Giorno del ricordo selettivo
Come ogni anno il 10 febbraio viene celebrata la “giornata del ricordo”. Si vorrebbero ricordare le popolazioni istriane costrette all’esodo tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni cinquanta ma, nei fatti, si celebra il peggior nazionalismo revanscista.
Partiamo dai fatti: alla fine della seconda guerra mondiale in tutta Europa, soprattutto in quella orientale, più di venti milioni di persone sono costrette ad abbandonare i loro territori natii e a insediarsi altrove. Questo avviene lungo tutte le linee di frontiera ed è accompagnato ovunque da dinamiche estremamente violente. La seconda guerra mondiale, scatenata dalle velleità imperialiste di tutte le potenze in gioco, lasciò profonde cicatrici in tutto il continente: sul confine orientale italiano si assistette all’esodo di circa trecentomila persone e ad una cifra non facilmente determinabile, ma non superiore al migliaio, di omicidi. Il territorio giuliano-istriano era stato incorporato dal regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale, condotta dall’Italia come guerra di aggressione nei confronti degli austroungarici, con cui il regno era stato alleato fino a poco prima, e venne fin da subito sottoposto a un’italianizzazione forzata. Queste operazioni di vera e propria pulizia etnica-culturale vennero rafforzate e ampliate dal regime fascista, con l’ovvio placet di Casa Savoia: vennero distrutti i centri culturali slavi e proibito l’utilizzo delle lingue non italiane, furono italianizzati i nomi delle località e i cognomi delle persone. Con l’entrata in guerra nel 1940 l’Italia fascista procedette all’invasione dei territori sloveni e croati: nuova ondata di pulizia etnica, decine di migliaia di civili costretti a morire di fame nei campi di concentramento italiani, paesi interi dati alle fiamme e rappresaglie con centinaia di morti che nulla ebbero da invidiare a quelle operate dall’esercito nazista qualche anno dopo in Italia. Per dare l’idea delle modalità di gestione messe in campo dai fascisti basti pensare che la capitale slovena, Lubiana, venne interamente circondata da una barriera di filo spinato e postazioni militari per spezzare la resistenza della popolazione. Nessun ufficiale italiano venne mai processato per quei fatti: anzi, o beneficiarono delle varie amnistie del dopoguerra o non vennero mai nemmeno incriminati. Dopo il 1943 il territorio giuliano-istriano-dalmata fu svenduto dalla Repubblica Sociale Italiana all’alleato nazista che venne quindi direttamente controllato dalle autorità germaniche. Queste continuarono la feroce repressione nei confronti di tutta l’opposizione, sia italiana che slava, e crearono il campo di concentramento e di sterminio della Risiera di San Sabba dove perirono più di cinquemila tra oppositori politici ed ebrei.
Questi sono gli antefatti, in forma sintetica, degli avvenimenti dell’esodo.
Prima che qualcuno ci tacci di voler nascondere la polvere sotto i tappeti o tiri fuori altre simili amenità: sì, le milizie titine commisero una serie di omicidi. In parte rivolti contro fascisti e collaborazionisti, in parte rivolti verso resistenti, anche comunisti, non allineati al ComIntern e, dopo la svolta antisovietica, verso comunisti non allineati con le posizioni prese dal governo di Tito. In mezzo a queste dinamiche vi furono anche dei processi di pulizia etnica, seppur di minore intensità rispetto a quelli messi in campo dallo stato italiano nei decenni precedenti. Dinamiche complesse che rispecchiavano la complessità della situazione che vedeva quei territori come perno dei primi grandi scontri geopolitici tra i blocchi della guerra fredda. E a loro volta queste dinamiche rispecchiavano in parte la complessa composizione etnica del territorio, che però, è bene ricordarlo, non aveva prodotto scontri fino al rafforzarsi dei nazionalismi del ventesimo secolo, in primis di quello italiano a guida liberal-monarchica prima e poi fascista-monarchica.
La causa prima dell’esodo delle popolazioni italiane e delle conseguenti ondate di profughi che, detto per inciso, non furono propriamente ben accolte dal resto del paese, furono le stesse dei due conflitti mondiali della prima metà del novecento: le mire espansioniste e imperialiste degli stati, la volontà di espandere i propri mercati esclusivi da parte delle classi padronali, il disciplinamento della popolazione tramite le ideologie nazionaliste, i conflitti per il controllo dei territori colonizzati.
La via per uscire da queste dinamiche omicide è una sola: rifare il mondo dalle basi, costruire una società che garantisca un equo accesso alle risorse, che si opponga alle discriminazioni di razza, classe e genere e che decostruisca i miti nazionalisti e le frontiere.
FAI reggiana
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La presentazione dell’Associazione culturale P. Gori
Si è svolta nella serata di venerdì 22 gennaio, presso la sede della FAI milanese in viale Monza 255 g.c., la presentazione della Associazione Culturale P. Gori. La presentazione è stata condotta con interventi di Enrico, Santo, Franco, Michele.
E’ stato illustrato il progetto della Associazione la cui finalità principale è rivolta alla ricerca, allo studio e all’analisi dei movimenti che, nella storia e nell’attualità, hanno perseguito o perseguono un percorso con il metodo dell’autorganizzazione e dell’autogestione come elemento fondamentale nel percorso d’emancipazione sociale. Movimenti d’emancipazione che non fanno riferimento solo alle lotte dei lavoratori e lavoratrici, ma di tutte quelle espressioni nei vari campi della società con le stesse finalità e metodologie: dalle pratiche operaie attraverso l’anarcosindacalismo, ai movimenti d’emancipazione della donna, alle figure importanti che hanno dato un contributo significativo in tale direzione; seguendo e analizzando anche quei movimenti di resistenza e di liberazione, passati e presenti, che in Italia e nel mondo si basano sulla pratica dell’autogestione.
Si vuole anche valorizzare l’influenza e la contaminazione che questi movimenti di lotta hanno dato, e danno tutt’ora, nei vari aspetti sociali, nella musica e nelle canzoni, nella sperimentazione dell’ambito teatrale e cinematografico, nei vari aspetti artistici, negli stili di vita. Si è portato l’esempio del teatro sperimentale “Dionisio”, teatro di strada, che è nato nell’esperienza del 1969 all’interno dell’occupazione dell’ex Albergo Commercio a Milano, trasformato in “Casa del lavoratore e dello studente”, un’esperienza -quella del Dioniso- proseguita in Sardegna, scenario in quel momento di un movimento popolare di occupazione dei territori del poligono di Pratobello. Su tale esperienza si sta già raccogliendo materiale (video e documenti) per una possibile prossima divulgazione.
Si è accennato al collegamento con altre strutture libertarie nel campo dei materiali d’archivio e all’intenzione di riattivare esperienze che ebbero lustro anche a Milano in passato come quelle dell’Università Popolare.
E’ stata anche annunciata la volontà di divulgare alcune opere di P. Gori, particolarmente interessanti ed attuali tra cui, già disponibile nella serata, la ristampa dell’opuscolo “Sociologia anarchica” a cura delle Edizioni Immanenza (Napoli).
Si è anche sottolineato che l’Associazione non vuol essere un gruppo specifico e chiuso, portatore di una linea predefinita, ma ampiamente aperto alla partecipazione e alla collaborazione di tutti coloro che hanno medesimi interessi di ricerca e divulgazione. In tal senso l’Associazione intende proporsi come luogo d’incontro dell’eterogeneità che caratterizza le diverse personalità e le diverse esperienze dei suoi promotori, dei suoi sostenitori e dei suoi collaboratori.
Si è anche aggiunto che del progetto dell’Associazione culturale P. Gori è parte integrante anche l’idea della costituzione di un GAS (gruppo d’acquisto solidale) con il preciso intento di creare una rete di collegamento tra le varie realtà produttive che si basano sull’autogestione.
Si è colta l’occasione per ringraziare tutti quei compagni, la maggior parte residente fuori Milano, che hanno risposto all’appello impegnandosi come collaboratori, fornendo una consistente documentazione riguardante il loro impegno di ricerca, sviluppo e diffusione della cultura libertaria.
Si è precisato, infine, che - come già sicuramente noto ai più - l’Associazione ha partecipato al bando comunale per l’assegnazione dei locali vuoti presenti nella stessa palazzina di viale Monza. Si è ribadito, però che, anche nel caso di mancata assegnazione il progetto dell’Associazione andrà avanti ugualmente, attraverso un percorso itinerante di ospitalità delle iniziative via via programmate e la relativa costruzione di una rete di collegamento tra le varie realtà culturali presenti sul territorio.
Sono seguiti interventi interessanti da parte di compagni presenti che hanno dichiarato la volontà di partecipare all’Associazione in quanto vedono in essa uno strumento per aprirsi e confrontarsi all’esterno dell’area libertaria e portare la nostra influenza nella società. Altri hanno evidenziato l’interesse verso l’Associazione per come si propone già nella comunicazione della presentazione stessa, evidenziando quello spirito aperto al confronto che raramente s’incontra nelle aggregazioni della sinistra, come spesso denota la chiusura auto-referenziale degli stessi centri sociali.
Dopo la serata all’Ateneo Libertario sono state programmate le prime iniziative. Il 29 gennaio presso lo spazio Micene è si è discusso di antifascismo anarchico con la presentazione del libro “Per la Rivoluzione Sociale”. Altre due iniziative incentrate sul canto anarchico sono previste per le prossime settimane e di queste daremo notizie.
L’incaricato