Che se ne vadano tutti!

L’astensionismo segnala la crescente sfiducia nelle istituzioni

Le elezioni regionali in Liguria sono l’ennesimo campanello d’allarme per il governo Meloni e per la stabilità delle istituzioni.

Nonostante i toni trionfalisti usati dalla maggioranza di governo, che si è aggiudicata la carica di presidente della Regione, i risultati in termini di voti parlano chiaro: Bucci, appoggiato dalla coalizione a guida fascista (pardon, conservatrice) ha perso complessivamente più di 90 mila voti, rispetto alle elezioni del settembre 2020, in cui Giovanni Toti, sempre appoggiato da una coalizione simile, aveva preso 383 mila voti. Lo sfidante Andrea Orlando ha invece conquistato più di 282 mila voti, il 6,47% in più rispetto al candidato del centro sinistra Sansa.

Per quello che riguarda le singole liste, Fratelli d’Italia guadagna rispetto al 2020, ma è più che dimezzato rispetto alle elezioni politiche del 2022. La Lega è il partito che paga di più, perdendo il 55%, anche di più del Movimento 5 Stelle, che ha perso “solo” il 47,31%.

Rimanendo allo schieramento di centrosinistra, il Partito Democratico con 35 mila voti in più rispetto al 2020 si attesta al primo posto come partito più votato, con più di 160 mila voti. AVS ottiene più voti dei 5 stelle, con 34.721 voti.

Il risultato delle elezioni, quindi, segnala una crescente disaffezione degli elettori verso la coalizione di governo, in particolare verso il partito di Giorgia Meloni, mentre la Lega Nord si sta rinchiudendo in un fortino identitario con continue emorragie di voti.

Il tramonto del Movimento 5 Stelle, di cui il fondatore ha addirittura proclamato l’estinzione, rappresenta l’ennesima delusione per chi pensava di poter aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno usando l’arma del voto. Un movimento interclassista che ha raccolto l’insoddisfazione fra vari settori della popolazione, per i motivi più disparati, ma che di fronte all’establishment aveva la colpa di aver messo in luce la miseria crescente, dando risposte improvvisate ma che comunque stonavano nel coro di competitività, meritocrazia, legalità ecc. che accompagna l’impoverimento crescente delle classi sfruttate.

Il risultato comunque rafforza il governo Meloni perché il calo dei voti raffredda la competitività o addirittura le tendenze centrifughe nella coalizione, mentre il governo fascio-conservatore ha l’appoggio di chi conta davvero: la Confindustria, la Banca d’Italia, la Chiesa che, oltre a beneficiare della crescente privatizzazione di scuola, sanità e assistenza, ha incassato la recente legge persecutoria contro la maternità surrogata. A questo si aggiunge l’accordo con la Commissione Europea, la promozione da parte delle agenzie di rating e il sostegno delle istituzioni internazionali. Sono questi i poteri che contano, che fanno e disfanno i governi, non l’andamento ondivago delle tornate elettorali.

Quello che è il risultato più importante e che i media trattano con precauzione, è il risultato dell’astensione, che ha superato il 50% del corpo elettorale, che ha registrato centomila astenuti in più rispetto al 2020, attestandosi su 724.945 aventi diritto al voto che non si sono recati alle urne. Tutte le forze politiche, e lo stesso governo sono preoccupati da questa perdita di fiducia nei meccanismi elettorali e nelle istituzioni.

Questo astensionismo ha molte ragioni. Innanzi tutto la legge elettorale elimina di fatto il carattere proporzionale, escludendo dalla rappresentanza i piccoli partiti. Il meccanismo di elezione diretta del presidente regionale, poi, così come il sindaco, diminuisce il ruolo dei consigli, degli organi collegiali in cui appunto anche un singolo consigliere poteva svolgere un minimo di influenza, mentre ora sono ridotti al ruolo di comparse nella recita del presidente. Altri commentatori hanno messo in luce il fatto che l’astensione cresce con il crescere della miseria: di fatto, l’impegno preso dallo stato di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” non è stato rispettato, e questi ostacoli sono aumentati con la precarietà, la disoccupazione, il taglio dei servizi sociali; fenomeni sociali di cui i governi di diverso colore che si sono alternati in questi anni sono tutti parimenti responsabili. Infine, sicuramente il crescere dei pericoli di guerra e l’assunzione da parte dell’Italia del ruolo di co-belligerante, sia dell’Ucraina che di Israele, ha aumentato la sfiducia in istituzioni incapaci di garantire quella pace che rimane un importante valore per le grandi masse. L’aumento delle spese militari e il crescente impegno all’estero delle Forze Armate è visto con preoccupazione e soprattutto come un vero e proprio tradimento delle promesse della costituzione. Un capitolo a parte meriterebbe la politica estera: la politica del governo Meloni ripercorre la politica del governo Mussolini che, nei primi anni, si mosse insieme alle altre potenze vincitrici della prima guerra mondiale, conquistandosi poi sempre maggiori spazi di autonomia e arrivando a coinvolgere l’Italia in una guerra con mezzo mondo. Un altro elemento che merita di essere tenuto presente è che con il Centro per migranti in attesa di rimpatrio in Albania, l’Italia ha una presenza militare sull’altra sponda dell’Adriatico dal 1943.

Quale sia il motivo che spinge a non andare alle urne, resta il fatto che il presidente della Liguria governa senza l’appoggio della popolazione, contro la maggioranza del corpo elettorale, che non solo non ha fiducia in lui, ma che non ha nemmeno fiducia nelle istituzioni che rappresenta.

Nel momento in cui anche alle elezioni politiche gli astenuti saranno la maggioranza, si aprirà una crisi istituzionale di non facile soluzione. In un regime democratico, l’autorità delle istituzioni proviene dal popolo, e se il popolo volta le spalle alle istituzioni, non andando a votare, con quale autorità la magistratura continuerà a pronunciare sentenze, la polizia ad arrestare e a manganellare, con quale autorità sopravvivranno i carabinieri, le forze armate, l’apparato fiscale e così via? Con l’autorità che deriva loro dall’uso della violenza.

Ma stiano attenti i governanti nell’uso della violenza, perché la strada che comincia con l’assassinio di Giacomo Matteotti finisce a Piazzale Loreto. A noi, alle classi sfruttate spetta di imparare la lezione della storia e di non aspettare la tragedia per sbarazzarci di quelli che possiamo chiamare a chiare lettere tiranni. Non aspettiamo le leggi razziali, la guerra, i bombardamenti, i rastrellamenti e i massacri per fare il 25 aprile, per l’insurrezione vittoriosa. Cominciamo a chiedere che se ne vadano tutti.

Tiziano Antonelli

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