La produzione agroalimentare in tutto il Piante è abbondante, anche a seguito dell’aumento della meccanizzazione, dell’abuso di sostanze chimiche e biocidi e della crescita del latifondo, spesso a discapito di foreste millenarie e della relativa flora e fauna, e delle popolazioni che per secoli vi hanno vissuto in armonia nel loro ecosistema. Contemporaneamente assistiamo alla desertificazione di molti territori a seguito dello sfruttamento eccessivo e degli effetti causasti dal Riscaldamento globale.
Pertanto il problema vero è la distribuzione del cibo nel pianeta. Nei paesi occidentali esso è veicolato soprattutto dalla GDO (grande distribuzione organizzata). Tutti noi abbiamo ben presente i lunghissimi scaffali, dove troviamo tante marche di un singolo prodotto, dandoci la falsa illusione di poter scegliere per soddisfare dei bisogni che spesso sono indotti da raffinate campagne pubblicitarie. Molti di noi lo sanno come la GDO sia una macchina che produce enormi quantità di rifiuti, che in altri termini sono sprechi alimentari indotti da un sistema che come ultimo scopo ha la massimizzazione del profitto di pochi. Parte di questi rifiuti sono utilizzati per la produzione di metano nelle centrali a biomasse, oppure diventano compost. Detta così sembrerebbe anche una cosa intelligente, invece entrambi hanno notevoli impatti, tra cui il persistente cattivo odore nei luoghi dove queste industrie biochimiche sono situate e come anch’esse siano perfettamente inserite nelle logiche capitalistiche della così detta green economy. Inoltre il compost non ha la stessa capacità di nutrire la terra come altri concimi organici.
Si tratta di problematiche di portata planetaria, per le quali non esiste una singola risposta e non deve nemmeno esserci, ma esistono diverse risposte, elaborate prima di tutto dalla consapevolezza del problema a livello individuale e poi condiviso e socializzato all’interno di gruppi sociali, dalle quali poi partono le pratiche e le azioni, elaborate sulla base delle risorse del territorio. Per tanto non c’è da demonizzare chi cerca di attuare delle pratiche più tosto che altre, ma è più utile al movimento cercare di capire i percorsi e i processi che hanno portato a quelle pratiche più tosto che altre.
In un articolo nei numeri precedenti di UN, qualcuno aveva fatto riferimento all’agricoltura intensiva, rimanendo in Italia, i metodi di produzione agroalimentare devono essere diversi, proprio per la diversa morfologia che presenta la penisola italica. Quindi nella pianura Padana, e in altri territori si possono avere delle pratiche di collettivizzazione della produzione attraverso coltivazioni intensive, che rispettino la biodiversità, quindi il mantenimento di aree selvatiche, avere varietà diverse di cereali, ortaggi, frutteti, etc, in cui vengano praticate le rotazioni e il sovescio e non ci sia l’utilizzo di sostanze chimiche. In questo caso è doveroso l’utilizzo della meccanica, altrimenti è chiaro che si riprendono le pratiche di sfruttamento bracciantile del latifondo. Pare evidente che una simile pratica non possa essere concretamente attuate in un tempo relativamente breve. La maggior parte del territorio italiano è collinare e montano, quindi non può prestarsi a pratiche intensive, ma ci sarà un orientamento agronomico più vicino all’autoproduzione o al sistema estensivo. Quindi è impossibile definire quali siano le pratiche più “giuste”.
Una delle pratiche che già da molti anni si sperimenta per far fronte alle problematiche alimentari (se pur con le mediazioni del caso), sono i GAS.
Essi hanno in sé una notevole forza rivoluzionaria, perché pongono al centro le relazioni sociali. Non sono solo tra i membri dei singoli GAS, ma si estendo ai produttori, i quali possono appoggiarsi a un canale certo cui distribuire i propri prodotti, evitando loro di rivolgersi allo strozzinaggio della GDO, ma garantendosi comunque un reddito dignitoso, con la garanzia, tra l’altro, di rientrare nelle spese di produzione e non è una cosa da poco! Parliamo di dare tranquillità economica agli agricoltori, si pratica la fiducia tra chi produce e chi consuma, si agisce sulla riduzione, se non addirittura l’annullamento degli sprechi, per tanto evitare le dinamiche attualmente in atto, citate nei capoversi precedenti. Inoltre all’interno dei GAS si possono sperimentare forme di autocertificazione partecipata, quindi avere la garanzia di produzioni sane, senza gli inutili costi, le sovrastrutture e le ipocrisie della certificazione del bollino (vedi inchiesta di Report).
E’ utile ricordare che la stessa sigla GAS è oramai superata, oggi abbiamo i GAAS, gruppi di acquisto e autoproduzione solidale, oppure i GASS, gruppi di acquisto e scambio solidale. L’autorganizzarsi in gruppo di acquisto significa prima di tutto uscire dalla depersonalizzazione, dall’individualismo della GDO e mettere al centro le relazioni sociali, fatti di cose semplici, come ad esempio se qualcuno all’interno del GAS finisce prima un prodotto, lo chiede con qualcun altro del gruppo di acquisto.
Di non secondaria importanza per anarchici e libertari è la questione del metodo, infatti, negli anni si è capito che è importante mantenere i GAS con numeri non troppo alti, in modo da avere delle dimensioni che permettano il confronto assembleare, ed evitare il pericolo di sovrastrutture che comportano il rischio di neoistituzionalizzaizone e diventare appetibili bacini di voti anche attraverso finanziamenti pubblici, per ottenere, per esempio, dei luoghi dove stoccare la merce e quindi riproporre le stesse dinamiche della GDO. Un numero relativamente piccolo permette di mantenere una genuinità originaria che altrimenti andrebbe persa.
Non si vuol qui nascondere l’esistenza di pratiche di GAS elitarie, che ci auguriamo essere esigue e comunque di poter contaminare con nuove consapevolezze e nuove pratiche.
I GAS hanno in se stessi una forza rivoluzionaria che potrebbe essere tranquillamente estesa ad altri consumi, come quello energetico, trovando delle pratiche che possono rispondere agli effetti del Riscaldamento globale, sfida che interessa tutt* per la quale il movimento anarchico ha in sé una serie di risorse che risiedono soprattutto nell’ecologismo sociale e nel municipalismo, che possono rappresentare una concreta risposta di sopravvivenza nel futuro prossimo.
Lasko Regina
Grey Goose