A fine marzo la magistratura ungherese ha respinto la richiesta di trasferimento ai domiciliari di Ilaria Salis. Arrestata nel febbraio del 2023 la compagna è in carcere preventivo da 14 mesi. Se non verranno accolti i prossimi ricorsi Ilaria e l’altra antifascista detenuta resteranno in cella almeno sino al termine del processo di primo grado, che non si concluderà prima di fine anno.
Da allora si sono moltiplicate le iniziative di appoggio a Ilaria e a tutti gli antifascisti finiti nel mirino della repressione.
La sua vicenda è tuttavia balzata agli onori delle cronache solo il 29 gennaio, quando, alla prima udienza del processo a suo carico, è stata condotta in aula in catene, con le manette ai polsi e i piedi legati da ceppi di cuoio con lucchetti, mentre una secondina la trascinava con una catena.
Le immagini diffuse dai media hanno suscitato ampia indignazione ed hanno messo in moto un più ampio movimento per la sua liberazione.
Le catene e i ceppi sono solo la punta dell’iceberg. La condizione detentiva che Ilaria Salis descrive è durissima: detenuti al “guinzaglio”, obbligo di guardare il muro durante le soste nei corridoi, “malnutrizione”, scarafaggi, topi e cimici “nelle celle e nei corridoi”, “una sola ora di aria al giorno”. Per sei mesi Ilaria non aveva “potuto comunicare con la famiglia”, mentre durante l’unico interrogatorio, avvenuto senza avvocato, era stata umiliata pubblicamente, costretta “a indossare vestiti sporchi, malconci e puzzolenti”.
Ilaria Salis rischia sino a 24 anni di reclusione per fatti per i quali nel nostro paese, dove i reati politici sono sanzionati in modo molto pesante, non è prevista la detenzione preventiva in carcere.
Le accuse ad Ilaria si inseriscono in un maxiprocesso intentato dalla magistratura magiara contro una ventina di antifascisti di mezza Europa, arrivati a Budapest nel febbraio 2023 per opporsi alla calata continentale dei neonazisti per la cosiddetta “Giornata dell’onore”, in cui celebrano l’ultima resistenza dei nazisti europei all’avanzata delle truppe sovietiche sulla capitale ungherese.
Le antifasciste e gli antifascisti sono accusati di avere contrastato i nazisti per le strade, provocando ad alcuni di loro ferite giudicate guaribili in otto giorni. Nonostante l’estrema lievità dei fatti i pubblici ministeri ungheresi chiedono che gli antifascisti e le antifasciste siano condannati per lesioni aggravate e tentato omicidio.
I procuratori magiari non si limitano ai fatti accaduti a Budapest né ai giorni della commemorazione nazista, perché hanno formulato anche l’accusa di “associazione a delinquere”, collegandosi ad un ben più ampio procedimento aperto in Germania dal 2018. L’inchiesta “AntifaOst” coinvolge numerosi compagni e compagne tedesche accusate di aggressioni ai danni di neonazisti tedeschi. Il tentativo è quello di affermare l’esistenza di un’associazione criminale che avrebbe organizzato gli attacchi avvenuti in Ungheria.
Per questo motivo oltre a Ilaria e Maja, detenute a Budapest, la procura ungherese ha spiccato 14 Mandati di Arresto Europei (MAE) nei confronti di altrettanti compagni tedeschi, italiani, albanesi e siriani. Molti di loro non sono stati trovati. Gabriele, arrestato lo scorso autunno a Milano, dopo mesi di domiciliari, è stato scarcerato perché la magistratura italiana ha negato l’estradizione.
La magistratura magiara e quella tedesca provano a trasformare in delitto la spontanea risposta di antifascisti e antifasciste all’esaltazione dell’Europa sotto il tallone nazista, inventandosi legami associativi per seppellirli in carcere anche per fatti bagatellari.
Il governo italiano ha avuto sin dal principio un atteggiamento ambiguo, in cui Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno recitato ciascuno il proprio copione. La Lega fa affermazioni pesantissime per mantenere salda la propria immagine di destra intransigente, gli altri partiti di governo effettuano un’indegna operazione di immagine per accreditarsi come destra democratica di fronte agli “eccessi” dei camerati ungheresi.
Il consueto shit storming della stampa di area governativa ha investito Ilaria Salis, emettendo una condanna alla sua identità di antifascista al di là dei fatti per cui è imputata. “Se l’è cercata!”, “perché non se ne è stata a casa invece di andare in giro a picchiare passanti?”, “è inquietante che persone simili insegnino ai nostri figli”. È la logica del diritto penale del nemico, che, da solida tradizione nazista, colpisce collettivamente identità considerate in sé pericolose, in sé criminali. È la logica che ha aperto i lager nazisti.
Sebbene il governo abbia evitato di avallare pubblicamente le catene ed i ceppi, tuttavia non si è speso minimamente per ottenere il trasferimento di Salis in Italia. Anzi! Le ultime dichiarazioni di Meloni ricalcano quelle del governo ungherese. La compagine guidata da Orban lancia moniti sul principio dell’indipendenza della magistratura, ma dichiara senza esitare che “lei e i suoi compagni hanno commesso aggressioni barbare e premeditate contro cittadini ungheresi.” Il governo magiaro si erge a pubblico ministero, giudice e giuria, per dettare una sentenza già scritta.
Nell’ultimo periodo il movimento per la liberazione di Salis si è allargato, dando vita a numerose iniziative che hanno travalicato gli ambiti di movimento.
Anche settori dell’opposizione, come il PD si sono schierati sul caso Salis, sino ad ipotizzare una sua candidatura alle prossime elezioni europee.
Siamo convint* che la liberazione di Ilaria Salis e degli altri antifascist* detenuti sia un obiettivo primario.
Non possiamo tuttavia dimenticare che il PD, dai banchi dell’opposizione, si fa paladino dell’antifascismo ma, quando è stato al governo, non è stato da meno della banda Meloni nell’attuare politiche repressive e nel perseguimento della logica del diritto penale del nemico.
Torture e trattamenti inumani e degradanti nelle carceri italiane non sono l’eccezione ma la regola.
I suicidi nelle carceri e nei CPR italiani, il 41 bis, la morte per patologie non curate, le deportazioni di migranti legati ed incatenati, i respingimenti di massa, la repressione di chi soccorre in mare i naufraghi della guerra ai poveri, le condizioni di schiavitù in cui lavorano i braccianti impiegati nelle nostre campagne ci raccontano tutto della democrazia italiana.
Quando qualcuno viene trovato impiccato in una cella, quando 14 persone muoiono dopo una rivolta nel carcere di Modena, non ci raccontino che la democrazia è stata tradita. La democrazia ha semplicemente svelato la propria vera natura, mostrando il volto feroce che gli Stati hanno nei confronti di chi lotta e di tutti gli scarti della guerra sociale.
Ma al peggio, a volte, non c’è fine. Ilaria Salis, suo malgrado, ci ha mostrato che possono esserci pozzi ancora più profondi e neri di quelli che, anche da noi, inghiottono e piegano tante vite, luoghi dove, per legge, puoi essere incatenato, trascinato, umiliato.
Il pozzo nero dell’Ungheria sedotta dal nazismo è lo specchio nel quale rischiamo di scorgere un futuro ancora più scuro per l’Europa intera. E, in primis per il nostro paese, dove i fascisti al governo rendono sempre più violenta e autoritaria la stretta intorno ai movimenti di opposizione sociale.
Auspichiamo che la vicenda di Ilaria Salis possa fare da detonatore per la crescita di un movimento ancora più ampio, che ponga al centro la sua liberazione, ma sappia anche porre un freno a chi, passo dopo passo, decreto dopo decreto, sta provando a normalizzare a forza la nostra società.
Libertà per Ilaria e per tutte le antifasciste e gli antifascisti.
Nessuna galera, nessuna frontiera, per un mondo di libere ed eguali!
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana – FAI
7 aprile 2024