Una Rivoluzione nella Rivoluzione: Olympe de Gouges. Una filosofa al mese

“Problema femminile significa rapporto tra ogni donna – priva di potere, di storia, di cultura, di ruolo – e ogni uomo – il suo potere, la sua storia, la sua cultura, il suo ruolo assoluto.

Il problema femminile mette in questione tutto l’operato e il pensato dell’uomo assoluto, dell’uomo che non aveva coscienza della donna come di un essere umano alla sua stessa stregua.

Abbiamo chiesto l’uguaglianza nel secolo e Olympe de Gouges è mandata sul patibolo per la sua Dichiarazione dei diritti dell[a] donn[a e della cittadina]. La richiesta dell’uguaglianza delle donne con gli uomini sul piano dei diritti coincide storicamente con l’affermazione dell’uguaglianza degli uomini tra loro. La nostra presenza, allora, è stata tempestiva.”

Queste parole aprono il celeberrimo Sputiamo su Hegel, testo-manifesto pubblicato dal gruppo femminista Rivolta femminile nel 1970. Le compagne di Rivolta omaggiano così Olympe de Gouges, una donna che fu tante cose, ma innanzitutto tempestiva.

Ostinata e indomita, durante la Rivoluzione Francese pose pubblicamente la questione femminile con una lucidità che non lasciava scampo: risultò scomoda e fastidiosa perfino – anzi soprattutto – ai fervidi rivoluzionari, uomini troppo orgogliosi per considerarsi criticabili, uomini così presi dal guardare agli alti ideali da non (voler) vedere le donne al loro fianco. Dopo l’abbattimento della monarchia e di tutte le categorie sociopolitiche tradizionali, il vecchio e polveroso Ancien Régime doveva lasciare posto a uno schema sociale nuovo, in cui le donne di qualunque ceto avrebbero dovuto lasciar perdere libertà, politica e cultura (che comunque erano state sempre riservate solo alle nobili), per tornare (o restare) nella sfera domestica come sancito dalla divisione sessuale del lavoro e degli ambienti di vita. Ignorate, ferite, tradite dalla rivoluzione: vi ricorda qualcosa? Penso al dopoguerra, penso ai movimenti politici della seconda metà del secolo scorso. Ma noi donne non ci accontentiamo, e non l’abbiamo fatto mai.

Olympe de Gouges nasce nel 1748 a Montauban, una cittadina della Francia meridionale. Marie Gouze, così si chiamava, riceve un’istruzione minima, medio-bassa (talvolta viene presentata addirittura come semi-analfabeta). Nonostante questo, o forse proprio per questo, vedrà nella scrittura un atto politico e farà della parola pubblica lo strumento primario della sua rivoluzione: sua e di tutte le donne tradite dalla rivoluzione giacobina.

Sposatasi giovanissima e sotto coercizione, appena diciottenne fugge a Parigi sancendo questa svolta biografica con due atti dal valore pratico e simbolico: sceglie come nome Olympe de Gouges (Olympe come omaggio alla madre, de Gouges come “nobilitazione” del suo cognome) e, probabilmente mentendo, si dice vedova (un’informazione fornita dal Dizionario storico della Rivoluzione Francese riportata dalla studiosa Natalia Caprili) – che lo fosse davvero o no, nella capitale francese si presenta come tale, scegliendo di non sposarsi mai più. Esce quindi dalla sfera domestica e lo fa in modo talmente dirompente che il figlio, al quale comunque andranno alcuni dei suoi ultimi pensieri, la disconoscerà. Ad ogni modo, la sua intraprendenza la ripaga: a Parigi de Gouges vive in un contesto politico, culturale e artistico eccezionale, frequenta le Sociétés des femmes (gruppi femminili di donne politicamente attive), si interessa di teatro e diventa attivista, scrittrice e drammaturga – una creatività tutta dedicata a scopi politici.

De Gouges è una protofemminista e un’abolizionista. Il suo pensiero non è arrivato a utilizzare il metodo di analisi che oggi chiameremmo “intersezionalità” ma, seppur senza trovare una sintesi nella complessità intersezionale, le sue intenzioni vanno già verso quella direzione: l’esistenza degli schiavi (e delle schiave) nelle colonie francesi è un’evidente contraddizione rispetto alla proclamazione di diritti cosiddetti universali; l’esistenza delle donne, escluse da tanti diritti anche nella madrepatria, ne è l’altra evidente contraddizione – eravamo già il Soggetto Imprevisto, per citare ancora Carla Lonzi. Dunque, seppure nella sua riflessione le questioni di genere e razziali (due termini che utilizzo antelitteram) non si compenetrassero, de Gouges ha il merito di averle poste – e di averlo fatto pubblicamente. Voi che leggete, probabilmente la ammirate. Ma de Gouges era pur sempre una donna vissuta nella Francia di fine Settecento.

Anche dopo la Rivoluzione, le donne restavano cittadine a metà: avevano il dovere di pagare le tasse ed erano soggette alla legge, ma non avevano diritti politici di elettorato attivo e passivo – in alcune fasi di quegli anni tormentati non potevano neppure assistere alle discussioni delle assemblee politiche istituzionali. In questo contesto di discriminazione, non solo de Gouges come cittadina aveva osato criticare la deriva dittatoriale dei giacobini e in particolare di Robespierre, guadagnandosi il titolo di “nemica della Repubblica”, ma come donna si ostinava a parlare pubblicamente rivendicando diritti di cittadinanza per tutte e tutti. Ma i rivoluzionari non mettevano in discussione l’esistenza delle gerarchie, dell’autorità, della repressione: il potere restava, e doveva essere conservato in mani maschili.

Ostinarsi o rassegnarsi? Urlare più forte o tacere per sempre? Per citare ancora Natalia Caprili e il suo Cittadine di carta, De Gouges “usa la scrittura come surrogato di cittadinanza”, cioè usa la scrittura come forma alternativa di partecipazione politica, esercitata al di fuori delle istituzioni o dei gruppi maschili organizzati e pertanto non soggetta alle concessioni, alle limitazioni e ai divieti imposti dagli uomini.

Il 26 agosto 1789 l’Assemblea Costituente promulga la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Dell’uomo e del cittadino. Le donne sono escluse linguisticamente, formalmente e sostanzialmente, cancellate da un soggetto universale che universale non è – e infatti per loro non è prevista una piena cittadinanza, poiché non hanno diritti politici fondamentali. Ecco che nel 1791 de Gouges scrive la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina. La sorellanza, anche inintenzionale, era già potente, e dall’altro lato del canale della Manica la protofemminista britannica Mary Wollstonecraft stava iniziando a lavorare a un’altra Rivendicazione dei diritti della donna (1792), di cui parleremo il prossimo mese.

Ma torniamo alla Francia di de Gouges. La Dichiarazione del 1791 non propone una mera estensione dei diritti degli uomini alle donne: non si tratta di copiare la Dichiarazione del 1789 sostituendo la parola “uomo” con “donna” e declinando l’intero testo al femminile. La Dichiarazione di de Gouges è molto di più, è una riformulazione che include tutti e tutte, una rielaborazione politica e filosofica originale e sostanziale.

Un esempio interessante è l’articolo 4, sulla libertà. Nel 1789 gli uomini scrivono: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge.” Dunque, una riformulazione della celebre massima illuministica “la mia libertà finisce dove inizia la tua”. Un concetto di libertà che sembra più vicino alla tolleranza e alla sopportazione reciproca che all’armonia e alla vita comunitaria, come se gli individui potessero godere di sfere di libertà solo a patto che queste sfere non si tocchino, come se non esistesse la possibilità di poter essere liberi e libere insieme – e, direi, solo insieme. Questi limiti erano già chiari a de Gouges, che nel suo articolo 4 riformula: “La libertà e la giustizia consistono nel restituire agli altri ciò che appartiene loro; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come unico limite la perpetua tirannia che l’uomo le oppone; tale limite deve essere riformato dalla legge della natura e della ragione.” Quindi, non c’è libertà senza ridistribuzione e rimessa in discussione del sistema: la libertà esiste solo insieme alla giustizia. La libertà è di tutti e tutte – o non è. E mentre gli uomini si guardano l’un l’altro per stabilire e segnare il confine che li rende rispettosi oppure usurpatori, si scordano che tracciando i loro confini così “liberamente” trafiggono i corpi delle donne. Per Olympe de Gouges punti di riferimento etici e politici sono non solo la legge (fallibile) degli uomini e delle istituzioni umane, quanto la Natura e la Ragione, ma anche la Nazione, che “è Uomo e Donna insieme”. Natura, Ragione e Nazione come fari che illuminano la coscienza guidandola all’etica, alla politica, al bene comune.

Invischiata nella vita e non solo in ferventi ideologie, segnata da un padre che non l’ha mai riconosciuta, de Gouges non manca di motivare le sue rivendicazioni facendo riferimento anche alla concretezza della vita incarnata: “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché tale libertà assicura la legittimità dei padri nei confronti dei figli. Ogni cittadina può quindi dire liberamente «sono la madre di un figlio che vi appartiene»” (articolo 11).

La “libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni” è un diritto prezioso, è vero, e de Gouges lo pagherà caro.

Olympe de Gouges viene ghigliottinata nel 1793 per essersi espressa contro l’esecuzione di Luigi XVI, aver rivolto la sua Dichiarazione anche alla regina Maria Antonietta e, soprattutto, non aver preso una posizione giacobina: vicina ai girondini, viene accusata di essere una controrivoluzionaria e una filomonarchica – non trovandosi prove sufficienti a incriminarla, ci si concentra sulle idee politiche espresse pubblicamente e in particolare nel suo scritto Le tre urne. Ma viene punita anche “per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso ed essersi immischiata nelle cose della Repubblica”, come commentò un politico francese di fronte alla sua condanna a morte.

“Nessuno deve essere perseguitato per le proprie opinioni, anche fondamentali. Se la donna ha il diritto di salire sul patibolo; deve avere anche quello di salire sulla Tribuna [politica]” (articolo 10). De Gouges è salita sul patibolo mettendo un tassello affinché noi, decenni dopo, salissimo sulla Tribuna.

Serena Arrighi

Gruppo Germinal Carrara

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