A differenza delle aspettative il secondo turno – ballottaggio delle elezioni presidenziali brasiliane del 30 ottobre 2022 è stato vinto per solo due milioni di voti da Lula. Alla notizia è stata data ampia diffusione anche dai media occidentali. L’esponente del PT (partito dei lavoratori) sostenuto da un “fronte ampio” composto da organizzazioni e partiti di destra, di centro e di sinistra e la stampa internazionale si aspettavano una vittoria con margini più ampi. La notizia più dirompente non è stata dunque la vittoria di Lula, ma la sconfitta elettorale non deflagrante di Jair Bolsonaro (PL) esponente dell’estrema destra reazionaria, già al governo del paese dal primo gennaio 2019 ad oggi.
Un presidente che ha esasperato le fratture sociali nel paese basando su aspetti fortemente identitari e di classe la propria affermazione personale. Un ciclo politico caratterizzato da leaderismo, con la figura dell’uomo forte al potere circondato da figure obbedienti e appartenenti al clan del leader.
Sono state decine di migliaia le persone che i giorni successivi all’annuncio dell’esito elettorale hanno protestato per presunte frodi nel conteggio dei voti. Lo stesso Bolsonaro, dopo due giorni di silenzio, non ha accettato la sconfitta ma ha permesso il passaggio dei poteri a Lula. Contro l’esito elettorale manifestazioni in tutto il paese hanno sostenuto i blocchi autostradali realizzati dai camionisti in almeno 25 stati del paese, numerose imprese hanno sospeso l’attività per bloccare il paese. Nelle capitali bolsonariste migliaia di persone hanno manifestato davanti alle caserme chiedendo l’intervento e la dittatura militare. Vestiti con bandiere brasiliane, scandivano lo slogan della campagna elettorale di Bolsonaro “Brasil acima de tudo, deus acima de todos”. Di converso, numerose sono state le manifestazioni e le iniziative di risposta, nate dal basso, da movimenti sociali e da organizzazioni politiche per fronteggiare queste piazze reazionarie.
“Con le elezioni di fine 2018 e quelle di oggi, 2022, si è cristallizzata la presenza organizzata e attiva di conservatori e fascisti in Brasile” riferisce un compagno brasiliano “Ma dobbiamo ricordare che non stiamo fronteggiando un fenomeno nuovo. Basta un rapido sguardo alla storia del Brasile repubblicano e si può vedere che conservatori e fascisti sono sempre stati presenti e attivi nella politica sia istituzionale che extraistituzionale.
La transizione alla democrazia voluta dai militari verso la fine della dittatura in Brasile nel 1988 ha imposto un patto di silenzio e impunità contro i crimini della dittatura i cui effetti si riverberano oggi in queste forme.”
In questi anni Bolsonaro è stato in grado di aggregare e compattare le componenti sociali più reazionarie e garantire a loro una legittimità politica. La minoranza che ha contestato nelle strade il risultato elettorale è la parte più attiva e visibile di una componente sociale trasversale molto più ampia che si identifica con i valori della patria e dell’ordine, che si affida al ruolo delle forze armate per il mantenimento della pace sociale, e guarda con fiducia alla presenza di componenti dell’esercito in posizioni apicali di governo e alla presenza delle forze armate nella società civile (nelle strade, così come nelle scuole e nei servizi).
Ad oggi il 40 % della popolazione brasiliana vive di lavoro informale mentre si stima siano ad oggi trenta milioni le persone sotto la soglia di povertà. Il messaggio politico reazionario è stato in grado di coinvolgere fasce trasversali di popolazione nonostante le politiche economiche di emarginazione delle fasce sociali più basse, la concentrazione della maggior parte della ricchezza nel 5% della popolazione, le politiche di accaparramento delle terre a favore degli interessi dell’agrobusiness e il sostegno alla grande imprenditoria privata. L’uso delle fake news, la capacità di condizionare il dibattito pubblico attraverso i social media e di utilizzare le piattaforme digitali, l’impiego e la diffusione di teorie cospiratorie, il sostegno di gran parte delle chiese evangeliche e pentecostali, hanno garantito l’amplificazione al falso messaggio “antisistema” di Bolsonaro ed al contempo la rassicurante visione basata sul dominio, il controllo e la sicurezza del modello sociale patriarcale così radicato anche nella società brasiliana.
Le azioni di controllo del narcotraffico effettuate da polizia e forze para-militari nelle favelas hanno portato, secondo i dati raccolti dalla ONG Forum brasiliano sulla sicurezza pubblica, all’uccisione di 6.400 persone nel solo 2020, numeri in crescita negli anni successivi. Numeri da guerra civile che in verità nascono dalle reti di convivenza tra apparati statali, paramilizie e narcotrafficanti in un rapporto clientelare continuativo che movimenta nel paese cifre superiori ai tre miliardi di dollari l’anno secondo stime del Gabinete de Segurança Institucional da Presidência da República del 2019
Mahu del collettivo Aurora Negra di Sao Paulo afferma che il processo di colonizzazione non si è mai arrestato. “Quanto viviamo ora è lo specchio dei valori e della paura che la classe media e alta, bianca, sta vivendo. Paura rispetto alle componenti sociali più disagiate, alle popolazioni originarie, alla possibilità di perdere potere di acquisto e capacità di spesa. Viviamo quotidianamente forme di razzismo, patriarcato e omofobia anche nelle relazioni interpersonali, se applicate ad una maggiore scala in parte si spiega quanto stiamo affrontando“.
Lula è uscito vincitore negli stati brasiliani più poveri, in quel nord est che vive ancora di sussidi e di aiuti statali e in alcune grandi città come Sao Paulo. E’ uscito sconfitto negli stati nei quali la produzione industriale è più avanzata e nei quali si registra la presenza di classe media più alta quali gli stati del sud, lo stato di Rio de Janeiro e di Sao Paulo.
Ma, aggiunge Samis un compagno di Rio de Janeiro, è importante inquadrare questo fenomeno anche sul piano internazionale: “L’individuazione e l’utilizzo di nemici sociali interni al paese così come nemici esterni caratterizza trasversalmente messaggi veicolati da Trump, dalla Meloni in Italia così come in buona parte dei paesi sia sud americani che europei da partiti reazionari e protezionisti. L’affacciarsi di attori quali la Cina e gli stati arabi nella globalizzazione sta facendo ripiegare gli stessi stati promotori della globalizzazione. E’ un conflitto nel mondo neoliberale che avviene per l’affermazione di differenti logiche di mercato e gruppi di interesse, a discapito delle classi sfruttate.
E Lula? In questa campagna concentrata principalmente sulle due figure candidate, sui due lider concorrenti, i contenuti programmatici sono passati in secondo piano.
Lula si pone ora come interlocutore che ricompatta le forze antibolsonariste in chiave nazionale. Si propone quale pacificatore del conflitto sociale. E’ il cardine di un grande centro politico in chiave populista brasiliana che cercherà di farsi interlocutore dell’intera nazione. Samis afferma che se Bolsonaro è il garante delle forze reazionarie, Lula ha assunto il ruolo di garante delle forze conservatrici.
Molte componenti di base sperano in Lula per un mutamento delle politiche su ambiente, sostegno alle fasce sociali deboli, lotta alla fame e alle disuguaglianze sociali, e riapertura del tema dei diritti. D’altra parte il marco temporal è stato parte del dibattito pre elettorale e impegni sulla preservazione delle risorse ambientali e il rispetto delle popolazioni originarie sono stati in cima alle promesse del neo presidente. Ma al contempo sulla sua figura hanno investito componenti storicamente conservatrici come la Rete Globo o partiti quali il Partido da Social Democracia Brasileira, parte della coalizione che ha appoggiato la candidatura di Lula, e che troverà nel vice presidente Geraldo Alckmin il proprio rappresentante di spicco nel governo.
Un compito doppiamente difficile perché la coalizione di Lula è in minoranza nella camera dei deputati e molti governatori statali eletti anche nell’ultima tornata elettorale sono bolsonaristi.
Inoltre a differenza del primo e del secondo mandato di Lula (questo è il terzo) l’economia brasiliana scricchiola e i rapporti internazionali vedono un terzo dell’export dirigersi verso la Cina, e rapporti solidi con la Russia per l’importazione di idrocarburi e fertilizzanti. Questi rapporti non verranno né modificati né messi in discussione da Lula.
Infine bisogna registrare la difficoltà della componente di base nell’attuale fase. I processi economici e sociali degli ultimi 15 anni, il covid ed infine le differenti letture del conflitto ucraino, hanno indebolito i movimenti sociali indipendenti da partiti politici e dalle strutture statali.
In questa fase vengono alla luce, resistono e continuano a fermentare gruppi antifascisti, gruppi ambientalisti e transfemministi, nuovi progetti nascono di sindacati di base indipendenti. Il conflitto di classe e sociale non riesce però a legarsi al malcontento delle periferie e a farsi progetto politico ampio e condiviso. Per il momento.
Bolsonaro si ripresenterà nel 2024 quale sindaco di Rio de Janeiro. Il bolsonarismo continua a vivere. Il cambiamento non arriverà da Lula.
Arianna