L’8 dicembre è un appuntamento simbolo per i movimenti che si battono contro l’imposizione di grandi opere inutili e dannose per l’ambiente e la salute. E non solo. La partita che stiamo giocando va ben oltre la mera opposizione ad inceneritori, grandi navi, gasdotti, linee ad alta velocità, centrali a carbone… In ballo c’è la spinta ad una radicale trasformazione dell’immaginario e delle relazioni sociali. Non si tratta di vincere nel cortile di casa propria, spostando l’immondizia in quello del vicino, ma lottare contro la corsa folle al profitto, che produce sempre più diseguaglianza, morte e distruzione.
L’8 dicembre è l’anniversario di una rivolta. La rivolta popolare che, nel 2005 in Val Susa, spezzò gli equilibri, obbligando il governo di centro-destra a cancellare il progetto esecutivo della Torino Lyon e a intraprendere la strada della mediazione istituzionale.
Sappiamo come è finita. Il fronte istituzionale si spaccò, ma il movimento restò saldo. Nel 2011 la parola è tornata alle armi dello Stato e alla lunga resistenza No Tav, che dura nonostante l’occupazione militare del territorio, le centinaia di feriti, i processi e le condanne.
Questa primavera il contratto di governo tra Lega e Cinque Stelle, due formazioni che avevano partecipato alle elezioni su fronti opposti, prevedeva il riesame dei progetti di alcune grandi opere, tra cui la Torino Lyon, ma nessuno stop ai lavori. Le promesse elettorali a 5 Stelle si sgretolavano prima ancora della spartizione delle poltrone.
Oggi hanno fatto dietrofront quasi ovunque dal Tap al Terzo Valico. Sul Tav Torino Lyon sono stati costretti a prendere tempo, perché i sondaggi li vedono in caduta libera, perché le foto di Di Maio bruciate in piazza a Melendugno hanno suonato una campanellina di allarme. I pentastellati, che a Torino governano da soli da due anni, mentre la sindaca era a Dubai, hanno votato una delibera con la richiesta di fermare i lavori in attesa dell’analisi costi benefici. Un atto simbolico, del tutto ineffettuale sul piano pratico, che ha tuttavia innescato la reazione della lobby Si Tav, che il 10 novembre ha riempito Piazza Castello, lanciando la sfida per le prossime elezioni regionali. La Lega, che è al governo del Paese con i 5 Stelle, ma correrà con Forza Italia e Fratelli d’Italia per prendersi il Piemonte, è scesa in piazza con i Si Tav ma mantiene prudentemente un basso profilo. I 5 Stelle si barcamenano, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Il triste vicesindaco Montanari parteciperà al corteo No Tav dell’8 dicembre con la fascia tricolore, la sindaca Appendino non concede il gonfalone e insegue le associazioni padronali che hanno promosso la piazza Si Tav.
L’8 dicembre in tutta Italia ci saranno manifestazioni contro le grandi opere. A Torino il movimento No Tav si è dato appuntamento per un corteo da piazza Statuto a piazza Castello.
Sarà un’occasione importante per la lotta contro il Tav e il suo mondo. Una sfida alla lobby del cemento e del tondino, ma anche una prova per l’autonomia del movimento, che per la prima volta deve fare i conti con una forza politica governativa che, sia pur debolmente, si oppone al Tav.
Il movimento No Tav ha spesso avuto fiancheggiatori istituzionali a dir poco ingombranti, ma è sempre stato capace di non subirne i condizionamenti. Oggi la strada è più irta, perché settori di movimento si sono lasciati fascinare dai 5 Stelle.
I No Tav sono stati saldo anche nei momenti più duri, quando era difficile trovare la bussola. Che fosse su un sentiero invaso dai lacrimogeni, in un’aula di tribunale o in certe assemblee dove era difficile costruire un percorso comune.
Mai però la strada è stata tanto scivolosa, tanto forte il rischio di inciampare sui nostri passi.
Le grandi opere sono state tutte confermate, l’unica in bilico è la Torino Lyon. Difficile prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi, ma non è improbabile che venga tentato un arduo compromesso.
Se invece l’opera dovesse avere uno stop reale chi ha invitato i No Tav alla delega avrà il coraggio di sostenere di aver avuto ragione per aver vinto nel proprio cortiletto di casa?
Mentre altrove ruspe e talpe scavano e devastano?
Diciamolo chiaro: comunque vada non sarà una favola a lieto fine.
Questo governo, nel quale i pentastellati sono azionisti di maggioranza, è un governo apertamente razzista, misogino, omofobo, giustizialista, schierato con i ricchi contro i poveri, un governo criminale.
La guerra nel Mediterraneo e lungo le frontiere contro profughi e migranti è sempre più feroce: la chiusura dei porti italiani ai profughi è stata decisa dal ministro dell’Interno Salvini e da quello dei trasporti Toninelli, lo stesso che ha promosso l’indagine costi-benefici sulla Torino Lyon.
Il governo sta aprendo altre prigioni per i senza documenti, ha esteso la detenzione amministrativa a sei mesi, ha cancellato le tutele per i profughi, moltiplica i rimpatri, gli sgomberi delle baraccopoli rom, la sorveglianza delle periferie e dei ghetti.
Aumentano le spese militari, i dispositivi di controllo e di repressione delle insorgenze sociali. Costruiranno nuove carceri per far posto ad un maggiore numero di detenuti. Intendono eliminare ogni forma di pena alternativa al carcere.
Il pacchetto sicurezza colpisce gli immigrati e chi lotta. In questi giorni migliaia di persone che vivono e lavorano nel nostro paese vengono private del pezzo di carta che hanno in tasca, perché è stata cancellata la protezione umanitaria, che consentiva loro di progettare un futuro per se e per i propri figli. I giovani che compiono 18 anni e sono nel sistema di protezione Sprar stanno diventando tutti clandestini. Il governo stanzia fondi per aumentare i poliziotti per le strade, per pagare i voli di deportazione, sperando che la gente cada nella trappola di non saper più riconoscere il nemico di classe. Per i padroni siamo tutti uguali, perché gli interessa il colore dei soldi non quello della pelle.
Chi occupa una casa per dare un tetto a se e ai propri figli rischia lunghe pene detentive. I lavoratori che fanno un blocco stradale per obbligare chi li sfrutta e deruba ogni giorno ad aumentare i salari, ad allargare gli spazi di libertà, a diminuire l’orario di lavoro, meno controlli elettronici non avranno una semplice multa ma la detenzione sino a sei anni.
È il governo della polizia, della galera, della guerra ai poveri, dei morti in mare e sulle rotte di montagna. Credevamo di aver toccato il fondo con gli accordi con le milizie libiche, i respingimenti, i barconi che affondano, le navi soccorso sequestrate, le leggi sul decoro urbano e l’elisione dei diritti dei richiedenti asilo. Non era così: il peggio doveva ancora venire.
Nell’assemblea dei movimenti contro le grandi opere del 17 novembre è stato detto a più voci in modo chiaro che serve una radicale inversione di tendenza. Il riscaldamento climatico, la mancata tutela del territorio, provocano continue catastrofi innaturali. Il no alle grandi opere è no alla logica della merce, della velocità, della corsa all’autodistruzione.
Il Movimento No Tav in questi anni ha rappresentato un punto di riferimento per chi si batteva contro le grandi opere inutili e dannose. Ma non solo. La lotta contro il treno super veloce è stata anche lotta contro la logica feroce del capitalismo, dello sfruttamento delle risorse e degli esseri umani. Ormai da tanto la nostra non è più una mera storia di treni. È la storia di uomini e donne che hanno assaporato il piacere dell’azione diretta, della politica come luogo di confronto e scelta fuori da ambiti gerarchici, radicata tra le persone. Un’aria di libertà. Di solidarietà con gli immigrati, con gli oppressi, con le fabbriche in lotta, con gli sfrattati, gli antifascisti.
Le derive elettoraliste ci sono sempre state, come anche la capacità di capire e correggere gli errori, nella consapevolezza che solo il movimento popolare, solo i nostri corpi, solo le nostre barricate potevano fermare l’opera e dare, insieme, una bella botta ad un immaginario sociale dove tutto è merce.
La pratica della delega nega la storia di chi ha bloccato per decenni il Tav con l’azione diretta, quando un’intera valle è divenuta ingovernabile.
I No Tav sono fortemente radicati nel locale ma non hanno mai guardato nel proprio cortile. Anzi!
Il sostegno di parte del movimento a formazioni politiche che, pur dichiarandosi No Tav, si caratterizzano per posizioni razziste, xenofobe e giustizialiste è stata una brutta scivolata.
Siamo tuttavia convinti che nel movimento esistano robusti anticorpi capaci di fermare questa pericolosa deriva.
In tanti in questi mesi hanno creato e rinforzato reti solidali con i migranti in viaggio attraverso le nostre montagne. Le frontiere sono linee fatte di nulla, segni sulle carte, che solo uomini in armi rendono veri. I No Tav si sono battuti, perché la valle non diventasse un mero corridoio per le merci, ma divenisse spazio per relazioni sociali diverse.
I No Tav hanno imparato che non ci sono governi amici, perché fermare il treno e il suo mondo dipende da ciascuno di noi.
Fermiamo il Tav, cancelliamo le frontiere!
Spezzone anarchico al corteo No Tav dell’8 dicembre a Torino
ore 14 da piazza Statuto a piazza Castello
Federazione Anarchica Torinese
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