Le incertezze dell’attuale scenario politico in Brasile hanno scatenato le più varie speculazioni su come il nuovo regime tratterà gli attivisti sociali. In generale, sono state fatte molte minacce durante la campagna elettorale da parte del candidato filofascista Jair Bolsonaro, non solo contro i sostenitori del Partito dei Lavoratori, il PT, ma contro tutti gli “attivisti”. Queste dichiarazioni, accompagnate da fatti concreti, attacchi fisici ed innumerevoli testimonianze delle molestie più varie, causano nel campo di coloro che sono colpiti più direttamente grande insicurezza, stimolando paura ed anche panico.
Per quanto riguarda le minacce, crediamo che siano reali, non semplici promesse, sono già la realizzazione di ciò che è stato annunciato. La loro natura concreta rende impossibile dubitare delle loro intenzioni. In questo senso, non c’è nulla che contrasti i fatti. Tuttavia, mentre è vero che gli attacchi si intensificheranno e toccheranno maggiormente i settori popolari ed anche la classe media, non è meno vera l’osservazione che la paura e il panico non derivano direttamente e unicamente dalle minacce. Molto spesso, questi sentimenti sono più il prodotto della solitudine che il risultato diretto delle minacce. Anche se emotivamente il “grilletto” che la fa scattare è la minaccia, è nella solitudine che la paura si rafforza di più e trova il suo significato più autentico.
La paura alimenta la solitudine, l’isolamento politico e la mancanza di strutture organizzative coerenti. La paura è l’espressione individuale e collettiva delle mancanze fondamentali. Più che l’affettività interpersonale, la realtà, la minaccia concreta, richiede un’organizzazione ed una lotta comuni. Oltre che un’organizzazione politica, oltre che meccanismi coerenti di difesa e attacco, è anche necessaria la solidarietà. Questi sono aspetti complementari ed inseparabili che, nel passato, l’intelligenza rivoluzionaria sapeva come affrontare tramite “la solidarietà dei fratelli internazionali”.
È importante separare le minacce concrete dalle nostre paure diffuse. È strategico separare ciò che ci minaccia da ciò che ci manca per affrontare tali pericoli con l’energia necessaria. Se, da una parte, non possiamo evitare le minacce, dall’altra possiamo evitare la paura. Le minacce provengono dai nostri nemici mentre la paura viene da noi stessi. È impossibile evitare ciò che il nemico intende fare con militanti ed attivisti, ma è più che necessario e fattibile eliminare la paura attraverso atteggiamenti e politiche chiari sui rapporti collettivi e sulla solidarietà interpersonale.
Se continuiamo a trasformare la minaccia in paura, giustificandoci col passato, lavoreremo ancora di più sulla “agenda del nemico”, seguiremo le sue orme, accetteremo le sue strategie e, così facendo, abbandoneremo la costruzione della nostra propria linea di azione. Ci trasformeremo in “vittime volontarie” quando decidiamo di continuare la lotta ed in “arresi” quando la abbandoniamo. In entrambi i casi, sarà un disastro.
Per riassumere, la minaccia è una tattica dell’oppressore, la paura è la completa mancanza di organizzazione degli oppressi, la sua solitudine più plateale.
La situazione attuale deve essere attribuita non solo alla crescita del conservatorismo, alla sua espansione nella società, all’ondata in cui ha annegato la democrazia rappresentativa nei sondaggi. Bisogna riconoscere che gli attivisti hanno assistito a una sorta di “prostrazione politica” quasi completa di fronte agli eventi degli ultimi anni. È necessario riconoscere che, nel caso degli anarchici, la propaganda delle idee è progredita molto più rapidamente delle esperienze concrete di integrazione nel tessuto sociale. Un’asimmetria di cui ci rendiamo conto, in queste gravi situazioni a lungo attese.
In generale, la sedicente “sinistra” si è comportata in tre modi negli ultimi cinque anni. O collaborava direttamente con il “blocco progressista popolare”, o ne era il suo “sostenitore critico”, od anche, nel caso degli anarchici, insufficiente nella “opposizione proposizionale”. Una diagnosi che, da un lato, presenta importanti sfumature ideologiche; d’altra parte, non allevia nessuna delle loro responsabilità. Ciò non nasconde la mancanza totale o quasi totale di progetti sociali davvero efficaci.
Di fronte alle minacce del presidente filofascista, concrete e dirette, dobbiamo organizzare più che mai i nuclei della resistenza. È necessario organizzarli senza le carenze evidenziate qui.
Devono essere “forti” e “dense”. Le nostre proposte antifasciste devono essere forti e socialmente dense. È necessario che la proposta politica e ideologica sia forte, che identifichi l’avversario con chiarezza e che, allo stesso modo, permetta l’integrazione col corpo sociale definendo le molte necessità che la lotta deve riconoscere per non perdere la sua sostanza.
In questo senso, la costruzione può avvenire solo dal basso verso l’alto e dalla periferia al centro. Deve svilupparsi attraverso la federazione degli sforzi e delle organizzazioni, attraverso nuclei attentamente e pazientemente costituiti e nel rispetto delle alleanze. Un’articolazione in cui l’autodifesa è l’obiettivo più immediato ma che non nasconde la sua ambizione a lungo termine di promuovere una cultura radicalmente democratica, in grado di resistere a qualsiasi scenario imposto da un “incidente elettorale”.
Alcune di queste organizzazioni ed iniziative esistono da diverso tempo. Alcune negli ultimi anni hanno persino messo in pratica ciò che proponiamo qui. In questo caso, si raccomanda la ricerca della formalizzazione delle alleanze, di relazioni politiche più esplicite volte all’autodifesa. Che ci si riunisca nel modo che sembra il più utile ed il più sicuro in ciò che riteniamo più urgente in base alla sua fisionomia sociale ed al suo orientamento ideologico.
È urgente che una volta che ci si è federati e si siano affermate le identità, si definisca una strategia di alleanza globale. Occorre scegliere gli alleati sulla base di criteri di fiducia e affinità. Occorre che una rete di supporto e difesa sia costruita, che sia utile contro le molestie immediate, ma che porti anche ad un accordo minimo sui prossimi passi. Una rete di supporto reciproco che non solo servirà per la situazione attuale, ma che sia destinata ad essere efficace nella lotta.
Comprendiamo che è il momento di unire i nostri sforzi contro le minacce. È necessario mettere al servizio della sopravvivenza di individui, gruppi e tradizioni rivoluzionarie tutto il retaggio di resistenza che ci è stato lasciato dai decenni precedenti. È nella stessa misura urgente comprendere che tutto ciò che ci distingue farà la nostra forza. Possa la pluralità potenziare l’unità senza uniformità e che la minaccia resti solo l’intenzione del nemico comune e non la ragione delle nostre paure.
GAMA (Grupo de Afinidades e Movimentação Anarquista)
Traduzione di Enrico Voccia