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Il contributo di Errico Malatesta

Il contributo di Errico Malatesta

Erri Malatesta è stato un anarchico italiano, nato a Santa Maria Capua Vetere nel 1853 e morto a Roma nel 1932, guardato a vista in continuazione dalla polizia, e anche il suo funerale si tenne in forma clandestina, perché le autorità avevano paura che fosse occasione di dimostrazioni antifasciste.
La sua vita da sola meriterebbe di essere studiata. Non ancora ventenne, a Napoli aderisce alla prima sezione italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale), dove era ancora vivo l’insegnamento di Michele Bakunin. I primi tempi della sua adesione sono segnati da due confronti, che contribuiscono a rafforzare l’impronta anarchica del nascente movimento operaio italiano. Il primo è il congresso delle società operaie, che si tiene a Roma nel dicembre del 1871, e vede la rottura fra la piccola pattuglia degli internazionalisti, e i mazziniani, che seguono il loro leader nella condanna della Comune di Parigi (marzo-maggio 1871) e del socialismo. L’altro è lo scontro con il Consiglio Generale di Londra, controllato da Carlo Marx, che tenta di trasformare la Prima Internazionale in un ufficio di coordinamento di partiti socialdemocratici, orientati ad arrivare al governo per la via parlamentare, che si concluderà con la costituzione a Saint-Imier (settembre 1872) dell’Internazionale antiautoritaria. Da allora Malatesta parteciperà, talvolta con un ruolo di primo piano, alle lotte per l’emancipazione del proletariato, dai primi congressi dell’internazionale socialista, alle prime celebrazioni del Primo Maggio, dalla Settimana Rossa all’occupazione delle fabbriche, fino alla lotta contro il fascismo trionfante e ai primi segnali della Rivoluzione Spagnola.

La sua vita è stata una testimonianza di coerenza tra pensiero e azione, tra vita quotidiana e lotta rivoluzionaria. A settantatrè anni, mentre il fascismo si stava trasformando in regime, poteva affermare, trattando delle risoluzioni di Saint-Imier: “Questi principi continuano a segnare per noi la retta via. Chi ha tentato di operare contraddicendoli si è smarrito perché, comunque compresi, Stato, dittatura e parlamento non possono che ricondurre le masse in schiavitù. Tutte le esperienze fatte fino ad oggi l’hanno definitivamente provato” (Pensiero e Volontà, 1° luglio 1926).

Se l’anarchismo è, come sostiene Luigi Fabbri in “Dittatura e Rivoluzione”, una teoria rivoluzionaria basata sulla libertà, e non una generica aspirazione filosofica o esistenziale, Errico Malatesta ha sicuramente dato un contributo fondamentale all’elaborazione di questa teoria. E’ un contributo che si è formato nel crogiuolo della lotta di classe, non sui tavoli di qualche biblioteca, per quanto prestigiosa. Errico Malatesta ha elaborato le sue concezioni all’interno del dibattito collettivo, dei meetings e dei Congressi che hanno dato vita alle idee portanti dell’anarchismo rivoluzionario, ed è stato spesso portavoce del buon senso rivoluzionario, patrimonio della maggioranza dei compagni, che spesso non avevano la possibilità di esprimerlo. La sua azione si è mossa in due direzioni: da una parte una chiarificazione dei principi definiti a Saint-Imier, dando loro una coerenza interna e un collegamento immediato alla vita quotidiana della classe operaia e delle masse popolari, dall’altra ha cercato di elaborare delle indicazioni strategiche funzionali al processo di liberazione dallo sfruttamento e dall’oppressione, in coerenza con i principi fondamentali. Questo lavoro si è svolto con successo tanto che il Programma Anarchico, scritto da Malatesta e approvato al Congresso dell’Unione Anarchica Italiana (Bologna, 1920), si apre con una dichiarazione dove si afferma che “è il programma comunista-anarchico rivoluzionario, che già da cinquant’anni fu sostenuto in Italia nel seno della Prima Internazionale”; ancora oggi, il Programma Anarchico ispira l’azione della Federazione Anarchica Italiana.

Gli strumenti strategici individuati da Malatesta si ricollegano all’ideale anarchico: la coerenza tra i mezzi e i fini è stato un cardine della sua riflessione: “questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal fine cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacché ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza naturale, necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non va dove vuole, ma dove lo porta la strada percorsa.” (Programma Anarchico).
Per Malatesta, non si può imporre l’anarchia per forza; sempre nel Programma Anarchico si trova scritto che “Il nostro ideale non è di quelli il cui conseguimento dipende dall’individuo considerato isolatamente. Si tratta di cambiare il modo di vivere in società, di stabilire tra gli uomini rapporti di amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello sviluppo materiale, morale e intellettuale, non per un dato partito, ma per tutti quanti gli esseri umani – e questo non è cosa che si possa imporre colla forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante il libero consentimento di tutti.”

Gli anarchici comunque non devono aspettare di poter fare l’anarchia, e intanto limitarsi alle semplice propaganda, gli anarchici devono agire sulla società, spingendo i ceti popolari a pretendere sempre di più, fino a raggiungere l’emancipazione completa; cercando di far loro apprendere a conquistarlo con l’azione diretta e l’autogestione, tenendo in odio e in disprezzo chi sta o vuole andare al governo.
Da questi presupposti discendono gli strumenti: l’organizzazione, il fronte unico, l’insurrezione. Per Malatesta l’organizzazione è indispensabile alla vita, quindi l’organizzazione anarchica è indispensabile alla vita del movimento anarchico; essa è anche un terreno di sperimentazione di rapporti, di meccanismi decisionali, di superamento delle pratiche autoritarie, da replicare poi nella nuova società. L’organizzazione anarchica è accompagnata dalla chiarificazione teorica del movimento: le varie scuole in cui si riconoscono gli anarchici non devono essere obbligate a convivere all’interno dell’organizzazione, ostacolandosi a vicenda e ritardando le iniziative pratiche con interminabili confronti teorici. Organizzatori e antiorganizzatori, comunisti e individualisti, rivoluzionari e pacifisti devono potersi organizzare senza ostacolarsi a vicenda; d’altra parte l’azione di propaganda dell’organizzazione si può svolgere solo sulla base di un programma definito, che caratterizza l’organizzazione stessa. A più riprese Malatesta affronta il tema dell’organizzazione, in particolare in un suo intervento sulla questione della responsabilità collettiva, pubblicato sulla rivista “Studi Sociali” di Montevideo nel 1930, ripete, a proposito dell’Unione Anarco Comunista Rivoluzionaria francese, che “quell’organizzazione non ha un programma chiaro e preciso, compreso ed accettato da tutti i suoi membri, e che nel suo seno vi sono, confusi da un’etichetta comune, uomini che non hanno le stesse idee e che dovrebbero aggrupparsi in organizzazioni diverse”.

E’ chiaro che un’organizzazione di questo tipo non ha problemi ad avere rapporti con altre organizzazioni politiche per obiettivi ben definiti. Nel 1898 Errico Malatesta pubblica l’opuscolo “Contro la monarchia” che è un appello al partito repubblicano e a quello socialista ad unirsi con l’anarchico per rovesciare la monarchia in Italia, lasciando impregiudicata la questione istituzionale. L’appello cade praticamente nel vuoto ma Malatesta, e le realtà anarchiche che si rifanno alla tendenza comunista, tenteranno periodicamente di rimettere in piedi un fronte unico dei partiti sovversivi per arrivare ad uno sbocco insurrezionale. Sarà questo il quadro strategico in cui maturerà la Settimana Rossa (1914), sarà questo il tema guida dell’azione dell’Unione Anarchica sia durante il biennio rosso, sia di fronte alla reazione fascista. Ancora durante la guerra di Liberazione gli anarchici sosterranno il fronte unico proletario, in contrapposizione all’alleanza interclassista dei Comitati di Liberazione Nazionale.

Il fronte unico è stato uno dei passaggi che ha provocato più discussioni e contrapposizioni all’interno del movimento anarchico. I partiti con cui doveva essere costruito il fronte unico, quello socialista e quello repubblicano, erano alieni ad azioni rivoluzionarie e, quando vi fu l’occasione, fecero di tutto per tirarsi indietro; quando poi si costituì il Partito Comunista d’Italia, il concetto che aveva quest’ultimo del fronte unico era esclusivamente strumentale; fin dalla sua nascita Errico Malatesta denunciò la sua subordinazione al governo di Mosca. D’altra parte il comportamento di queste organizzazioni, come della Confederazione Generale del Lavoro, fu tale da ostacolare il processo rivoluzionario. Nel 1922, dalle colonne di “Umanità Nova”, così descrive la situazione “gli altri (…) per mezzo delle loro leghe, sezioni, federazioni, disponendo di fiduciari in tutti i centri, di indirizzi sicuri, ecc., ecc., essi possono lanciare un movimento quando serve ai loro fini ed arrestarlo quando quei fini sono raggiunti. E per stroncare qualsiasi movimento hanno un mezzo semplicissimo: quello di far credere in ogni località che tutto si finitoe che bisogna pensare a salvare il salvabile”. Ma conclude affermando che queste situazioni si riprodurranno, perché gli anarchici non si possono isolare dai movimenti, solo che non si devono trovare nello stesso stato di impreparazione e disorganizzazione.

L’altro tema affrontato da Malatesta è stato quello dell’insurrezione: insurrezione intesa come momento decisivo dello scontro con il governo, perché è il governo che rappresenta la principale barriera alla trasformazione sociale. Quando gli sfruttati, i ceti popolari danno vita a vivaci proteste contro la politica governativa, il governo, a seconda che sia più o meno illuminato, cede o reprime. Se il governo reprime, il popolo finisce per ribellarsi, ma se il governo cede, il popolo pretende sempre di più, fino a che l’incompatibilità tra libertà e autorità diventa evidente e scoppia il conflitto violento, quindi sempre si può arrivare all’insurrezione, a partire da vivaci movimenti di massa.

Sostiene Malatesta nel Programma Anarchico “L’insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per l’emancipazione popolare, poiché il popolo, scosso il giogo, diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori, e la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il grado di civiltà a cui è arrivata la massa della popolazione, è varcata d’un salto. L’insurrezione determina la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle forze latenti accumulate durante la precedente evoluzione.” Quello che riescono ad ottenere le forze popolari con l’insurrezione dipenderà dal lavoro preparatorio che il movimento anarchico sarà in grado di fare.
L’insurrezione non è solo il momento finale dello scontro fra libertà e autorità, è anche la pratica di lotta che deve diventare propria dei movimenti di massa, rifuggendo dalle insidie della lotta parlamentare, delle azioni legali che finiscono per legittimare le istituzioni.

A cinquant’anni dalla morte Gino Cerrito, il principale storico dell’anarchismo, si interrogava sull’influenza di Malatesta sul movimento operaio italiano. Credo che l’esperienza della Resistenza contro il nazifascismo sia la principale dimostrazione della validità delle teorie anarchiche e del contributo di Malatesta. La liberazione è stata ottenuta solo grazie all’insurrezione popolare, di cui festeggeremo il 25 aprile il settantesimo anniversario, e si è arrivati all’insurrezione attraverso azioni continue di lotta, attraverso l’unità delle forze popolari, attraverso l’autorganizzazione dei partigiani, dei settori più combattivi dei ceti popolari. Lo stesso Partito Comunista ha dovuto modificare radicalmente il suo atteggiamento (la “svolta”) per contendere al movimento anarchico il ruolo di avanguardia in questa lotta.
Oggi che milioni di proletari rifiutano il sistema politico attuale, che vedono in esso un inganno, uno strumento di difesa delle classi privilegiate, l’unica alternativa al disincanto, alla delusione è in una politica rivoluzionaria che miri a sovvertire l’ordinamento economico. Su questa strada, Errico Malatesta ha ancora qualcosa da dirci.

Tiziano Antonelli

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