Gli algoritmi di Google fanno brutti scherzi… mi è capitato alcuni giorni fa di scorrere i risultati di una ricerca fatta inserendo alcune parole chiave: femminicidio, violenza di genere, 2021. Il risultato mi ha riservato alcune sorprese. La prima brutta notizia, di cui ero in parte a conoscenza, è stata il drammatico elenco delle donne ammazzate da uomini con cui erano legate da relazioni affettive o sessuoaffettive. Il numero è agghiacciante: in questi due primi mesi dell’anno, il computo delle vittime oscilla da 11 a 15 a seconda dei siti. Gli ultimi tre sono avvenuti nel giro di pochi giorni e sono stati caratterizzati da un grado di violenza talmente alto da rendere i racconti quasi surreali, come fossero episodi di qualche film dell’orrore e, anche se sappiamo bene che molto spesso le torture più paurose avvengono celate dietro la facciata delle brave famiglie timorose, delle case rispettose, il modo fisico con cui quei corpi sono stati strazianti ha un suo significato.
In seguito, scorrendo i titoli, la mia attenzione è stata catturata da un articolo che riportava le dichiarazioni di un noto esponente di FdI (Fratelli d’Italia), Zucconi.[1] Quello che mi ha colpita è stato il fatto che costui, nell’intervista, utilizzava termini e concetti presi dal femminismo quali decostruzione, educazione al rispetto dell’altro, ecc. per piegarli secondo una prospettiva familista, binarista e nazionalista. Zucconi condanna i femminicidi, le storie drammatiche che la cronaca ci riporta ormai quotidianamente, poi però dice che la donna è sempre più “baluardo della famiglia” (ovviamente questo aspetto non poteva mancare, che si è donne in quanto generatrici e amministratrici della cellula della società… sob!), ma poi la donna “si realizza anche sul lavoro, nella cultura e nella società” ed egli dichiara come “l’universo maschile non riesca ad essere all’altezza dei mutamenti”.
La cosa interessante in questo articolo è che nelle sue affermazioni questo signore parla della necessità di decostruire “alcuni stereotipi, cambiare la mentalità partendo dalle radici.” Parla di educazione nelle scuole per arrivare a quella “parità di genere reale e tangibile nel mondo sociale e economico e realizzando un’educazione sentimentale e sessuale che porti il maschio all’accettazione dell’altro come libertà e non come oggetto”. Educazione sentimentale e sessuale nelle scuole, accettazione dell’altro come libertà e non come oggetto…
L’effetto che ha provocato in me è stato quello di un corto circuito logico in cui le sue parole apparentemente ammantate di buon senso, progressiste, mi distraevano dal fatto innegabile che egli rimaneva concettualmente nell’alveo di quelle discriminazioni patriarcali che il suo sistema di pensiero ha contribuito a generare e perpetuare e, contemporaneamente, si smarcava dalle posizioni non più accettabili della rigida distinzione di ruoli di genere che la destra ha da sempre sostenuto. Un conservatorismo progressista, insomma, che sembra un ossimoro se non ne avessimo avuto tanti esempi concreti recenti. Penso a politiche di destra che si realizzano grazie a governi di sinistra, penso a capi religiosi di confessioni misogine che esaltano la figura femminile facendone il pilastro della società, penso a industrie che sfruttano la manodopera dell’“altro mondo” presentandosi in questo mondo, il mondo ricco, come benefattori green.
Allora mi sono detta: pura accademia di destra, che importanza può avere? È che sarò anche una ingenua ma credo che questo tipo di “femminismo di destra”, decorato dal buonsenso bianco di un padre che lo accoglie e se ne fa bandiera, sia una operazione molto pericolosa per il mondo del “pensier libero”. Zucconi, nell’articolo, attacca le discriminazioni di genere e la violenza ad esse collegate senza mai arrivare a porre l’accento, a puntare il dito, sul vero asse della discriminazione che è appunto il patriarcato! Voi mi direte che non potevo aspettarmi niente altro da un personaggio di quella pasta, non potevo certo aspettarmi che facesse un vero discorso di decostruzione dell’esistente, sarà però che la cosa che mi ha inquietata è stata proprio l’uso di quella terminologia piegata in quel modo, la facilità con cui le parole e a volte anche i concetti possano essere presi e stravolti da chi, poi, ne fa un’arma propria, un’arma di promozione di un pensiero opposto all’ambiente culturale e politico nel quale quei concetti stessi sono nati, si sono sviluppati, si sono fatti strada nel mondo.
Alcune cose dovremmo conoscerle ormai bene ma non fa mai male ripassare un po’ le basi: in una società patriarcale la discriminazione non si riduce certo alla sola “disparità” di genere intesa come il riconoscimento materiale di una disparità che è pur fondativa dell’ordine di questo mondo (intendiamoci, questo tipo di parità, se ci fosse, non mi farebbe schifo!)
In una prospettiva femminista il patriarcato è quell’insieme di oppressioni che agiscono nel normare la società stabilendone le gerarchie, fissando, descrivendo e creando, colui che è all’apice della piramide di potere, in altri termini il maschio bianco cisgender: un maschio bianco etero socialmente identificato e riconoscibile. In questa prospettiva di critica cui diamo ora anche le connotazioni del transfemminismo, la mancata parità di genere è appunto uno degli aspetti preso in esame a cui sono collegati tutta una serie di altri elementi un po’ meno materiali, un po’ più culturali.
Questi elementi vanno dalla femminilizzazione, come connotato svilente, alla mancanza del riconoscimento dell’esistenza di altri generi oltre al binarismo maschio/femmina, al mancato rispetto delle scelte sessuali delle diverse persone, cui sono legate le varie fobie e che è causa di altrettanta violenza, al sessismo come elemento di dominio. Quando si denuncia la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, quando si lotta contro questi elementi, è necessario mettere in discussione è il patriarcato nella sua interezza, come elemento strutturale, elemento che sta alla base di questa società per come essa è. Quando si parla di “cultura dello stupro” si prendono in esame una serie di fattori che dimostrano come, nella strutturazione delle relazioni sociali e della vita nel suo complesso, le differenze di genere sono tali da giustificare, rendere possibile, pensabile e vivibile una situazione di dominio sull’altr* grazie al privilegio del quale si gode in base alla norma, un dominio che può sfociare nella violenza fisica agita e palese ma che può anche rimanere nascosto senza essere meno pericoloso o pervasivo.
Uno degli elementi base della cultura dello stupro è la visione binaria dei ruoli di genere, una visione precisa in cui si concepisce che una delle due parti è dominante, quella maschile, attiva, possessiva, decisionista ed una dominata, quella femminile passiva, accogliente, incapace di scegliere per sé. Non ci sono molti orpelli da fare a questo quadretto, le battute sessiste sono svilenti della persona che le subisce e lo svilimento sta sempre nei riflessi femminilizzanti, la femminilizzazione cioè è la chiave dello svilimento. È per questo che ad esempio l’omosessualità viene così stigmatizzata, è sempre per questo che vestirsi da “femmina”, quando non lo si è, è considerato ridicolo e imbarazzante (cosa che ad esempio non accade alle donne quando indossano abiti maschili); secondo numerosi studi di linguistica questo dominio ha dei chiari riflessi nelle parole e nella grammatica, perché la lingua è uno strumento di perpetuazione e formazione della cultura filosofica e materiale di una comunità e non è un caso che il singolare universale nella lingua italiana è il maschile, esso, l’universale, non è neutro ma maschile. Un altro fenomeno che viene spesso ascritto tra le cose che non sono tanto importanti è la minimizzazione degli episodi di abuso o di discriminazione: si giustificano comportamenti di sopraffazione, magari minimi, magari piccolissimi, a volte difficili da cogliere anche per chi li subisce perché siamo tutti immersi nella stessa matrice, che però contribuiscono a rendere normale una certa visione, una certa geometria delle relazioni. Quando si minimizza un abuso si contribuisce a renderlo più accettabile.
Ora, il deputato di FdI non minimizzava: il suo era un intervento apparentemente, sinceramente contrario alla violenza nei confronti delle donne, un intervento in cui si riconosceva la “continua crescita dell’universo femminile” il che poteva anche sembrare una lusinga ma rimaneva in ogni caso un passo avanti rispetto a certi slogan maschilisti della retorica classica. A rassicurarmi però, ad un certo punto, alcune frasi finali hanno mostrato quello che poteva sfuggire ad una prima lettura veloce (che a volte tra genere e generi la differenza sembra sottile, quasi inesistente ma invece è già tutta lì! E quando si usano i concetti di universo maschile e universo femminile anch’essi andrebbero un po’ interrogati…)
Ad un certo punto “il loro” ha voluto dare una lezione a chi l’avrebbe letto svelando dove stava il punto ed ha quindi aggiunto: “chi usa qualsiasi forma di violenza nei confronti di una donna è un mezzo-uomo, una persona incapace di rappresentare il suo ruolo e di farsi valere per quello che riesce ad essere”.
Intendiamoci, non avevo certo dubbi rispetto a quello che un esponente di quel partito avrebbe potuto dire a proposito di che cosa è un “uomo intero” però certo, in questi tempi difficili, non si capisce quasi più nulla, tutto viene recuperato e rigurgitato alla velocità della luce: la comunicazione serve Capitali e Stati per imbiancarli di nobiltà, i confini sono permeabili a tutto tranne che alle persone che muoiono nel tentativo di varcarli, sono tempi in cui un professore di cattedra non trova altri argomenti per attaccare una politica che sorride ai saluti romani se non quello di insultarla con termini spregiativi che si riconducono ad una visione maschilista e sessista, oltre che specista. Ecco però che pur in un intervento apparentemente tanto progressista il signor Zucconi ci tiene ad alludere non troppo velatamente al fatto che esista un Uomo intero degno di questo nome, che questo Uomo ha di fatto “perso dei punti” nei confronti della Donna che in questi anni invece è riuscita a conquistare ambiti a lei prima preclusi e che in questo modo ha potuto sviluppare quell’universo femminile cui faceva riferimento sopra.
Con questa chiarificazione egli mi ha illuminata dandomi la possibilità di reinserire le sue precedenti comunicazioni nel giusto ambito di provenienza: un quadro filosofico in cui esistono due generi, dove questi generi sono legati a dei ruoli precisi che contribuiscono in accordo a confermare la società per come essa è. Una società in cui la sopraffazione è sempre possibile perché basata su discriminazione e lotta per il potere, una società in cui a ben vedere il vero uomo, l’uomo intero, è colui che forse difende la sua donna, ergendosi a scudo anziché ammazzarla, certo, questo fino alla prossima perdita di autorevolezza, al prossimo scivolone in cui lo scudo forte, si trasforma in arma contro chi difendeva.
Ora per concludere vorrei solo dire che siamo molto lontane dal raggiungere la sovversione dell’ordine patriarcale, siamo ancora molto lontane dal realizzare una società in cui le persone, le soggettività, possano vivere sviluppando le loro potenzialità in una prospettiva solidale e di rispetto dell’altrui esistenza e dell’ambiente e credo sia importante non perdere la bussola di fronte alla penetrazione di pensieri striscianti e apparentemente progressisti.
Chi mette in discussione le discriminazioni di genere senza una prospettiva femminista, è molto simile a chi mette in discussione il classismo, il capitalismo senza mettere in discussione il patriarcato. Siamo sempre ai fondamenti: razza, classe e genere, per fare una citazione, ed a questi il pensiero femminista intersezionale ha aggiunto anche altri assi di privilegio e quindi di discriminazione, le preferenze sessuali, l’abilismo… “Lo stupratore non è malato, è il figlio sano del patriarcato”.
Argenide
NOTE