Il 19 luglio di 80 anni fa, gli operai e i contadini spagnoli, con le armi in pugno, dopo aver salvato la repubblica spagnola dal putsch militare franchista, si lanciarono ben oltre, alla ricerca di un mondo nuovo senza sfruttati né sfruttatori. In Catalogna, in Aragona e nel Levante, guidati dalle forze anarchiche e anarcosindacaliste, essi si impadronirono dei mezzi di produzione e di scambio, costruendo l’intelaiatura di una possibile società comunista libertaria.
I lavoratori, organizzati in milizie popolari dai sindacati CNT (anarco-sindacalista) e UGT (socialista), combatterono contro un esercito assai meglio armato e appoggiato dall’Italia di Mussolini e dalla Germania di Hitler. Nessun aiuto arrivò alle forze progressiste dalle democrazie francese e inglese, mentre la Russia di Stalin inviò aiuti con il contagocce, in ritardo, facendosele pagare a peso d’oro e li fece arrivare solo a quelle forze che si ponevano a difesa della proprietà capitalista e della democrazia borghese.
Il sogno di una società liberata fu stritolato tra le maglie d’acciaio della guerra. Ben presto arrivarono i compromessi: il ricatto delle armi che mancavano, spinse i dirigenti anarcosindacalisti a entrare prima nel governo catalano, poi in quello nazionale spagnolo. La partita si fece sempre più complicata, la dirigenza anarchica sembrò smarrire sé stessa e le proprie ragioni, mentre l’arroganza totalitaria dei “consiglieri” russi la fece sempre più da padrona. La breve estate dell’anarchia, prima ancora che dal fascismo, fu soppressa dalla coalizione democratico-stalinista che ebbe nel PSUC (il partito stalinista catalano) il suo Noske spagnolo.(1)
Durante le giornate di maggio del ’37 a Barcellona, quando le forze della controrivoluzione stalinista sferrarono l’attacco alla rivoluzione libertaria, si giocò sulle barricate la battaglia decisiva: CNT, FAI e POUM (comunisti di sinistra) da una parte; stalinisti, repubblicani e catalanisti dall’altra. I secondi vinsero per l’appoggio pesante della Russia, ma anche per le incertezze e per gli evidenti limiti politici del movimento libertario spagnolo. Così, nella notte tra il 5 e il 6 maggio, Camillo Berneri ed il suo amico Ciccio Barbieri furono assassinati a freddo da sicari stalinisti, andandosi ad aggiungere alle 500 vittime di quelle giornate.
La rivoluzione spagnola rappresentò uno spartiacque nella storia mondiale: il nazi-fascismo una volta vinta la guerra sociale in Spagna, scatenò la Seconda Guerra Mondiale, mentre per l’anarchismo internazionale dopo quella sconfitta niente fu come prima: solo con il ’68 prima e poi con i più recenti i movimenti internazionali l’ipotesi libertaria ha ricominciato una sua nuova vita.
La figura di Berneri in questo contesto è decisiva e simbolica allo stesso tempo: decisiva per il ruolo critico che egli ebbe in quelle tormentate e drammatiche vicende spagnole; simbolica perché la soppressione fisica della sua limpida intelligenza ha coinciso con il temporaneo declino di una storia lunga e gloriosa.
Nel secondo dopoguerra la figura di Berneri in generale ed il suo specifico agire e pensare in Spagna furono modellati in funzione di una neo-ortodossia anarchica priva di orizzonti politici. La personalità di Berneri fu accuratamente selezionata disegnando linee dritte dove in realtà vi erano curve e contro-curve, contraddizioni rilevanti e non pochi punti controversi.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, quando l’anarchismo è tornato all’attenzione di un vasto pubblico, anche la figura di Berneri è tornata alla ribalta ed è stata oggetto di un rinnovato interesse storiografico. È andato affermandosi negli anni un variegato milieu intellettuale, che ha tentato in vario modo di ridisegnare la figura di Berneri, conducendolo passo, passo, dalla sua militanza anarchica rivoluzionaria, fino al profilo di un uomo “fuori campo”, di “un intellettuale di confine”, di una tormentata intelligenza, svolazzante tra un anarchismo liberale, un liberal-socialismo ed un qualcosa di indefinito, tendenzialmente fuori da una rigida logica di appartenenza, oppure alla ricerca di un partito che non è mai riuscito a nascere.
Non c’è dubbio che il percorso intellettuale di Camillo Berneri è stato un percorso ricchissimo, affascinante, contraddittorio, contorto e controverso: un uomo che riesce a subire le suggestioni del marxista Angelo e del riformista Prampolini, dei classici anarchici Malatesta e Kropotkin, ma anche di un Salvemini, di un Gobetti, di un De Viti De Marco, di tutta la scuola liberista italiana (da cui la discutibile convergenza da lui ad un certo punto teorizzata tra collettivismo e liberismo).
Un uomo il”nostro” in cui troviamo il miglior Bakunin, il miglior Marx, e in controluce Gramsci, ma in cui troviamo anche il Proudhon più arcaico, da cui deriva, in parte, l’orrenda posizione berneriana sulla questione femminile. D’altra parte una notevole forza ha in lui il retroterra risorgimentale del Mazzini, del Cattaneo, del Ferrari e, se poi andiamo spaziando, troviamo il solido anarchismo nordico di Rudolf Rocker, il marxismo anti-determinista del sindacalista rivoluzionario Enrico Leone. Scavando ancora, ma nemmeno tanto, troviamo la sua passione per la democrazia radicale dei rivoluzionari francesi dell’89 e per la tolleranza liberale di Voltaire. Troviamo la viva simpatia politica per il conciliarismo operaio e per Rosa Luxemburg,(2) ma anche la più totale avversione al determinismo marxista da cui era pervasa la comunista polacca. Andando in filosofia troviamo certamente Kant, il matematico-filosofo convenzionalista Poincarè e quindi Einstein, l’ex prete Ardigò. Per non dire di certe simpatie evangeliche e tanto altro ancora!
Detto tutto ciò, però, questo intellettuale geniale e contorto, eclettico e problematico, entusiasmante e censurabile, concreto e sognatore, fu essenzialmente e innanzitutto un militante anarchico di prima fila. Uno che quando pensava che bisognasse attentare alla vita degli uomini del fascismo non faceva l’intellettuale, ci provava in prima persona, magari con risultati non proprio brillanti.(3) Berneri fu l’anarchico più espulso d’Europa, non perché era un intellettuale, ma perché era un organizzatore instancabile, pronto all’estremo sacrificio.
Berneri riuscì nella difficilissima impresa di coagulare il disperso anarchismo italiano dell’esilio e riunirlo nell’importantissimo convegno di Sartrouville dell’ottobre ’35.(4) Fu anche colui che guidò gli anarchici ad una ponderata alleanza con Giustizia e Libertà, fino alla formazione, nell’agosto del ’36, della Prima Colonna Italiana di combattenti antifascisti in Spagna.
Era sordo e malaticcio, ma volle lo stesso combattere al fronte aragonese, partecipando con coraggio alla gloriosa battaglia di Monte Pelato. Fino a che i suoi compagni amorevolmente lo “cacciarono”, inviandolo a Barcellona dove era assai più utile con la sua opera di direzione politica e fu lui che denunciò, senza timore della morte, i crimini di Stalin che in quel momento stava compiendo: trucidare quegli stessi gerarchi bolscevichi, che a loro volta avevano avuto le mani sporche di sangue di altri rivoluzionari. Fu ancora lui che difese senza sé e senza ma, il piccolo partito comunista di sinistra (Il POUM), dagli efferati attacchi moscoviti, rivendicando l’alleanza degli anarchici con quel partito.
A questo punto, quasi un secolo dopo, su cosa avrebbe fatto Berneri, se non fosse stato ammazzato in Spagna, se ne possono dire o lasciar intendere quante ne vogliamo, tanto i morti non resuscitano e il tempo non torna indietro. Ma poiché alla vita più che la morte non si può chiedere è evidente che la vicenda spagnola rimarrà per sempre l’ultima pellicola sulla vita di Camillo Berneri, una pellicola su cui si concentrano non poche ambiguità e trascuratezze.
Sulla scia dell’ondata culturale seguita al crollo dei regimi “feudal-comunisti” dell’est europeo, piace a molti collocare Berneri tra le vittime del comunismo. In effetti i fatti hanno la testa dura: a ucciderlo materialmente furono uomini che si dichiaravano comunisti agli ordini di un partito che si considerava comunista. Ma d’altra parte lui in Spagna non fu avversario del comunismo, se per comunismo si intende un sistema egualitario di riorganizzazione della vita economica e sociale. La realtà è l’esatto contrario.
Gli stalinisti in Spagna, cioè gli assassini di Berneri, erano alleati con i repubblicani e con i catalanisti ed erano violentemente contrari alla collettivizzazione di fabbriche, terre e servizi. Anzi, quando dopo le giornate di maggio ’37 essi presero il sopravvento sugli anarchici e sul POUM, si premurarono subito di restituire ai vecchi proprietari molte delle terre aragonesi che erano state espropriate e collettivizzate dai contadini. Berneri come gli altri anarchici era invece decisamente schierato per la collettivizzazione delle fabbriche, delle terre e dei servizi.
Certo lui era un tattico e raccomandava cautela verso la piccola proprietà, in rapporto alle esigenze della guerra da cui non si poteva prescindere. Ma la direzione di marcia da lui invocata era inequivocabile. “Per noi la lotta è intavolata fra il fascismo e il comunismo libertario” disse in un’intervista. E in un articolo su “Guerra di Classe” denunciava: “Il comitato esecutivo del Partito Comunista Spagnolo ha dichiarato recentemente che nella lotta attuale, egli si propone la difesa della democrazia e la salvaguardia della proprietà privata. Vi è nell’aria puzzo di Noske”. Passarono neanche cinque mesi da quel momento, perché i Noske spagnoli entrassero in azione e facessero di Camillo Berneri il Rosa Luxemburg della rivoluzione spagnola.
Ma per chi avesse dubbi su come Berneri si prefigurasse il progresso sociale della Spagna, si rilegga questo passaggio de “Il massacro degli intellettuali”: “In un paese in cui l’analfabetismo impaluda ancora il livello culturale del sessanta per cento del proletariato rurale, soltanto il socialismo può fondare scuole in ogni villaggio (…). In un paese in cui l’industrialismo è ai primi passi, la cultura tecnica non può essere sviluppata rapidamente che a una sola condizione: che tutta la vita economica acquisti un ritmo accelerato, un ampio respiro, una modernizzazione di piani e di unità di sviluppo, condizione codesta che soltanto un economia collettivista può determinare”. Che strano liberale!
Strettamente connessa alla questione del comunismo è quella dell’umanesimo e del classismo nell’anarchismo. È antico di alcuni decenni il tentativo di descrivere Berneri come colui che avrebbe tentato di traghettare l’anarchismo fuori dal recinto del movimento operaio e socialista, verso un approdo aclassista, interclassista e astrattamente universalistico. Su questa strada il milieu neo-berneriano “da destra” è costretto a scontrarsi subito con una questione nominale: Berneri in Spagna, cioè nell’ultimo capitolo della sua vita, diresse un giornale che si chiamava per l’appunto “Guerra di Classe”. Con grande nonchalanche qualcuno è arrivato a scrivere che questo è un fatto irrilevante, puramente formale perché ormai Berneri sarebbe stato orientato idealmente in tutt’altra direzione. Leggiamo quindi l’editoriale da lui scritto, con cui comincia la pubblicazione di “Guerra di Classe” a Barcellona il 9 ottobre del ’36. “’Guerra di Classe’ è titolo d’attualità, da millenni. E lo rimarrà per molti secoli ancora. Guerra di classe è quella in cui siamo immersi qui, dove “viviamo” e la riconosciamo e l’affermiamo come tale. Guerra civile e rivoluzione sociale non sono in Spagna che due aspetti di una realtà unica: Un paese in marcia verso un nuovo ordine politico ed economico che, senza dittature e contro lo spirito dittatoriale costruirà le premesse e le condizioni di sviluppo del collettivismo libertario.”
Berneri non contrappose mai la dimensione umanistica a quella classista dell’anarchismo: al contrario, dette ad ognuna il posto che le spettava. In una polemica con i bordighisti, Berneri scrisse che “l’anarchismo è classista per contingenza storica e umanista per essenza filosofica.”.(5) In uno dei suoi classici scrisse poi: “Il rivoluzionario umanista è consapevole della funzione evolutiva del proletariato, è con il proletariato perché essa è classe oppressa, sfruttata, avvilita ma non cade nell’ingenuità populista di attribuire al proletariato tutte le virtù, e alla borghesia tutti i vizi e la stessa borghesia comprende nel suo sogno di umana emancipazione. Pietro Kropotkin diceva: ‘Lavorando ad abolire la divisione tra padroni e schiavi, noi lavoriamo alla felicità degli uni e degli altri, alla felicità dell’umanità’ (…) l’anarchismo si è affermato nettamente e costantemente in ogni paese come corrente socialista e come movimento proletario. Ma l’umanesimo si è affermato nell’anarchismo come preoccupazione individualista di garantire lo sviluppo delle personalità e come comprensione, nel sogno di emancipazione sociale di tutte le classi, di tutti i ceti, ossia di tutta l’umanità. Tutti gli uomini hanno bisogno di essere redenti da altri e da sé stessi. Il proletariato è stato, è, e sarà più che mai il fattore storico di questa universale emancipazione” (il grassetto è mio).
Per quanto la prosa berneriana sia piacevolissima da leggere, siamo praticamente alla “scoperta dell’acqua calda” dell’anarchismo: distinzione e connessione tra aspirazione etica e necessità storica. Evidentemente però “l’acqua calda” era allora e per molti è ancora un concetto difficile da comprendere. Quando si cerca di disegnare un Berneri che vira verso la dimensione universalistica dell’anarchismo, bisognerebbe ricordarsi che se c’è un punto fermo nella personalità di Berneri è proprio quello di essersi battuto strenuamente e costantemente per un anarchismo che fosse “un grande fattore di storia”.
Ma riguardo al Berneri spagnolo vi è un altro aspetto politico estremamente significativo che si tende, non a caso, a trascurare. Stiamo parlando dell’indicazione che Berneri dette all’allargamento del conflitto spagnolo verso il mondo arabo delle colonie francesi, inglesi e spagnole. Con quell’indicazione il “nostro” puntava esplicitamente ad allentare quel cappio oppressivo che fascismi democrazie e stalinismo stavano stringendo attorno al collo della rivoluzione spagnola. Berneri era ben cosciente che la vittoria della rivoluzione, se mai fosse stata possibile, si sarebbe dovuta vincere sul piano internazionale, ma d’altra parte aveva poca fiducia nelle capacità insurrezionali del proletariato francese su cui alcuni ponevano delle speranze. Allora che fare?
Già il 24 ottobre ‘36 scriveva: “La base di operazioni dell’armata fascista è il Marocco. Occorre intensificare la propaganda a favore dell’autonomia marocchina su tutto il settore dell’influenza pan-islamica. Occorre imporre a Madrid dichiarazioni inequivocabili di abbandono del Marocco e di protezione dell’autonomia marocchina. La Francia vede con preoccupazione la possibilità di ripercussioni insurrezionali nell’Africa settentrionale e nella Siria, e l’ Inghilterra vede rafforzare le agitazioni autonomistiche egiziane e degli arabi di Palestina. Occorre sfruttare tali preoccupazioni , con un politica che minacci di scatenare la rivolta del mondo islamico. Per una tal politica occorre denaro ed urge mandare emissari, agitatori ed organizzatori in tutti i centri dell’emigrazione araba (…)” Queste cose continuò a dire fino a che non fu ammazzato.
Si, in qualche modo si può dire che Berneri aveva intuito, molto in anticipo, l’emergere di una questione araba e in particolare di una questione palestinese. Quello stesso intellettuale anarchico che scrisse bellissime pagine contro l’antisemitismo ne “L’ebreo antisemita”, fu anche colui che, in un pionieristico e dimenticato articolo del novembre del ’29, “La Palestina insanguinata”,(6) scrisse senza mezzi termini: “Da che parte è la ragione? È da parte degli arabi”. L’articolo commentava i gravissimi e sanguinosi scontri che si stavano registrando in quel momento tra coloni ebrei e popolani palestinesi. Berneri denunciò gli effetti disastrosi della famosa Dichiarazione di Balfour per una patria ebraica in Palestina(7) e la colonizzazione finanziata dai capitali inglesi, sviluppatasi dopo la spartizione a tavolino del medio oriente operata dalle potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale. Questa colonizzazione ebraica della palestina, finanziata dal capitalismo inglese si era sovrapposta e anzi sostituita alla innocua migrazione dei profughi ebrei in Palestina che pacificamente era in corso da vari decenni, senza dar luogo a particolari conflitti.
Del resto Berneri fin dal 1921 aveva avuto un’attenzione particolare alle lotte anti-coloniali e ne aveva studiato le possibili connessioni con le lotte rivoluzionarie del proletariato. Non fu dunque un caso che in Spagna abbia prontamente individuato nelle agitazioni del mondo arabo, una delle leve su cui avrebbe potuto agire la rivoluzione spagnola.
Altro che “intellettuale di confine”. Camillo Berneri fu soprattutto un combattente rivoluzionario. Fu un uomo tormentato e contraddittorio, ma che sapeva sempre dov’era il suo posto di battaglia. Fu un blasfemo, un eretico dell’anarchia e a volte fu anche saccente, presuntuoso e antipatico. Ma fu un uomo che quando il destino lo ha chiamato ha saputo usare tanto “la penna” quanto “il revolver” per difendere la Spagna rivoluzionaria, il comunismo libertario, il futuro dell’anarchia. Lo commemoreremo tra un anno in Via Volta 13 a Firenze dove abitò in gioventù.
Claudio Strambi
(1) Gustav Noske (1868-1946). Dopo aver fatto parte del movimento sindacale si iscrive al partito socialdemocratico tedesco (SPD) e nel 1906 viene eletto in Parlamento. Dopo la rivoluzione democratico-socialista del novembre 1918 con cui termina la Prima Guerra Mondiale, Noske diventa Ministro della Difesa del governo socialdemocratico e non esita a incoraggiare l’azione di gruppi paramilitari ultranazionalisti (in particolare i Freikorps) per contrastare il diffondersi le tendenze rivoluzionarie e consiliariste nella Repubblica di Weimar. Noske sarà il diretto responsabile della sanguinosa repressione dei moti spartachisti del gennaio 1919 e del barbaro assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht.
(2) Vedi BERNERI, Camillo, “El sovietismo en la revoltion alemana”, in Tiempos Nuevos (Barcellona), n. 6, 5/9/1934; vedi l’inedito pubblicato con il titolo “Sullo stato proletario” in BERNERI, Camillo, “Anarchia e società aperta. Scritti editi e inediti a cura di Pietro Adamo”, Milano, M&BPublishing srl 2001.
(3) Nel 1929 Berneri varcò la frontiera tra la Francia e il Belgio con la precisa intenzione di andare a Bruxelles alla Società delle Nazioni ed attentare alla vita di Alfredo Rocco, ministro fascista, padre del famoso codice Rocco, tutt’ora in vigore. In realtà appena varcato il confine fu arrestato perché tradito da un infiltrato di nome Menapace.
(4) Vedi AA. VV., “Il Convegno d’intesa degli Anarchici italiani emigrati in Europa (Francia-Belgio-Svizzera). Ottobre 1935”, Nuova edizione a cura dell’Archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1980. Il convegno fu molto influenzato dalle idee di Berneri.
(5) Vedi non firmato “Arzigogoli” in L’Adunata dei Refrattari (New York), 26/10/1935.
(6) Vedi BERNERI, Camillo, “La Palestina insanguinata”, in Vogliamo (Biasca-Annemasse-Lugano), anno I, n. 4, novembre 1929, oggi in Kronstadt Foglio Anarchico e Libertario del gruppo Kronstadt Toscano, novembre 2014.
(7) L’Inghilterra occupa la Palestina nel 1917 ed ed impone il suo protettorato. Con la dichiarazione di Balfour, ministro degli esteri britannico, l’Inghilterra comincia a sostenere e finanziare la colonizzazione sionista. Quella che era stata fin dagli anni ’80 dell’800, una migrazione spontanea e pacifica di alcune migliaia di ebrei disperati che fuggivano dai pogrom di Russia e di Polonia, si trasforma grazie all’imperialismo inglese, in una tragedia che ancora oggi è ben lungi dal terminare.