimenti, con gli organismi di lotta, se vogliamo che l’anarchismo esprima le sue enormi possibilità di trasformazione sociale.
La diffusione dell’ideologia delle classi dominanti fra le masse è una conseguenza del rapporto di dominio. Spetta alla minoranza agente, e in particolare agli anarchici, agire sulle contraddizioni della società per sviluppare il sentimento di autonomia e di ribellione; se questo non avviene, significa che l’azione della minoranza agente è inefficace. La via di uscita è la penetrazione degli anarchici fra le masse, è imparare dalle masse quali sono i temi che le toccano maggiormente e, coerentemente con il nostro ideale e la nostra prassi, possano dar vita a movimenti di ribellione, imparare dalle masse quali sono gli organismi che possono divenire strumenti di autorganizzazione e di azione diretta, imparare dalle masse quali sono i linguaggi che possano rendere più accessibile la propaganda anarchica.
Ed è una ben triste illusione credere che la prassi dell’attacco debba essere fatta propria dagli anarchici, che senza le forze dell’ordine i privilegi, le prepotenze e le ricchezze delle classi dominanti sarebbero nulla. Triste perché il destino degli anarchici sarebbe di imporre la libertà a chi non vuol farsi liberare: non basta far sparire i carabinieri e la polizia per dar vita al regno dell’anarchia, occorre costruire organismi capaci di gestire la produzione e la distribuzione, i vari aspetti della vita sociale, e questo non possiamo né farlo da soli, né imporlo agli altri, abbiamo bisogno di costruire questi organismi nella lotta quotidiana all’interno della società dello sfruttamento e dell’oppressione, abbiamo bisogno della cooperazione, del protagonismo delle masse.
Illusoria pace sociale
Ma è poi vero che la situazione è di pace sociale? Gli estensori del documento sono stati sfortunati, perché il botto del petardo è stato rapidamente dimenticato di fronte al clamore delle violenze poliziesche contro manifestazioni popolari ai capi opposti della penisola: a Chiomonte e a San Foca la rabbia delle istituzioni si è riversata contro le popolazioni che si oppongono alla devastazione del territorio. Due scioperi generali a poca distanza l’uno dall’altro hanno costretto il governo ad aprire un poco i cordoni della borsa, mentre il principale sindacato collaborazionista ha indetto una giornata di mobilitazione per le pensioni (senza sciopero!). A questo possiamo aggiungere le continue mobilitazioni nel settore della logistica e sulla questione delle abitazioni. Sabato 25 novembre Roma è stata invasa dalla marea di Nonunadimeno, sempre più combattiva e più radicale. Questo avviene anche grazie all’impegno di tante anarchiche e tanti anarchici, militanti e simpatizzanti, impegnati a condividere nei movimenti di massa contenuti e pratiche libertari.
Sono segnali che, uniti alla disaffezione nei confronti delle elezioni, la società è tutt’altro che pacificata, anzi che lo scontro di classe assume forme più virulente ed efficaci. Segnali che hanno impaurito governo e sindacati gialli, e che non vengono uditi solo da chi è estraneo e indifferente alla dinamica reale dello scontro di classe, magari assordato dagli artifici pirotecnici.
Un esempio di insurrezione vittoriosa
Pochi mesi prima di morire, Engels sosteneva che una rivolta di piazza non aveva ormai alcuna possibilità contro un esercito moderno, che, se le truppe non avessero solidarizzato con i rivoltosi, si sarebbe trasformata in un inutile massacro; che l’unica strada era la conquista della maggioranza parlamentare.
Se la Rivoluzione Russa può avere in parte confermato la previsione di Engels, quando le truppe cosacche inviate a soffocare la ribellione delle lavoratrici e della polazione di Pietrogrado si ammutinarono e si unirono ai rivoltosi, la Rivoluzione Spagnola lo ha smentito su tutta la linea: a Barcellona, a Madrid, Gijon e tante altre località è stata la classe operaia a cacciare l’esercito dalle strade, e poi ad assediare e conquistare le caserme. Allora a Pedralbes, Ataranzas o alla Montaña non si trattò più di atti dimostrativi, ma i portoni delle caserme furono fatti saltare con i camion imbottiti di dinamite.
La classe operaia si sbarazzò dei principali tutori dell’ordine mortifero del capitalismo, ma questo non fu il risultato di estemporanee e occasionali azioni esemplari, ma di un lavoro di organizzazione e di educazione della classe operaia durato quasi settant’anni; un lavoro che ha collegato dialetticamente lotta per i bisogni immediati e prospettiva rivoluzionaria, organizzazione di massa e organizzazione politica. Dobbiamo imparare dalle masse, dobbiamo imparare dall’esperienza storica, e se questo ci appare un sacrificio per la nostra irriducibile individualità, forse abbiamo introiettato un po’ troppo della mortifera ideologia della società attuale.
Siamo in guerra. Non sono gli anarchici ad essere in guerra contro la società. E’ il governo, le istituzioni, i capitalisti, le classi privilegiate che sono in guerra contro la classe operaia, gli sfruttati, la società.
Per vincere questa guerra il governo ed i mezzi di informazione vogliono convincerci che la battaglia è persa, nessuno lotta, la pace sociale trionfa.
Chi sostiene che siamo in tempi di attendismo e pace sociale ripete la propaganda del governo.
E in una guerra chi ripete la propaganda del nemico è un disfattista, anche se per farsi ascoltare usa effetti speciali.
Tiziano Antonelli