Cartellino rosso contro la propaganda sionista. Udine – 10.000 in piazza

Le grandi manifestazioni sportive sono da sempre momenti altamente simbolici di competitività simulata tra nazioni. In ballo c’è molto di più del risultato di una gara: oltre al business plurimilionario che vi ruota attorno, c’è una sorta di diplomazia “soft” su cui i governi puntano molto.

La gara disputatasi tra le nazionali calcistiche di Italia ed Israele martedì 14 ottobre a Udine non ha fatto eccezione, ed infatti ha attratto un grande movimento di opposizione pronto a contestare la legittimazione delle politiche di Israele dato da questo evento, nello stesso spirito con cui sono state boicottate diverse tappe dell’ultima edizione della Vuelta spagnola, e la stessa partita Italia – Israele tenutasi l’anno scorso a Udine, già oggetto di una protesta simile a quella di questa settimana, anche se con numeri decisamente minori.

La partita

Nelle settimane scorse FIFA e UEFA, i maggiori organi di autogoverno del calcio professionale mondiale ed europeo nonché comitati d’affari miliardari, erano stati oggetto di una campagna di pressione volta a far escludere la nazionale israeliana delle gare da loro gestite, come avevano fatto a febbraio 2022 per la Russia. Tuttavia, di fatto sul tema non è stata neppure svolta una singola riunione, preferendo una “non-decisione” che evita un imbarazzo che evidentemente avrebbe nuociuto agli affari. D’altronde non si può dire che queste organizzazioni abbiano delle bussole etiche affidabilissime, visto che negli anni sono state entrambe coinvolte in massicci scandali, (per l’attribuzione dei diritti televisivi e per il giro delle scommesse) che tuttavia non hanno leso in alcun modo il loro monopolio affaristico. Inoltre per la nazionale italiana decidere di non giocare la partita avrebbe comportato la sconfitta a tavolino ed il rischio di non qualificarsi ai Mondiali.

E così la partita si è giocata lo stesso, nonostante sia stata “sfrattata” da Bari dove doveva tenersi originariamente. L’amministrazione cittadina infatti ha negato l’uso dello stadio comunale, e quindi si è giocato allo stadio di Udine che è di proprietà privata. Nel tentativo di indorare la pillola la FIGC farà una donazione a Médecins du Monde, una ONG che opera a Gaza e in Cisgiordania. I soli 5000 biglietti venduti (su una capienza di 25.000 posti) non dovrebbero rappresentare un gran danno economico per gli organizzatori, visto che molti dei proventi vengono dalla diretta televisiva e dagli sponsor. Tuttavia è probabile che sia la campagna di boicottaggio che la sempre crescente natura elitaria dello sport abbiano contato qualcosa in questo scarso risultato di botteghino.

Le istituzioni

A ridosso della data della partita vari esponenti delle istituzioni politiche si sono spesi in dichiarazioni tra il minaccioso ed il catastrofico, paventando disordini, presenza di organizzazioni pro-terrorismo, e quanto di peggio ancora, nel tentativo di buttare acqua sul fuoco di una protesta che ormai, tra blocchi e manifestazioni in tutta Italia continuava da settimane. È una scoperta operazione di creazione del nemico e di delegittimazione della protesta, che evidentemente qualche grattacapo nei quartieri alti lo sta dando. D’altronde l’ambasciatore israeliano in Italia Peled, dopo aver assistito alla partita, nei giorni immediatamente successivi è stato ospitato ed ha avuto incontri ufficiali con politici locali. Infine il Friuli Venezia-Giulia, e in particolare le Università e le fabbriche belliche presenti sul territorio, hanno stretti rapporti di collaborazione con Israele, ed ecco che la diplomazia “soft” degli eventi sportivi torna utilissima per salvaguardarli.

La manifestazione

La manifestazione è stata indetta dal Comitato per la Palestina di Udine assieme alle comunità palestinesi di Friuli e Veneto, BDS e Calcio e Rivoluzione, nel quadro della campagna “Show Israel the red card” per il boicottaggio delle rappresentanze sportive israeliane dalle gare internazionali. Il comitato ha costruito la giornata tramite assemblee aperte di preparazione anche in altre città, all’insegna della ricerca di una base ampia al di là delle differenze di posizione e di modalità di lotta. Le adesioni sono state numerosissime, con più di 300 realtà nazionali e locali, da ANPI ad associazioni sportive dilettantistiche, sindacati, liste civiche e associazioni culturali, oltre ovviamente al Coordinamento Libertario Regionale, comprendente il circolo Zapata di Pordenone, il collettivo femminista Dumbles, il Gruppo Ecologia Sociale di San Giorgio, il circolo libertario Caffé Esperanto di Monfalcone e il Gruppo Anarchico Germinal di Trieste.

Il corteo ha visto in testa le organizzazioni e singolarità palestinesi assieme all* organizzatr* , seguite dallo spezzone di “Calcio e rivoluzione”, e della realtà aderenti e non. Il coordinamento libertario regionale è stato presente con un proprio partecipato spezzone composto dalle diverse realtà organizzate regionali, dietro allo striscione: “Contro ogni stato, contro ogni nazionalismo – stop genocidio”. Sono stati scanditi slogan per esprimere il carattere internazionalista e antimilitarista dello spezzone, contro stati, frontiere clero e capitale. Lo spezzone è stato animato da più di cento persone, alcune delle quali si sono unite durante il percorso. La partecipazione – che ci si aspettava massiccia vista la scala delle mobilitazioni delle settimane passate – ha superato le aspettative, eccedendo le 10.000 presenze. Veramente difficile cogliere la totalità di questo corteo mentre si snodava per le piccole vie di Udine, città sicuramente non abituata a manifestazioni con tale affluenza. Il clima è stato generalmente vivace e positivo, con molte diverse realtà che hanno contribuito ad animare il lungo percorso a modo loro: da segnalare la presenza di una rappresentanza dall’ex-GKN, e il gemellaggio tra la Murga di Udine e di Trieste, che hanno come sempre allietato i presenti con i loro ritmi indiavolati. Il percorso ha impegnato diverse vie centrali della città, ed è passato anche davanti al covo locale di Casa Pound, dove alcuni militanti erano arditamente schierati a braccio teso dietro un sicuro cordone di polizia in tenuta antisommossa. Li abbiamo lasciati a cercare di conciliare il loro innato antisemitismo e la loro ancor più innata voglia di schierarsi dalla parte del più forte.

Lo spiegamento delle forze della repressione come prevedibile è stato veramente massiccio, con circa tremila agenti schierati, mezzi blindati, idranti e addirittura un elicottero che sorvolava la città illuminando le vie dall’alto con un un faro. All’arrivo del corteo nella piazza prevista per gli interventi finali si sono scatenati degli scontri, prima con il servizio d’ordine e poi con la polizia, per il tentativo di una parte di corteo di continuare il percorso verso lo stadio Friuli, in realtà molto distante da quella piazza. Questo ha dato il pretesto per numerose cariche di polizia con un generoso uso di lacrimogeni e manganellate proseguito fino alla stazione ferroviaria. A questo sono seguiti 2 arresti, 13 fermi e diversi fogli di via.

Gli sviluppi

La consueta narrazione dei “manifestanti buoni” contro i “manifestanti cattivi” non può nascondere la portata di una manifestazione tutto sommato riuscita nonostante l’orario non facile e la stanchezza di molt* dopo una lunga serie di mobilitazioni. La composizione ideologica di questa e delle manifestazioni delle settimane scorse è molto variegata. Comprende sia partiti e sindacati che cercano di mantenere una presenza di piazza mentre di fatto adottano azioni moderate per non compromettere le posizioni di potere che occupano, gruppi su posizioni rossobrune e apertamente antisemiti, molti collettivi e singol* che decidono di sospendere ogni giudizio critico in nome di un “campo largo” di fronte alla priorità assoluta di protestare contro il genocidio. La maggior parte delle persone che sono scese in piazza certamente non hanno posizioni libertarie o anarchiche e non necessariamente mettono in questione il militarismo o il nazionalismo. Ma sono persone che probabilmente pur non facendo politica attiva hanno trovato in sé la voglia di scendere in piazza e manifestare, contribuendo ad alimentare una mobilitazione di proporzioni non viste da molto tempo che sarebbe impossibile senza una partecipazione che va ben oltre l* “militanti”. L’auspicio ora è che le mobilitazioni continuino, per la salvaguardia del fragilissimo cessate il fuoco, per una ricostruzione giusta e non speculativa, e perché le popolazioni di Gaza e Cisgiordania possano autodeterminare il proprio futuro, andando oltre la semplice indignazione morale, abbracciando le cause profonde ed antiche di questo stato di cose in Medio Oriente, e senza dimenticare i molti altri conflitti in corso, primo tra tutti quello siriano, dove il cessate il fuoco ha tutt’altro che risolto i radicati conflitti in atto.

Julissa

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