Il 24 marzo 1944 le SS si macchiarono di uno dei peggiori crimini commessi in Italia durante la Seconda guerra mondiale. Nelle cave Ardeatine – poi rinominate fosse – alle porte di Roma, 335 persone furono trucidate. L’eccidio nazista fu ordinato direttamente da Hitler, organizzato dallo stato maggiore del generale Kesserling ed attuato dal colonnello Kappler e dagli uomini delle SD come rappresaglia per l’azione partigiana dei G.A.P. in via Rasella, dove il giorno prima erano stati uccisi 33 soldati tedeschi. La lista dei condannati fu redatta dal capitano delle SS Priebke, che “per errore” inserì cinque condannati in più all’elenco che – secondo le indicazioni date dall’alto – doveva contenere 330 uomini, 10 italiani per ognuno dei 33 tedeschi uccisi. La scelta ricadde sui partigiani, tra cui figuravano anche diversi anarchici: Aldo Eluisi, Filippo Rocchi, Giulio Roncacci, Manlio Gelsomini, Umberto Scattoni e Mario Tapparelli, Luigi Gavioli, Settimo Carlo Gavisotti e Egidio Renzi. Dal momento che il numero degli antifascisti non era sufficiente ad attuare la rappresaglia, furono rastrellati in aggiunta degli ebrei romani e i detenuti di Regina Coeli.
L’eccidio avvenne nel pomeriggio. Le vittime, legate, erano condotte nella cava a gruppi di cinque e fatte inginocchiare per essere finite con un colpo di pistola alla nuca. Come da prassi nazista, il tutto era svolto con metodo e meccanicità: le SS sparavano, un sergente controllava che il condannato fosse morto e Priebke depennava il nome dalla lista. L’eccidio fu così brutale e spietato che i corpi furono raggruppati in delle pile alte un metro e persino gli agenti delle SS riuscirono a proseguire il loro lavoro solo dopo essersi ubriacati.
Subito dopo aver finito fecero brillare delle mine, chiudendo in questo modo quella parte della cava nella quale i cadaveri erano ammucchiati fino all’altezza di un metro. Fino alla liberazione di Roma, l’eccidio e la sua entità rimasero nascosti ai più.
Alla fine della guerra Kesserling sarà processato, condannato a morte, pena poi commutata in ergastolo; nel 1952 per le sue condizioni di salute sarà scarcerato e tornerà in Germania.
Kappler, condannato all’ergastolo, fuggirà a metà degli anni Settanta, aiutato dalla moglie da alcuni neofascisti con la complicità dello Stato (il ministro della Difesa, Vito Lattanzio, dovette rassegnare le proprie dimissioni, venendo però premiato con la nomina pochi giorni dopo sia a Ministro dei Trasporti, sia a Ministro della Marina Mercantile), dall’ospedale militare del Celio e tornerà in Germania.
Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, verrà estradato in Italia e condannato all’ergastolo. Gli verranno concessi i domiciliari, durante i quali esponenti di spicco della destra italiana tra cui Montanelli, Fini ed altri di Alleanza Nazionale, difenderanno la posizione di Priebke chiedendo la grazia. Priebke morirà a 100 anni a Roma.
Oggi più che mai l’aspirazione ad un mondo nuovo, diverso, è fondamentale e non può non partire dalla nostra memoria collettiva. In un mondo che sta piangendo i suoi morti a causa di questa sindemia, della quale non si hanno attualmente elementi per indicarne la fine e le conseguenze, si intravedono dunque scenari da dopoguerra le cui proporzioni (del tutto sconosciute a chiunque) appaiono maggiori che in qualsiasi altro spartiacque dalla formale vittoria sul fascismo mussoliniano ad oggi.
In questa situazione di incertezza, è ancora più importante rafforzare i valori della libertà e della rinascita su cui si basano le nostre vite e dunque ricordare anche i Martiri delle Fosse Ardeatine: senza il sacrificio dei partigiani e di chi si oppose al nazifascismo non avremmo avuto il legame con quello che siamo, con quella lotta antiautoritaria ed antifascista che oggi più che mai deve essere mantenuta viva.
Negli ultimi decenni è cominciata un’operazione di rilettura e mistificazione storica di quello che è stato il fascismo italiano. È stata istituita una giornata per i morti nelle Foibe per equiparare fascismo e antifascismo, senza mai fare i conti con la storia coloniale e razzista d’Italia, anzi, aggiungendo del vittimismo al mito degli “italiani brava gente”. Una liberazione che è stata politica viene dipinta come nazionale e patriottica.
Le stesse istituzioni “democratiche” da sempre operano in continuità con il regime fascista. Al termine del conflitto assolsero i fascisti, con l’amnistia prima e con la copertura alle varie fughe degli assassini fascisti (da Kappler ai responsabili delle stragi di stato), affiancando a questa clemenza l’attacco persecutorio agli ex partigiani ed a coloro che in questi decenni hanno lottato e lottano ancora in nome della libertà e dell’uguaglianza.
Rivendichiamo il ricordo dei 335 cittadini romani, tra cui 9 nostri compagni, che 77 anni fa persero la vita per la libertà di ognuno di noi e terremo viva la fiaccola della Memoria di una storia che appartiene a tutte e tutti.
Gruppo anarchico “M. Bakunin” – F.A.I. Roma e Lazio