Gennaio-marzo 2010: una serie di danneggiamenti alle dorsali in fibra ottica sottomarine che passano dall’Egitto rallenta il traffico dati dall’Europa al sud-est asiatico e al medio-oriente. I danni seguiti a questi danneggiamenti, le cui cause furono probabilmente dei sabotaggi, non sono mai stati chiariti.
In ogni caso, questa serie di eventi porta alla nostra attenzione un fatto “nascosto” ma di fondamentale importanza per comprendere l’economia contemporanea: internet è un sistema fisico e non un’entità astratta. Già la definizione di internet dovrebbe far riflettere: insieme delle reti telematiche interconnesse tra di loro. Internet altro non è un’insieme di sub-reti regionali e macroregionali connesse tra di loro in specifici punti: centinaia di migliaia di chilometri di cavi in fibra ottica, alcuni lunghi migliaia di km, che passano sotto gli oceani e i mari, di doppino in rame, antenne per i collegamenti radio, anche satellitari. L’insieme delle dorsali di fibra ottica rappresenta l’ossatura vera e propria della rete e, non a caso, sono chiamate backbone (“colonna vertebrale”), collegando tra di loro i diversi paesi e, quindi le sottoreti nazionali o regionali.
Queste infrastrutture sono fondamentali per il funzionamento dell’economia globale, spesso sono gestite da consorzi di attori pubblici e privati, su di esse passa tutto il traffico dati, compreso quello telefonico, e sono considerate infrastrutture strategiche. La capacità di controllo da parte degli attori statali di queste infrastrutture assume un’importanza a livello geopolitico e la capacità di controllo da parte di attori privati è nella dimensione strategica della pianificazione d’impresa e nella costruzione di economie di scala. Sulla pianificazione dei punti di passaggio di queste dorsali non pesano solamente fattori puramente economici per l’interesse di gruppi di imprese ma pesa anche, e in una certa misura sopratutto, anche l’interesse di attori statali di primo piano.
A queste considerazioni preliminari e non esaustive vanno aggiunte altre questioni: Internet per come è stato concepito non è una rete a-gerarchica e l’intervento o meno nella gestione e costruzione di queste infrastrutture influisce sulla forma che assumano le grandi aziende del mercato dei big data in quanto sta determinando l’emergere di fattori di integrazione verticale nel settore.
Iniziamo, per sommi capi, dalle basi: come funziona internet e come il web, compreso nel suo aspetto di economia politica, è descrivibile da un punto di vista della topografia delle reti?
La struttura del web si basa sui root nameserver, ovvero i server che sono i server DNS principali che forniscono gli aggiornamenti a tutti i DNS dei singoli operatori. Dato che il web si basa sulla possibilità di fare corrispondere l’url di una risorsa web, ad esempio google.com, con il suo indirizzo numerico, che è l’indirizzo utilizzato realmente dai calcolatori, ad esempio 216.58.198.46 si capisce l’importanza di questa struttura. I root nameserver sono attualmente 13 e, oltre al traffico web (http e https) gestiscono anche il traffico mail (imap, smtp e pop3).
L’intero web, ma non Internet nel suo complesso, e tutta l’economia ad esso legata dipendono da questi 13 server, gestiti sia da attori pubblici statunitensi che da consorzi di imprese. Alcuni di questi server sono locati in specifici datacenter, alcuni dei quali collocati in installazioni militari o comunque militarizzate, ma, negli ultimi anni, per fornire una maggiore resilienza alla rete alcuni di essi sono forniti in anycast, ovvero un singolo server è di fatto distribuito in più paesi su macchine distinte. In ogni caso un attacco coordinato, per quanto sarebbe complesso da progettare ed eseguire, sull’insieme dei 13 root nameserver risulterebbe fatale per il web in quanto i DNS dei singoli provider non sarebbero più aggiornati.
Anche i provider che portano la connessione ai privati hanno delle loro reti che sono organizzate in modo gerarchico tramite una successione di gateway tramite quali transitano i dati che vanno da/per le macchine dei singoli utenti verso le macchine collocate all’esterno della rete del provider.
Da un punto di vista della topografia delle reti come è descrivibile il web? Spesso si sente dire che il web è strutturalmente a-gerarchico, quasi casuale, ma non è così.
Il web non è una rete che cresce casualmente e in cui i nuovi nodi, i nuovi siti internet, si collegano casualmente ad un numero di nodi casuale. Quando un nuovo nodo viene inserito nella rete questo si andrà a collegare, con molta probabilità e a causa di scelte commerciali, a dei nodi già esistenti e già con un certo numero di collegamenti. È il modello di crescita adottato dalle reti ad invarianza di scala. Ne consegue che verranno a formarsi degli hub, ovvero dei nodi che hanno un maggior numero di collegamenti ad altri nodi.
“Il modello ad invarianza di scala ha due leggi fondamentali:
Crescita: in ogni dato intervallo di tempo aggiungiamo un nuovo nodo alla rete. Questa fase evidenzia il fatto che le reti si formano un nodo alla volta
Collegamento preferenziale: assumiamo che ogni nuovo nodo abbia due link per connettersi ai nodi già presenti. La probabilità che scelga un certo nodo è proporzionale al numero di link da questi posseduto. Ossia: data la scelta fra due nodi, di cui il primo ha due volte i link del secondo, le probabiltà che la scelta ricada sul primo sono esattamente doppie.”[1]
Ne consegue che un sito web già grosso, con molti collegamenti che puntano a lui, ha molte più probabilità di un sito web piccolo con pochi collegamenti di essere linkato da un nuovo sito.
Da quella che sembra un’affermazione banale ne deriva una semplice verità: il web non è una rete a-gerarchica. Anzi, è una rete con la presenza di alcuni forti hub che in prospettiva sono destinati a crescere. Una rappresentazione della rete che tenga conto di quanti link ha un sito o della quantità di traffico da esso generato ci mostrerebbe che alcuni siti sono abnormi, dei veri e propri attrattori. Confrontando le mappe in ordine cronologico si noterebbe che i grossi siti si sono di norma ingranditi in misura molto maggiore a quelli minori.
Insomma: il web porta con se delle dinamiche di concentrazione economica, e quindi di potere, che non possono essere ignorate ne tanto meno nascoste.
Inoltre negli ultimi anni è emersa un altro importante fattore: i maggiori attori del mercato dei big data, Google e Facebook in testa, stanno investendo direttamente nella realizzazione di nuove dorsali in fibra ottica. Perché questo fatto emerge come fatto di fondamentale importanza e non può essere visto solamente come una normale diversificazione dell’attività imprenditoriale?
Facebook negli ultimi quattro anni si è impegnata nel progetto Asia Pacific Gateway, dorsale sottomarina di cavi in fibra ottica che è finalizzata a connettere Giappone, Sud Corea, Filippine, Cina, Taiwan, Vietnam, Tahilandia, Hong Kong, Malesia e Singapore. Una dorsale di importanza fondamentale per il numero di utenti e mercati coinvolti, comprese le piazze finanziarie di Singapore e Hong Kong, tra le maggiori al mondo, e per le aree geografiche in cui si inserisce da un punto di vista geopolitico: la dorsale infatti connette, o meglio aumenta la banda di connessione già esistente, l’Asia continentale con il Giappone e il sud-est asiatico, un’area popolosa e densa di punti passaggio obbligati per la logistica delle merci che da queste aree manifatturiere viaggiano per i mercati di destinazione via container (gli stretti della Malesia, di Singapore e Indonesia), che per i traffici petroliferi via nave che dal medio-oriente vanno verso la Cina e Vietnam. Insomma una dorsale che si inserisce in un’area geografica il cui controllo è fondamentale per gli assetti geopolitici globali, e in cui intervengono importanti attori statali (Cina, Stati Uniti, India). Ma perché un’azienda dei big data come Facebook è intervenuta su un’opera infrastrutturale? È semplice diversificazione di impresa oppure è un movimento di integrazione verticale?
Qualche parallelo storico: durante la seconda rivoluzione industriale, negli Stati Uniti, comincia a emergere chiaramente il modello di impresa a integrazione verticale. A titolo di esempio: la Carnegie Steel, uno dei più grandi produttori mondiali d’acciaio dell’epoca, crea dei rami d’impresa che vanno ad integrare nella stessa società non solo la produzione d’acciaio ma anche le infrastrutture che rendono possibile l’acquisizione di materie prime e la distribuzione del prodotto finito: miniere di carbone e di minerale ferroso ma anche ferrovie e navi. La Carnegie in questo modo acquisisce un maggiore controllo dell’intero indotto e stabilizza la sua posizione. Le stesse dinamiche dell’epoca, sopratutto per quanto riguarda le ferrovie, si possono osservare anche nelle imprese di Rockfeller e Morgan, e, in generale dei famigerati robber barons dell’epoca. Un mercato che in generale ha adottato il modello ad integrazione verticale è quello petrolifero in cui le società posseggono pozzi estrattivi, oleodotti per il collegamento a raffinerie e terminal, navi petroliere e la rete dei distributori sul territorio.
Quale è il modello di business di Facebook o di Google? In estrema sintesi è la raccolta di dati generati degli utenti e la loro messa a valore rivendendoli a clienti affinché questi possano creare pubblicità mirate[2]. Le infrastrutture che rendono possibile questo sono le reti telematiche e, in particolare, le dorsali in fibra ottica. Quindi nel caso di attori del mercato dei big data che investono in infrastrutture telematiche di grande portata siamo di fronte ad un caso non solo di diversificazione di impresa (vendere quote di banda delle dorsali a provider e altre aziende) ma anche di integrazione verticale: le dorsali servono ad aumentare la capacità di acquisire dati da parte dell’azienda di big data che ha investito in esse.
Google addirittura ha creato il Project Link, finalizzato a creare centinaia di kilometri di dorsali in fibra nelle aree urbane in forte espansione in paesi come l’Uganda e il Ghana, tutte economie emergenti e appetibili per il mercato dei big data ma che hanno scarse infrastrutture telematiche. Il dato interessante di questo progetto è che non riguarda solamente le dorsali ma anche la fornitura diretta di connessioni all’utenza privata. Altro progetto degno di nota, sempre di Google, è quello denominato AWC, ovvero sia l’implementazione di campi eolici e infrastrutture per la distribuzione di energia elettrica perché internet si regge sull’energia elettrica e la crescita della capacità di generazione e distribuzione dell’energia elettrica è fondamentale per l’espansione delle reti.
Allo stesso modo in cui Carnegie, Rockfeller e i robber barons del 19° secolo procedevano all’integrazione verticale delle loro imprese costruendo nuove infrastrutture ora i grandi attori del mercato dei big data, Google, Facebook, ma anche aziende di servizi di clouding, come Microsoft con Azure, stanno agendo per espandere le infrastrutture telematiche globali.
Questo nuovo scenario apre anche altre questioni: quale sarà il rapporto tra questi attori privati che costruiscono enormi infrastrutture strategiche, non solo per loro stesso ma per l’intera economia globale, e gli attori statali che dovranno garantire la sicurezza di queste stesse infrastrutture (le dorsali sono facilmente attaccabili) e che saranno terreno di scontro bellico, perché anche i dati militari passano su internet, e non a caso le forze armate statunitense sono dati di reti esclusivamente loro in collegamento satellitare, al pari del classico terreno “reale”?
Sopratutto davanti a imprese che forniscono servizi tipicamente considerati di alto livello, al vertice rispetto all’infrastruttura sottostante, che entrano a gamba tesa nella definizione dell’infrastruttura come si definirà una questione fondamentale come quella della net neutrality?
Lorcon
[1] BARABÀSI, Albert-Làszlò, Link, Torino, Einaudi, 2004, p. 95.
[2] Si potrebbe anche dire che il modello di business dei big data, sopratutto quello di siti come Facebook o Istagram e altri social network, è basato sulla raccolta di dati grezzi, l’esperienza sensibile quotidiana dell’utente, che vengono da questo rielaborati tramite le sue capacità cognitive, sopratutto quelle inerenti alla sfera emotiva, e poi drenati dalle aziende dei Big Data. Queste opereranno una maggiore raffinazione delle informazioni per poi rivendere il prodotto finito ai loro clienti sotto forma di pubblicità mirati. In futuro la merce potrebbero anche essere altri dati sensibili: si immagini l’entrata nel mercato delle assicurazioni sanitarie private di soggetti come Google che è in possesso di una quantità enorme di dati privati di un individuo, dati raccolti non solo tramite il motore di ricerca ma anche tramite un servizio mail oramai diffusissimo come Gmail. Oltre ai social network o fornitori di servizi tentacolari come Google o Microsoft (sistemi operativi, ricerche sul web, servizi di clouding, servizi mail, servizi topografici) vi sono poi anche altre grosse imprese come E-Bay o Amazon, Airbn, o (ex) start-up in rapida crescita come Foodora che operano tramite le reti telematiche per fornire beni materiali come beni di consumo voluttuari, servizi abitativi e cibo ma che sono parte integrante dell’economa dei big data. Si potrebbe quindi affermare che il modo di produzione che sta emergendo tende a trasformare gli individui in macchine che raccolgono e generano dati che verranno poi messi a valore. Insomma: la sussunzione definitiva della vita all’interno delle logiche di mercato.