La rete col filtro


Oramai tutti dovrebbero essersi abituati alla politica urlata, un modo come un altro per nascondere la povertà di contenuti dei discorsi, adottata con determinazione da quasi tutti i politici. Per cui merita il giusto disinteressa la dichiarazione [1] di una delle componenti dalla trinità di governo italiana a proposito della decisione presa il 12 settembre scorso dal Parlamento Europeo. Anche perché provando ad approfondire, anche solo in parte, l’argomento si scopre facilmente che il voto di Strasburgo non è certo un avvenimento di portata così drammatica o storica. La proposta di direttiva approvata la scorsa settimana riguarda principalmente la pubblicazione su Internet di un contenuto coperto dalle leggi sul copyright senza che venga pagato un compenso ai detentori dei diritti. Questa proposta era già stata presentata e bocciata qualche mese orsono, poi dopo che sono stati ammorbiditi alcuni dei passaggi più criticati, è passata con un discreto scarto di voti. I punti cardine della proposta sono sostanzialmente due: il divieto di pubblicare in Rete qualcosa che sia più di un link a un qualsiasi contenuto coperto dalle leggi sul diritto d’autore; l’obbligo per i gestori delle piattaforme che pubblicano contenuti degli utenti di dotarsi di filtri per individuare e bloccare quelli che violano il copyright. Per prima cosa va chiarito, come hanno fatto alcuni [2] che questa decisione del Parlamento non cambia ancora un bel nulla. Prima che la direttiva entri in vigore passerà non poco tempo: per prima cosa ci saranno gli incontri (riservati) tra gli esponenti dei Governi europei e i rappresentanti del Parlamento per stendere la versione finale e ufficiale della direttiva, poi ciascuno degli stati dovrà inserire le norme previste all’interno della propria legislazione nazionale. Tenuto conto che tra meno di un anno ci saranno le elezioni europee è facile prevedere che l’applicazione concreta della direttiva non avverrà prima di un anno o due. In secondo luogo, come spesso accade, gli sbadati legislatori dimenticano che Internet non è uno strumento di comunicazione che riconosce o rispetta le frontiere degli stati e quindi non ha molto senso emanare dei provvedimenti che hanno una reale forza di legge solo in alcuni paesi. Infine, pretendere di regolamentare la pubblicazione di contenuti attraverso dei filtri è una pia illusione, come ben sanno anche in Cina dove alcuni dei filtri che censurano l’applicazione di messaggeria istantanea più usata in quel paese sono facilmente aggirabili [3].
Questo non significa che la proposta di direttiva sia qualcosa da prendere alla leggera, ma solo che siamo ancora in una fase preliminare e che, prima della sua reale applicazione, ci potrebbero essere ancora modifiche e cambiamenti.
Molto più preoccupante invece è la proposta approvata, sempre nella stessa data, ma dalla Commissione Europea per “prevenire la diffusione della propaganda terrorista online” [4], notizia della quale si è sentito parlare molto di meno. Che si tratti di qualcosa di pericoloso lo si capisce persino dalle note introduttive al testo della legge, nelle quali si può leggere che “La proposta può potenzialmente avere impatto su alcuni diritti fondamentali: (a) diritti del fornitore di contenuti: diritto alla libertà di espressione, diritto alla protezione dei dati personali, diritto al rispetto della vita privata e familiare, il principio di non discriminazione e il diritto di avere un rimedio efficace; (b) diritti del fornitore di servizi: diritto alla libertà di condurre un’impresa; diritto ad un rimedio efficace; (c) i diritti di tutti i cittadini: e il diritto alla libertà di espressione e di informazione.”
Anche solo la lettura di una sua breve presentazione, disponibile anche in italiano, fornisce una misura della sua pericolosità. Per esempio viene ricordato che “Una volta adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio, le nuove norme si applicheranno a tutte le società del web che offrono servizi nell’UE, dovunque sia ubicata la loro sede e indipendentemente dalle loro dimensioni.” [5] Questo, al contrario della Direttiva precedente che colpirebbe invece, a quanto si capisce, esclusivamente i “colossi” della Rete.
Lo scopo del provvedimento è quello di stabilire delle regole che si applicano ai fornitori di servizi al fine di prevenire la diffusione tramite le loro risorse di contenuti terroristici e quello di indicare agli stati membri dell’UE le misure da attivare volte a identificare i contenuti di cui sopra e rimuoverli da Internet. Nel testo, tra le altre cose, si fornisce anche una definizione di quello che deve intendersi per “contenuto terroristico”: incitamento, promozione o esaltazione alla commissione di atti di terrorismo; incoraggiamento alla partecipazione ad atti di terrorismo; promozione delle attività di gruppi terroristici; istruzioni, manuali e tecniche finalizzati alla commissione di atti di terrorismo. Appare evidente che si tratta di un tentativo alquanto grossolano di limitare la libertà di espressione in quanto un conto sono i proclami e un altro sono gli “atti” di terrorismo, oltretutto quello che uno stato può sanzionare come “terrorismo” può essere considerato da un altro come “resistenza”. Le autorità competenti potranno inviare ai fornitori di servizi delle ordinanze ingiungendo la rimozione o l’oscuramento dei contenuti proibiti. E i fornitori di servizi sono obbligati ad “avere un punto di contatto designato raggiungibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, incaricato di rimuovere prontamente contenuti (entro un’ora [sic!] dal ricevimento dell’ordine di rimozione)”. Sono anche “invitati” ad attivare delle misure volte ad automatizzare il processo di individuazione di tali contenuti e ad informare le autorità sui sistemi adottati. Nel caso questi non vengano considerati sufficienti ne potranno essere imposti altri ritenuti più efficaci. I contenuti oggetto delle ordinanze della magistratura andranno conservati per sei mesi, o per un tempo maggiore quando richiesto. Sono previste delle sanzioni, di carattere pecuniario (“fino al 4% del fatturato complessivo nell’ultimo esercizio”) a carico degli inadempienti.
Questo provvedimento, a differenza di quello sul copyright, potrebbe avere un percorso molto più veloce in quanto dovrebbe essere presentato a una riunione (19-20 settembre) della Commissione Europea. Inoltre essendo un Regolamento entrerà in vigore, automaticamente e in tutti i paesi dell’Unione, sei mesi dopo la sua pubblicazione, senza necessità di essere ratificato dai diversi parlamenti.
Almeno due cose accomunano entrambe le norme. Riguardano reati di tipo sostanzialmente immateriale, pubblicare un articolo ripreso da un giornale non è la stessa cosa che rubare una copia del giornale da una edicola. E, in tutte e due i casi, viene fortemente incentivato l’uso di filtri automatici come sistema per scoprire e bloccare i contenuti proibiti.
Ed è proprio quest’ultimo uno dei punti centrali, quello della implementazione forzata dalla legge di una serie di filtri, su copyright, terrorismo, e poi chissà che altro, che in pratica avranno solo l’effetto di ostacolare la libertà di espressione e alla fine trasformeranno Internet in un unico e immenso iper-mercato elettronico.
Pepsy
Riferimenti
[1] https://www.ilpost.it/2018/09/12/luigi-di-maio-direttiva-copyright/
[2] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/12/direttiva-copyright-un-bene-o-un-male-cosa-rischia-ora-il-diritto-dautore-in-europa/4621081/
[3] https://citizenlab.ca/2018/08/cant-picture-this-an-analysis-of-image-filtering-on-wechat-moments/
[4] https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-preventing-terrorist-content-online-regulation-640_en.pdf
[5] https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/soteu2018-factsheet-terrorist-content_it.pdf

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