E’ il 23 dicembre, a Sesto San Giovanni l’area dello scontro a fuoco che ha determinato la fine di Anis Amri è ancora transennata così come la porzione del mercatino di natale berlinese investita dal Tir guidato volontariamente sulla folla.
Devo chiedere un’informazione ed entro in un’agenzia di un grande istituto bancario, è una piccola agenzia di un paese dell’hinterland milanese ne approfitto perché con un’occhiata ho visto che non c’è la solita coda. Mentre varco la seconda porta di sicurezza, un uomo piuttosto giovane sta uscendo e ormai vicino all’uscita ad alta voce esclama: “ torna al tuo paese, tornatene al tuo paese…”. Aggiunge qualche altra parola ma non capisco, lì per lì non comprendo neppure a chi siano indirizzate quelle frasi, pare quasi stia prendendo in giro qualcuno come alcuni fanno dopo una bevuta al bar. E’ sulla soglia, mentre io sono entrato, si ferma e ripete, questa volta con un tono inequivocabilmente aggressivo: “ te ne devi andare dall’Italia, capito….”.
Ora mi è chiaro anche l’interlocutore visto che si è alzato dalla poltroncina su cui sedeva davanti al cassiere ed “esplodendo” in una sequenza di “testa di c…” si gira verso chi gli ha urlato contro. Il cassiere adesso è in piedi e trattiene per un braccio il suo cliente che ora ho riconosciuto essere il panettiere da cui compravo il pane prima che cambiassi casa, credo che siano passati almeno vent’anni da quando apri il negozio, una persona che i più definirebbero come gran lavoratore. Ricordo che finito di cuocere il pane di mattino presto saliva sul furgone ed iniziava il giro delle consegne a domicilio. Probabilmente lo farà ancora, almeno a giudicare dagli indumenti che, nonostante l’ora e il luogo, una volta alzatosi, risultano visibilmente infarinati. Inaspettatamente, eccolo qui trattenuto per un braccio da un impiegato di banca che per calmare le acque non trova di meglio da dire che: “ E’ natale, dai è natale..” Intanto la seconda porta di sicurezza si è chiusa alle spalle dell’urlatore.
Il signor Rami, chiamiamolo così (anche se conosco il vero nome cognome), si è riseduto e mentre firma alcuni documenti inveisce borbottando qualcosa che non comprendo, contro chi è ormai lontano. Quello che non ho ancora detto, ma qualcuno lo avrà già capito, è che il signor Rami è di origine nord africana. Non so se sia religioso, né quale religione eventualmente professi, ma la frase del cassiere riferita al natale, spesso pronunciata a ridosso del 25 dicembre per appianare piccoli dissidi e discussioni, poteva “suonare” non solo inopportuna ma addirittura controproducente.
Del resto, pur considerando che il natale abbia perso molto del suo significato religioso (cristiano) a favore del mercato ispirato dal ben affermato modello consumista, invitare alla calma ispirandosi all’idea che a natale si è tutti più buoni ed indirizzare l’invito a chi è appena stato provocato e potenzialmente di religione islamica, denota una visione culturalmente limitata o quantomeno superficiale. Mentre mi sto chiedendo quale potesse essere il motivo scatenante di quella situazione un’altra persona, in attesa all’interno della banca, si sente in dovere di intervenire e con tono da rimprovero esclama: “Non devi dire parolacce, …. non va bene se dici parolacce”. Il signor Rami si ferma, si volta e risponde con diversi improperi, il cassiere, temendo il precipitare della situazione, ripropone il suo: “ E’ natale, su è natale”.
A questo punto il signor Rami raccoglie le sue carte ed esce. E’ durato tutto pochi secondi, rimango senza parole, ma i pensieri si rincorrono nella testa…. Ma in quale altra occasione, se i soggetti coinvolti fossero stati solo italiani indigeni, qualcuno si sarebbe sentito autorizzato ad usare il “tu” rivolgendosi ad una persona non conosciuta? Chi si sarebbe mai permesso di intromettersi in un litigio dicendo ad uno dei “contendenti” di non dire “parolacce”?
Il signor Rami ha tre figli tutti nati sul suolo italico, come si sarebbero sentiti se avessero ascoltato quelle frasi che lo “invitavano” ad andarsene? Come avrebbero interpretato la reazione del padre, conosciuto come un uomo tranquillo e di poche parole? Difficile non provare un po’ di rabbia, difficile arrestare il rancore, difficile sentirsi a “casa” anche se a casa ci si trova.
Tutto questo si è svolto in una banca….lo “straniero” coinvolto appartiene alla categoria di ”chi c’è l’ha fatta” almeno dal punto di vista economico, la sua panetteria è uno degli esercizi meglio avviati dell’intero paese. Che esperienza potrà vivere chi attraversa il mediterraneo a bordo di un gommone per finire “posteggiato” in un centro di prima accoglienza, recluso per mesi in un CIE, o peggio nelle patrie galere, perché classificato come clandestino?
Ma che umanità è quella che di fronte alla disperazione di chi lascia la propria terra per sperare in un futuro migliore, di chi scappa dalla guerra, dalle persecuzioni delle dittature, o semplicemente dalla povertà non sa dire altro che: “Ritorna al tuo paese”? Che società è quella che prima organizza campi dove si ammassano esseri umani di fatto ritenuti di “serie B”, preoccupandosi di trovare il sistema per rispedirli nell’inferno da cui sono fuggiti? Se qualche porta si apre è quella dello sfruttamento come manodopera a basso costo è zero diritti esposta al ricatto dei caporali da una parte e alla minaccia delle espulsioni e dei rimpatri forzati dall’altra.
Una società in cui le merci si spostano più liberamente degli esseri umani è una società che gli Amrin li alleva senza neppure il bisogno di scomodare il dio di turno. Quando il razzismo da strisciante diventa urlato non per l’azione di un gruppo organizzato che cavalca la paura per guadagnare spazio politico ma da singoli individui nel contesto del “banale quotidiano” allora il pericolo è grande e di fronte ad esso non ci si può permettere di rimanere senza parole.
L’Osservatore Normanno