Come ogni anno, la sera del 29 giugno, il fischio dei treni ha squarciato la notte di Viareggio: il grido di solidarietà e di denuncia dei ferrovieri che si unisce alle voci delle migliaia di persone che scendono in piazza ogni anno per l’anniversario della strage che ha colpito la città nel 2009. Sono trascorsi ormai 15 anni da quando 32 persone morirono nell’incendio provocato dall’esplosione di un vagone cisterna carico di Gas di Petrolio Liquefatto. All’origine del disastro ci fu la sistematica mancanza di controlli di sicurezza sui carri cisterna e sulla rete ferroviaria, una verità poi riconosciuta anche nelle aule di tribunale, ma che fu da subito sostenuta dall’associazione dei familiari delle vittime “Il mondo che vorrei”, dai solidali della “Assemblea 29 giugno” e dalle tante e tanti lavoratori e lavoratrici delle ferrovie che da subito si impegnarono al fianco dei familiari nella lotta per la verità, per la giustizia, per la sicurezza dei trasporti, per la sicurezza sul lavoro.
Come è stato detto dal palco a conclusione della manifestazione dello scorso sabato, la strage di Viareggio non è rimasta impunita, i vertici delle ferrovie e delle aziende coinvolte nella strage sono stati condannati per disastro ferroviario colposo, e le responsabilità degli imputati sono state confermate di nuovo nel gennaio scorso dalla Cassazione. Tra i condannati c’era anche Mauro Moretti, ex amministratore delegato di RFI e Trenitalia, dopo la strage del 2009 promosso alla guida di altri colossi dell’industria statale, compresa quella bellica, come Leonardo-Finmeccanica. Un risultato che è stato reso possibile da anni e anni di lotta da parte dei familiari, degli abitanti di Viareggio e dei lavoratori. Certo, come è stato più volte detto non è che uno straccio di giustizia. Per questo la lotta deve proseguire per far cessare le stragi sul lavoro. Perché la Cassazione nel 2021 dichiarando la prescrizione dell’omicidio colposo plurimo, e dichiarando inapplicabile l’aggravante per incidente sul lavoro, mentre condannava imputati “eccellenti” assolveva invece il sistema di profitto che aveva determinato la strage. Anzi come ha scritto nel 2021 la Federazione Anarchica Livornese, la sentenza della Cassazione «rischia di permettere che simili stragi accadano di nuovo. L’eliminazione dell’aggravante di incidente sul lavoro infatti, crea un pericoloso precedente per la tutela della sicurezza di tutte e tutti, garantendo in simili casi l’impunità per chi è responsabile della sicurezza».
In questo quindicesimo anniversario la questione al centro della manifestazione è stata ancora più di sempre quella della sicurezza. In sostegno alla lotta per il salario, per la riduzione dei tempi di lavoro, contro la ricattabilità provocata dalla mancanza di reddito e da condizioni di lavoro indegne. In particolare in sostegno alla lotta delle lavoratrici e dei lavoratori delle ferrovie, che erano presenti con una folta delegazione al corteo, dietro allo storico striscione “Ferrovieri per la sicurezza”. Siamo in un contesto di forte pressione repressiva da parte del governo, che ha più volte imposto la precettazione per fermare gli scioperi nelle ferrovie. Mentre la cappa della guerra incombe sempre più grave sulle nostre teste, si inasprisce la stretta autoritaria con riforme istituzionali e con una legge che aumenta i poteri repressivi dello stato, innalzando ancora di più le pene per normali pratiche di lotta come le occupazioni, i picchetti, i blocchi stradali, le scritte murali. Per questo oggi i legami solidali sono più che mai fondamentali.
Forte come sempre è stata la solidarietà ai familiari delle altre stragi sul lavoro. Tra gli altri erano presenti da Livorno alcuni familiari e solidali delle vittime della strage del traghetto Moby Prince, con uno striscione che riportava: “Moby Prince: non c’è giustizia senza verità”. Perché spesso in simili casi la verità è chiara e semplice, evidente agli occhi di tutti. Non dobbiamo fare altro che seguirla, per eliminare le cause profonde del sistema di sfruttamento e profitto che divora le nostre vite, per una vera giustizia sociale.
Dario Antonelli