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Educazione ed emancipazione

Educazione ed emancipazione

Una delle funzioni sociali fondamentali è l’educazione: il passaggio di conoscenze da una generazione all’altra, e il modo più efficace di farlo è quello che non solo trasmette le conoscenze date ad un preciso momento storico, ma crea l’abito mentale adatto a trovarne di nuove e, caso mai, correggere ed anche sostituire quelle che sono state trasmesse in precedenza. È chiaro che il potere politico, economico, sociale e culturale ha tutto l’interesse a mantenere il controllo di questa come delle altre funzioni sociali, allo scopo del proprio perpetuarsi: pertanto, in maniera caratteristica, da un lato tenderà al controllo sul passaggio e l’introiezione delle informazioni funzionali all’obbedienza gerarchica, dall’altro tenderà alla censura e repressione di tutti quegli aspetti del processo educativo tesi a costruire un individuo autonomo e razionalmente creativo. Detto in altri termini, da un lato non può non educare ad un livello minimale storicamente condizionato le classi inferiori, dall’altro deve evitare accuratamente di educarle nella migliore maniera possibile, ben sapendo che un individuo autonomo e razionale nelle sue scelte è l’anima di quello che Camus chiamava lo “Spirito della Rivolta”.
Dalla nascita delle società gerarchiche, alcune migliaia di anni fa, e fino alla Rivoluzione Industriale, il meccanismo tipico con cui il potere ha agito relativamente alla gestione dell’ambito educativo è rimasto sostanzialmente immutato. Da un lato, escludere la stragrande maggioranza della popolazione – le classi dominate in particolare – dall’accesso alle forme organizzate e maggiormente efficaci di educazione (la “scuola” in senso ampio), lasciando ad esse solo l’educazione religiosa, intesa come strumento di introiezione nei dominati di meccanismi ideologici di depotenziamento delle capacità di azione politica; dall’altro riservando – ma anche qui con estrema cautela – un’istruzione vera e propria alle sole classi dominanti, impartita a queste in base al modello dell’educazione militare rivolta agli ufficiali, allo scopo di garantire il perpetuarsi di un abito mentale rivolto al comando ed alla mancanza di compassione verso i dominati.
L’accesso ai contenuti ed alle forme migliori dell’educazione, pertanto, magari in maniera inconscia, è stato uno dei temi dello scontro sociale tra classi dominate e dominanti. Non a caso, i momenti della storia precedenti la Rivoluzione Industriale in cui le distanze gerarchiche hanno teso ad affievolirsi, sia pure leggermente, sono stati anche i momenti di maggiore sviluppo delle istituzioni educative nel senso migliore del termine. Limitandoci ad un solo esempio, tra i tantissimi casi che si potrebbero citare: dopo l’anno Mille, nell’Occidente europeo, l’“aria della città” non solo rendeva tutti un po’ più liberi, ma anche mediamente molto più colti rispetto al contado circostante Lo sviluppo della civiltà comunale e quella di scuole ed università relativamente libere sono andate. di pari passo, mentre la decadenza delle prime ha segnato la decadenza delle altre. Di conseguenza, anche se fino al XIV secolo molti prodromi di essa – Ruggero Bacone, Buridano, Oresme, ecc. – erano nati nel circuito universitario, la successiva Rivoluzione Scientifica ha dovuto nella maggior parte dei casi cercare altri luoghi per nascere, crescere ed affermarsi.
La Rivoluzione Industriale – di cui quella Scientifica è stata una delle precondizioni – ha però gradatamente ma nettamente cambiato le carte in tavola. Se un contadino ed un artigiano preindustriali potevano tranquillamente essere perfettamente analfabeti ed essere ottimi lavoratori, già agli inizi della Rivoluzione Industriale si avvertiva fortemente la necessità degli “inventori” che, con le loro scoperte innovative, facevano la differenza nella corsa al prodotto sempre meno caro e di conseguenza “vincente”. Se ripercorriamo le biografie di Watt, Kay, Cartwright, Edison, Meucci, Siemens, Daimler, Diesel, Hertz, Berliner, Marconi, Nobel, Lumiére, Wright scopriamo senza eccessive difficoltà che, dietro la macchina a vapore, il motore a scoppio, i telai meccanici, le “diavolerie” elettriche, il telefono, il giradischi, il radar, le comunicazioni a distanza, la dinamite, il cinema, il volo meccanico, assai raramente troviamo docenti universitari di ingegneria e/o materie scientifiche come oggi ce li potremmo immaginare. Al contrario, nella maggior parte dei casi si tratta di persone che avevano fatto studi più o meno regolari – più meno che più, anzi – non facevano parte del mondo accademico, avevano, per i motivi più disparati (ad esempio Cartwright, l’inventore del telaio meccanico, era un pastore protestante che incontrò il mondo della fabbrica nella sua opera di predicazione), incrociato il cammino delle prime due fasi della Rivoluzione Industriale, e se ne erano messi al servizio.
Non solo. Man mano che l’azione degli inventori proseguiva, i macchinari industriali se da un lato divenivano sempre più facili da utilizzare – la divisione del lavoro prima, la catena di montaggio poi avevano semplificato al massimo le operazioni parcellizzate – dall’altro lato diventavano sempre più complessi e difficili, ad un certo punto impossibili, da manutenere e/o riparare da parte di un operaio analfabeta, incapace di leggere e, soprattutto, comprendere le complessità crescenti di un manuale tecnico d’istruzioni. Lo sviluppo della Rivoluzione Industriale, insieme alla nascita ed allo sviluppo di un sempre più forte movimento operaio e socialista, pertanto ha costretto il potere politico, economico, sociale e culturale – non senza enormi resistenze al suo interno – a ripensare la propria strategia di dominio in campo educativo, allargando gli spazi concessi alle classi dominate per un’educazione formale che, di necessità, diveniva non solo sempre più approfondita, ma anche, grazie all’influsso della Rivoluzione Scientifica in campo educativo, potenzialmente capace di creare quell’abito mentale in grado di formare un individuo autonomo e razionale.
Le resistenze a tale processo da parte delle classi dominanti, cui si è accennato, si possono ben capire: come abbiamo detto all’inizio, per millenni, il mantenimento del dominio sulle classi subalterne era passato proprio per l’esclusione di queste dai processi educativi. Nonostante queste remore, espresse talvolta in termini assai vivaci, questo processo è andato avanti ed ha portato, con una progressione crescente in termini sia quantitativi sia qualitativi, una percentuale sempre maggiore della popolazione ad intraprendere un percorso di studi regolare, fino a fare dell’analfabeta tradizionale una figura del tutto residuale nelle società industrializzate.
Anche se le resistenze di cui sopra sono state giocoforza superate, le classi dominanti non hanno però superato il fondamento di esse: la necessità di mantenere il controllo sulle classi dominate. Di fronte ad una situazione completamente diversa dalla realtà di un passato millenario, sono andate avanti un po’ per tentativi ed errori ed il meccanismo fondamentale che hanno utilizzato all’inizio è stato quello della “militarizzazione” dell’insegnamento. D’altronde, come abbiamo visto in precedenza, si trattava di un semplice adattamento di una strategia utilizzata da sempre per l’educazione delle classi superiori: se queste venivano formate militarescamente per formare gli “ufficiali” della società, le classi inferiori dovevano essere formate militarescamente per fornire la bassa truppa. Un altro elemento utilizzato a lungo ed ancora oggi in parte persistente era la differenziazione degli indirizzi scolastici: l’istruzione liceale per i figli delle classi dominanti, quella elementare/media, al massimo professionale/tecnica, per i figli delle classi dominate, con la possibilità di accedere solo a determinati indirizzi di studio universitario. Era una soluzione non priva di difetti dal punto di vista del potere – un’istruzione tecnico/professionale ben fatta può aprire comunque le menti ad una forte razionalità ed autonomia di giudizio non desiderata ed incontrollabile – ma nel frattempo la storia ha nuovamente cambiato il problema.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, i “trent’anni d’oro” delle politiche keynesiane mondiali hanno portato sempre più famiglie di lavoratori a potersi permettere “il figlio dottore”, per cui queste generazioni hanno in misura sempre crescente cominciato a frequentare gli indirizzi liceali, rompendo definitivamente lo schema di controllo appena descritto. Le lotte studentesche degli anni Sessanta, che hanno messo fuori gioco l’aspetto militaresco del processo educativo, hanno fatto il resto, creando a livello mondiale l’incubo delle classi dominanti: il pieno accesso delle classi dominate a livelli di istruzione elevati, pensati per le classi dominanti, senza nemmeno l’aspetto di un’abitudine ad un’educazione dalle forme fortemente gerarchizzate. Era rimasta la sola ora di religione, ma anche se fosse stata fatta ‘per bene’ sarebbe stata una goccia nell’oceano.
Siamo arrivati al presente. Chiunque lavori nel mondo dell’istruzione scolastico/universitaria ha un impressione praticamente unanime: che le “riforme” continue e ripetute che sono calate su questo comparto dagli anni Ottanta ad oggi, in concomitanza con l’abbandono delle politiche di “stato sociale”, pur mantenendo il livello di massa dell’istruzione in termini quantitativi, ne hanno paurosamente abbassato il livello in termini qualitativi. Per usare un esempio assai diffuso e sentito nel mondo dell’istruzione, è evidente che un diplomato di trentacinque fa possedeva mediamente conoscenze e competenze almeno comparabili – se non superiori! – a quelle di un laureato di oggi.
Per terminare. Quest’articolo intende aprire un momento di riflessione sul presente del rapporto tra educazione ed emancipazione, nel tentativo di dare una risposta analitica a queste domande:

  1. Se in generale, gli “stakeholder”, i “portatori di interesse verso l’ottenimento del risultato dell’ignoranza e della scarsa intelligenza delle masse in generale sono le classi dominanti, nello specifico quali strutture se ne fanno carico direttamente e, soprattutto, con quali concrete strategie operative?
  2. Dato per scontato che qualunque fregatura viene propinata alle classi dominate funziona meglio se viene infiocchettata con un inganno ideologico, quali sono le “maschere ideali” dietro cui si nascondono le politiche volte alla ignoranza/imbecillità di massa (che ovviamente non possono essere presentate in quanto tali)?
  3. Quali sono le conseguenze sulla vita materiale e sulla percezione di sé del mondo della scuola in generale?
  4. Quali strategie si possono adottare per contrastare questo processo?

 
Enrico Voccia


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