Lo scorso 4 dicembre l’Usace, (United States Army Corps of Engineers, l’equivalente del nostro Genio Militare) ha comunicato ufficialmente che, su richiesta dell’Amministrazione Federale, avrebbe rifiutato il permesso al controverso progetto dell’oleodotto Dakota Access Pipeline contro cui gruppi di nativi americani e di attivisti del clima avevano organizzato numerose proteste, bloccando i lavori che da settembre all’inizio di dicembre erano riusciti ad avanzare solo di pochi metri. La comunicazione dell’Usace è arrivata all’improvviso di domenica. Se non ci fosse stato lo stop dei lavori, per il giorno successivo, lunedì 5 dicembre, era già stato previsto lo sgombero forzato dell’accampamento dei manifestanti per cui il governatore del North Dakota aveva richiesto ed ottenuto l’intervento delle forze armate. La notizia che sarebbero stati utilizzati i marines per sgomberare Standing Rock aveva avuto, però, come unico effetto quello di alzare il livello della protesta. In pochi giorni sono arrivati circa duemila veterani di guerra ed altre centinaia di attivisti nativi e non dagli USA e dal Canada per formare un “scudo umano” che sabato 3 dicembre era arrivato a contare 10mila persone. Mentre si moltiplicavano in tutti gli Stati Uniti le prese di posizione di personalità del mondo della cultura e dello spettacolo e le azioni di solidarietà per i manifestanti (con manifestazioni in tutto il paese, ma anche con donazioni di tende, coperte, sacchi a pelo, di migliaia di caschi e di maschere antigas e persino di paramenti da football americano e da hockey offerti da squadre solidali), il blocco dei lavori dell’oleodotto è arrivato giusto in tempo per evitare quello che sarebbe il più massiccio intervento militare in territorio statunitense dopo la fine della Guerra di Secessione.
Il Dakota Access Pipeline è un oleodotto, della lunghezza di 2.047 chilometri, che dovrebbe trasportare centinaia di migliaia di barili di greggio al giorno (proveniente per lo più dall’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose con la tecnica del fracking), attraversando cinquanta contee dal North Dakota all’Illinois. Le proteste contro il Dakota Pipeline erano cominciate in aprile, quando la compagnia aveva annunciato di voler far passare l’oleodotto sotto il corso del fiume Missouri. Questa era stata vista come una minaccia per il territorio della riserva indiana Sioux di Standing Rock, visto che il Missouri è l’unico fiume da cui i nativi possono attingere l’acqua, e quindi il Consiglio Tribale aveva fatto ricorso contro l’opera per la mancata consultazione delle popolazioni locali prima di iniziare i lavori e per aver violato le leggi sulla protezione dei siti storici e naturali.
Il governo federale aveva accolto il ricorso e aveva emesso un ordine di sospensione dei lavori che ai primi di maggio erano stati interrotti. Nel frattempo, però, centinaia di Sioux (consapevoli che la sospensione dei lavori sarebbe stata solo provvisoria) avevano cominciato a radunarsi vicino alla città di Cannon Ball, vicino al confine del Sud Dakota, chiamando alla lotta anche gli altri popoli nativi. I membri di 27 tribù si sono uniti alle dimostrazioni, provenienti anche da stati lontani come Nevada e Washington, e insieme ai Sioux hanno dato vita ad un accampamento a poche decine di metri dall’ultimo tratto costruito di oleodotto. Così, quando all’inizio di settembre la Corte Suprema del North Dakota ha annullato la sospensiva ordinata dalla Casa Bianca, i lavori di costruzione dell’oleodotto sono stati immediatamente bloccati dai manifestanti, ribattezzatisi “the water protectors”, i protettori dell’acqua per indicare come la loro protesta riguardi non solo i circa 30mila nativi che abitano l’area, ma tutti i 17 milioni di americani che ricevono la propria acqua potabile dal Missouri e che un eventuale incidente all’oleodotto potrebbe irrimediabilmente contaminare. La resistenza è riuscita a fermare i lavori mentre la repressione cresceva di giorno in giorno.
A settembre, la sicurezza privata aveva aizzato i cani contro i manifestanti che cercavano di ostacolare la distruzione di un luogo sacro. Nel mese di ottobre, la polizia, indossando giubbotti antiproiettile e alla guida di Hummer blindati, ha arrestato 127 manifestanti e utilizzato pistole stordenti, spray al pepe, proiettili non letali e bombe sonore per disperdere un blocco che aveva fermato il traffico per giorni. Il 20 novembre la Guardia Nazionale ha usato cannoni ad acqua (in un momento di temperature sotto zero) e utilizzato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere un gruppo di manifestanti che stava bloccando un ponte e oltre trecento Water Protectors sono stati assistiti per ipotermia e 26 sono finiti in ospedale. In questi mesi sono state arrestate così tante persone (un centinaio nella sola giornata del 22 ottobre) da rendere impossibile rinchiuderli tutti nella prigione della contea di Morton, rendendone necessaria la distribuzione in tutte le prigioni del Nord Dakota. A finire in carcere sono stati non solo gli attivisti, ma anche giornalisti, fotografi e documentaristi indipendenti che stavano cercando di documentare le proteste: il regista Deia Schlosberg è ormai in prigione da due mesi accusato di una lunga sequenza di reati (furto di proprietà, manomissione, sabotaggio, danneggiamenti e cospirazioni) che secondo la legge americana potrebbero valergli fino a 45 anni di carcere..
Contemporaneamente, le agenzie di polizia, le agenzie governative e le multinazionali coinvolte hanno inoltre lanciato una vera e propria offensiva mediatica contro i manifestanti. La Midwest Alliance for Infrastructure NowMidwest, organizzazione lobbystica finanziata da una serie di associazioni di imprese e sindacati conservatori, ha creato l’Osservatorio sui fatti di Standing Rock, un sito web che pretende di promuovere “la verità” e confutare “la disinformazione sul progetto già approvato – e quasi concluso – del Dakota access project”. Con molta più disinvoltura, invece, il Dipartimento dello Sceriffo di Morton County ha utilizzato Facebook per postare bufale su Water Protectors che avrebbero attaccato giornalisti e fabbricato bombe. A novembre, dopo che una granata della polizia aveva gravemente ferito una manifestante di nome Sophia Wilansky – mandandola in ospedale a Minneapolis, dove i medici sono riusciti a curarla senza dover amputare il braccio gravemente ferito – lo sceriffo aveva accusato i manifestanti di aver provocato le ferite della Wilansky con una bomboletta di propano che essi stessi avrebbero apparentemente trasformato in una bomba.
Pochi giorni fa, invece, hanno postato la serie web “Know the Truth”, una raccolta di brevi video che divide i manifestanti tra una maggioranza ragionevole, rispettosa della legge e una frangia violenta “che li utilizza [i manifestanti pacifici] per camuffarsi”. E, mentre sui social imperversava la disinformazione “di stato” venivano arrestati i giornalisti indipendenti e la Federal Aviation Administration imponeva una no-fly zone per impedire il volo di droni con videocamere per documentare le proteste (e alcuni droni sono stati abbattuti dalla polizia a fucilate). Contro le proteste sono stati inoltre utilizzati i più raffinati mezzi di intelligence digitale come “Stingrays”, che replica ripetitori telefonici e raccoglie dati sulle cellule del traffico telefonico.
La repressione e la disinformazione non hanno però fermato i Water Protectors. Come ha scritto la rivista line Usa Jacobinmag.com (in un articolo tradotto in italiano da Popoff Quotidiano) la decisione dell’USACE di fermare i lavori del Dakota Access Pipeline “ è stata una vittoria enorme – anche tenendo conto che il rinvio potrebbe essere solo provvisorio (la società farà appello, e Donald Trump è un investitore dell’oleodotto) e che l’oleodotto potrebbe semplicemente essere deviato (…) A Standing Rock, abbiamo assistito alla più grande mobilitazione dei popoli nativi americani da decenni e una effervescenza di azioni di solidarietà in tutto il paese. Abbiamo assistito ad un’ulteriore crescita del confronto diretto, delle proteste illegali e delle azioni dirette che avevano sviluppato Occupy Wall Street e Black Lives Matter”.
Il blocco dei lavori potrebbe essere solo provvisorio. Jason Miller, un portavoce di Trump ha subito fatto sapere che”Trump sostiene la costruzione dell’opera e si riserva di prendere le decisioni più adeguate”. La futura amministrazione potrebbe in teoria consentire la realizzazione del progetto originale anche contro il parere dell’autorità militari statunitensi. Trump ha detto già in campagna elettorale che troverà il modo di ribaltare anche il blocco del progetto dei quasi duemila chilometri di oleodotto della XL Pipeline dal Canada al Nebraska. I mega-oleodotti sono indispensabili per rendere economicamente conveniente l’estrazione del petrolio dalla sabbia bituminose, visto che il fracking è una tecnica estrattiva molto costosa e che l’unico modo per abbassare i costi costi è economizzare sul trasporto. La resistenza contro la devastazione sta però crescendo in tutti gli Stati Uniti soprattutto dopo l’incendio che da maggio a settembre ha devastato per tre mesi lo stato dell’ Alberta in Canada, distruggendo più di 2mila edifici e 300mila ettari di bosco e costringendo all’evacuazione decine di migliaia di persone (tra cui l’intera popolazione, 88mila abitanti, di Fort Worth, una città grande come Pisa). Fino all’arrivo delle piogge autunnali non è stato possibile domare le fiamme a causa delle polveri bituminose disperse durante le operazioni di fracking e portate dal vento anche a decine di chilometri dai campi petroliferi.
Anche per questo la lotta di Standing Rock è così importante e anche in questo gelido gennaio, nonostante la neve e il Blizzard, il vento artico canadese che soffia a -10°C, all’accampamento dei Water Protectors continuano a esserci più di 2mila persone. Intanto proseguono le iniziative di solidarietà, come la campagna lanciata in questi giorni dall’associazione ecologista Rainforest Action Newton che invita i risparmiatori a scrivere alle loro banche per chiedere che non investano sul Dakota Access Pipeline e che in poche ore ha avuto la adesione di decine di migliaia di persone.
robertino