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Su Marx e oltre

Su Marx e oltre

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Stimolato dai recenti e interessantissimi articoli su Marx di Voccia e Antonelli,‭ ‬avvisando degli inevitabili errori verso cui lo stato delle mie attuali conoscenze mi condurrà,‭ ‬mi è sorta la voglia di esprimere un parere a riguardo.‭ ‬Il mio intento non è di certo tentare di ristabilire una corretta lettura del pensiero del filosofo di Treviri,‭ ‬autore che,‭ ‬tra l’altro,‭ ‬si presta a svariate interpretazioni.‭ ‬La mia intenzione è semplicemente quella di liberare il suo pensiero dalle letture semplicistiche che spesso circolano in area libertaria‭ (‬interpretazioni semplicistiche corrisposte dai marxisti nei confronti della nostra tradizione intellettuale‭)‬.
Voccia,‭ ‬nel suo articolo sostiene che la ricetta dei risultati storici degli epigoni di Marx sia stata fornita dallo stesso Marx e che la chiave di volta per comprendere tale ricetta sia il concetto marxiano di fase di transizione.‭ ‬Infatti,‭ ‬secondo Voccia,‭ ‬la teoria della dittatura del proletariato,‭ ‬nonostante appaia come mezzo attraverso cui costruire gradatamente nella società elementi di autogestione in opposizione alle forme sociali capitalistiche,‭ ‬in realtà è intesa da Marx in maniera contraria.‭ ‬In riferimento a ciò scrive:‭ ”‬Infatti,‭ ‬è arcinoto come Marx ritenga che le forme di produzione si trasformino l’una nell’altra solo quando quella precedente ha raggiunto il massimo sviluppo delle forze produttive compatibile con essa.‭ ‬La cosa,‭ ‬dicevamo è arcinota,‭ ‬ma assai meno nota è la sua conseguenza logica:‭ ‬il capitalismo è fase di transizione a se stesso‭”‬.‭[‬1‭] ‬Voccia,‭ ‬infine,‭ ‬sostiene che neanche l’analisi economica è priva di colpe in quanto Marx analizza l’economia capitalistica dando un ruolo di primo piano alla produzione rispetto alla distribuzione dei beni prodotti:‭ ‬ciò comporta l’esclusione della critica sull’aspetto della distribuzione della ricchezza sociale nella fase di transizione.
Sicuramente molti degli ingredienti del budino,‭ ‬riuscito non troppo bene,‭ ‬immangiabile o disgustoso che sia,‭ ‬sono stati forniti da Marx ma credo che Voccia si muova entro una linea interpretativa difettosa in quanto la fase di transizione pensata da Marx,‭ ‬per quanto criticabile in un’ottica libertaria,‭ ‬non corrisponde alla sua descrizione e la concezione stessa della dittatura del proletariato muta a seconda delle circostanze storiche così come ogni filosofia si trasforma quando si trova a dover fare i conti con la realtà.‭ ‬Marx in realtà,‭ ‬contrariamente a quanto sostiene Voccia,‭ ‬si interroga sulla questione della distribuzione nella fase di transizione.‭ ‬Secondo‭ “‬il moro‭”‬,‭ ‬infatti,‭ ‬per costruire una società comunista il proletariato non può che partire dall’abolizione dell’essenza dei rapporti di produzione capitalistici costituita dal lavoro salariato.‭ ‬Tuttavia l’abolizione del lavoro salariato non costituisce l’attuazione della società comunista proprio perché da un punto di vista redistributivo,‭ ‬siccome si tratterebbe di una società con retaggi capitalistici,‭ ‬l’operaio riceverebbe l’equivalente relativo alla quantità di lavoro svolto.
Scrive Marx a proposito nella Critica del programma di Ghota:‭ ‬”Per esempio,‭ ‬la giornata lavorativa sociale consta della somma delle ore di lavoro individuale.‭ ‬Il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la parte della giornata lavorativa sociale da lui fornita,‭ ‬la sua partecipazione alla giornata lavorativa sociale.‭ ‬Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto e tanto lavoro‭ (‬dopo la detrazione del suo lavoro dai fondi comuni‭)‬,‭ ‬e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanti equivalgono al costo del lavoro corrisposto.‭ ‬Lo stesso quantum di lavoro che egli ha dato alla società in una forma,‭ ‬lo riceve in un’altra‭”‬.‭[‬2‭] ‬In questa fase ci troviamo in una situazione comunista in quanto niente può essere proprietà individuale se non i mezzi di consumo ma,‭ ‬allo stesso tempo,‭ ‬per quanto riguarda la distribuzione,‭ ‬permangono alcune disuguaglianze.‭ ‬Questa fase per Marx non è né capitalismo e né ibrido tra comunismo e capitalismo poiché,‭ ‬a differenza di quanto sostiene Voccia,‭ ‬Marx chiarisce che il compito del proletariato non è semplicemente assumere il potere,‭ ‬bensì trasformare la macchina statale borghese.
L’interpretazione di Voccia si presta più che alla concezione di Marx a quella leniniana di fase di transizione,‭ ‬secondo cui la premessa non sarebbe l’abolizione del lavoro salariato ma lo Stato costituito dagli operai armati che,‭ ‬nella fase socialista,‭ ‬dovrebbe trasformare tutti in lavoratori salariati dello Stato centralizzato.‭ ‬Ma siccome,‭ ‬come ha scritto giustamente Antonelli‭ ‬”la scientificità di una teoria non viene affermata una volta per tutte,‭ ‬ma ogni volta deve dimostrare la sua efficacia e la sua utilità rispetto all’aggregato sociale di riferimento‭”‬,‭[‬3‭] ‬è interessante osservare come si evolvono o si smentiscono le teorie politiche quando è l’ora della loro attuazione.‭ ‬Del resto lo stesso Marx nel Diciotto Brumaio ricorda che‭ ‬”Gli uomini fanno la propria storia,‭ ‬ma non la fanno in modo arbitrario,‭ ‬in circostanze scelte da loro stessi,‭ ‬bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé,‭ ‬determinate dai fatti e dalla tradizione‭”‬.‭[‬4‭]‬ Una volta al potere anche Lenin si accorse che forse in‭ ‬Stato e rivoluzione l’aveva fatta sembrare un po‭’ ‬troppo facile‭!
Sicuramente un limite della concezione della fase di transizione è implicita nella concezione progressiva della storia,‭ ‬essa però non si lega strettamente alla modalità di attuazione di una fase transitoria bensì all’intero impianto teorico,‭ ‬derivato da una tendenza della cultura occidentale,‭ ‬a cui tanto il marxismo quanto l’anarchismo sono stati legati in passato‭ (‬penso,‭ ‬per esempio,‭ ‬al determinismo naturalistico di Kropotkin sopra il quale si scatenarono aspri dibattiti tra organizzatori e anti-organizzatori‭) ‬e di cui Marx non può essere considerato colpevole.
Il XIX secolo è il momento in cui giunge a maturazione l’elaborazione di una filosofia della storia scientifica e laica.‭ ‬Se Hegel indica una tappa decisiva per questa costruzione con la sua concezione della storia come processo dialettico di autorealizzazione dello spirito del mondo,‭ ‬il positivismo compie il passo finale verso una filosofia della storia scientifica.‭ ‬Esso può essere considerato come l’espressione di un contesto culturale e mentale specifico,‭ ‬al cui centro troviamo la fiducia nel futuro.‭ ‬Manifestazione di tale contesto è la concettualizzazione della legge dei tre stadi del progresso formulata da August Comte scandita da tappe segnate prima da un paradigma conoscitivo di tipo teologico,‭ ‬poi da uno metafisico ed infine da uno positivo e scientifico,‭ ‬ciascuno dei quali corrispondente a determinati modelli sociali.‭ ‬Questa visione della storia,‭ ‬che appare come la laicizzazione delle tappe della storia universale che il nostro senso comune storiografico ha ereditato dalla tradizione giudaico-cristiana,‭ ‬influenzò l’intero mondo culturale e indubbiamente pure Marx ne risentì.
Gran parte dei primi socialisti da Saint-Simon a Owen,‭ ‬passando per Luis Blanc e Proudhon,‭ ‬intendevano il socialismo come il risultato inevitabile di un andamento storico progressivo.‭ ‬Più o meno dal‭ ‬1870‭ ‬in poi Marx ed Engels cominciarono a tendere verso l’applicazione delle teorie di Darwin al divenire storico-sociale e successivamente furono influenzati dalle teorie dell’antropologo Lewis H.‭ ‬Morgan teorizzatore di una teoria evoluzionista incentrata su una successione di stadi‭ (‬selvaggio,‭ ‬barbarie,‭ ‬civiltà‭)‬.‭ ‬Tuttavia possiamo classificare gli stadi di sviluppo marxiani da un punto di vista evoluzionista multilineare e non unilineare in quanto Marx,‭ ‬ai cinque stadi di sviluppo fatti propri dall’ortodossia marxista,‭ ‬aggiunge il modo di produzione asiatico rimosso dal mondo culturale sovietico‭ (‬chissà‭! ‬forse per una certa somiglianza socio-economica‭!)‬.‭ ‬Lo stesso Marx dichiarò,‭ ‬in una lettera inviata alla rivista russa‭ ‬Annali della patria che la sua analisi era unicamente orientata a‭ ‬“indicare la via mediante la quale,‭ ‬nell’Europa Occidentale,‭ ‬l’ordine economico capitalistico uscì dal grembo dell’ordine economico feudale‭”‬.‭[‬5‭]‬ Non aveva mai pensato di rendere quello‭ ‬“schizzo della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una teoria storico-filosofica della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli,‭ ‬in qualunque situazione essi si trovino‭”‬.‭[‬6‭]‬ Addirittura rifiutò la concezione unilineare quando,‭ ‬commentando l’affermazione secondo cui era possibile giungere ad una società comunista solamente passando attraverso una fase capitalistica,‭ ‬prese come riferimento un momento della storia di Roma antica in cui alcune delle condizioni determinanti per la formazione della società capitalistica in futuro erano già presenti a Roma.
Tutto questo non toglie che Marx era convinto che la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive della società e rapporti di produzione capitalistici sarebbe stata superata con una rivoluzione socialista‭ – ‬e in ciò Voccia ha ragione‭ – ‬ma come conseguenza logica non implica né una visione unilineare dello sviluppo storico né il fatto che il capitalismo sia fase di transizione a se stesso,‭ ‬poiché in questo caso ci troveremmo di fronte a un materialismo settecentesco di tipo meccanico.‭ ‬La coscienza stessa dell’uomo che è determinata dall’essere sociale non sta in un rapporto meccanico con la struttura socio-economica.‭ “‬La coscienza umana è plasmata dal rapporto dialettico tra soggetto e oggetto,‭ ‬entro il quale gli uomini con la loro azione plasmano il mondo in cui vivono e sono da esso a loro volta plasmati‭”‬.‭[‬7‭] ‬Per Marx la percezione sensoriale non è immutabile ma fa parte di un mondo fenomenico che è‭ ‬“un prodotto storico,‭ ‬il risultato dell’attività di tutta una serie di generazioni,‭ ‬ciascuna delle quali si è appoggiata sulle spalle della precedente,‭ ‬ne ha ulteriormente perfezionato l’industria e le relazioni e ne ha modificato l’ordinamento sociale in base ai mutati bisogni.‭ ‬Anche gli oggetti della più semplice certezza sensibile gli sono dati solo attraverso lo sviluppo sociale,‭ ‬l’industria e le relazioni commerciali‭”‬.‭[‬8‭]
La ricetta del budino sfornato male a questo punto non pare dipendere tout court dalla concezione della fase di transizione di Marx‭ (‬da inquadrare comunque nel quadro di una proposta non priva di autoritarismo ed esposta a quella concezione progressiva della storia che ha ostacolato una visione del socialismo in chiave storico-sperimentale‭)‬,‭ ‬bensì dalla rigidità con cui venne considerata da parte del marxismo successivo,‭ ‬in particolare quello sovietico,‭ ‬dalla visione unilineare dello sviluppo della società e dalla concezione epistemico-filosofica della rivoluzione sociale.‭ ‬Se il superamento dell’epistéme del marxismo di Bernstein implica il superamento della totalità ed il riformismo legato all’organizzazione tecnico-scientifica della realtà,‭ ‬la filosofia epistemica rischia di incappare in una prassi autoritaria soprattutto se si ha la pretesa leninista di far coincidere l’attività dell’uomo politico-rivoluzionaria con la logica oggettiva dello sviluppo della materia reale.‭ ‬Prassi rivoluzionaria che deve collimare con lo sviluppo dialettico del reale che conduce inevitabilmente al comunismo.‭ ‬In entrambi i casi ci troviamo in un vicolo cieco.
Quali prospettive rivoluzionarie aprono queste due concezioni a maggior ragione se la crisi delle istituzioni fautrici della filosofia marxista le ha condotte dall’epistéme all’apertura a forme di organizzazione sociale tecnico-scientifica legate al modo di produzione capitalistico‭? ‬Com’è possibile l’immissione,‭ ‬attraverso la prassi,‭ ‬logica e oggettiva nel movimento reale del divenire umano se il pensiero umano non è perfetto e la coscienza per quanto determinata dall’essere sociale deve fare i conti con la percezione sensoriale legata al mondo culturale in cui vive‭? ‬Sicuramente il divenire è empiricamente osservabile e la volontà umana ha maggiore possibilità di affermazione solo se corrisponde a necessità oggettive.‭ ‬Il problema sta nello svelare le modalità con cui immettersi nel divenire e la pratica conseguente nei confronti della quale la filosofia-epistemica potrebbe essere un limite in quanto implica la credenza della possessione di una conoscenza certa e incontrovertibile.
È possibile una ripresa dell’episteme evitando i rischi di deviare verso una concezione totalitaria e ideologica‭? ‬Quale alternativa priva di incrostazioni ideologiche noi libertari siamo in grado di fornire‭? ‬Già Korsch e la scuola di Francoforte hanno optato per una filosofia come critica dell’epistéme opponendosi implicitamente a quel marxismo che aveva fatto della dialettica una scienza o metafisica alternative.‭ ‬In ogni caso,‭ ‬tornando a Marx,‭ ‬credo che il suo pensiero,‭ ‬se liberato dalle interpretazioni volgari,‭ ‬sia imprescindibile anche per una critica libertaria al capitalismo e in particolar modo la percezione del capitalismo come separazione e alienazione dell’uomo.
Manuel Pagliarini
Note
‭[‬1‭] ‬VOCCIA,‭ ‬Enrico,‭ “‬L’unico Marx‭”‬,‭ ‬in‭ ‬Umanità Nova,‭ ‬anno‭ ‬96‭ ‬n°‭ ‬20,‭ ‬12/06/2016.
‭[‬2‭] ‬MARX,‭ ‬Karl,‭ ‬Critica del programma di Gotha,‭ ‬Bolsena‭ (‬VT‭)‬,‭ ‬Massari Editore,‭ ‬2008,‭ ‬p.‭ ‬49.
‭[‬3‭] ‬ANTONELLI,‭ ‬Tiziano,‭ “‬I due Marx‭”‬,‭ ‬in‭ ‬Umanità Nova,‭ ‬anno‭ ‬96‭ ‬n°‭ ‬19,‭ ‬5/06/2016.
‭[‬4‭] ‬MARX,‭ ‬Karl,‭ ‬Il‭ ‬18‭ ‬brumaio di Luigi Bonaparte,‭ ‬Roma,‭ ‬Editori Riuniti,‭ ‬2015.
‭[‬5‭] ‬GUARRACINO,‭ ‬Simone,‭ ‬Le età della storia,‭ ‬Milano,‭ ‬Mondadori,‭ ‬2001,‭ ‬p.‭ ‬79,
‭[‬6‭] ‬Ibidem.
‭[‬7‭] ‬GIDDENS,‭ ‬Antony,‭ ‬Capitalismo e teoria sociale,‭ ‬Milano,‭ ‬Il Saggiatore,‭ ‬2015,‭ ‬p.‭ ‬49.
‭[‬8‭] ‬Ibidem.


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