Il grande malato. Le elezioni non risolveranno i problemi della Francia.

Questa settimana si è svolto il primo turno delle elezioni per l’Assemblea Nazionale. Si tratta di un rito in realtà poco significativo: Il presidente della repubblica, Emmanuel Macron, sta già governando senza una maggioranza dalle precedenti elezioni politiche del 2022. Questo perché l’articolo 8 della costituzione, varata dopo il colpo di stato di De Gaulle nel 1958, affida al presidente della repubblica la nomina del primo ministro. L’Assemblea nazionale ha in fondo poteri limitati, come ha svelato la vicenda della riforma delle pensioni. Di fronte al contestato aumento dell’età legale di pensionamento, il governo ha fatto ricorso all’articolo 49 della costituzione. Secondo tale articolo il Primo ministro può, dietro deliberazione del Consiglio dei ministri, impegnare la responsabilità del Governo dinanzi all’Assemblea nazionale sul voto di un progetto di legge finanziaria o di finanziamento della previdenza sociale. In tal caso, detto progetto è considerato adottato, salvo il caso in cui una mozione di sfiducia, presentata nel termine di ventiquattro ore, venga approvata dalla maggioranza dei membri dell’Assemblea nazionale. Nella costituzione si fa riferimento non alla maggioranza dei votanti ma alla maggioranza dei membri, un ulteriore vantaggio per il Governo.

Le cause principali della crisi in Francia sono l’aumento del deficit di bilancio dello Stato e l’aumento del debito pubblico che provoca un aumento degli interessi passivi. La media delle oscillazioni nel deficit di bilancio indica chiaramente che la sua percentuale sul Prodotto Interno Lordo sta andando stabilmente oltre il 5%, mentre il debito pubblico dal 2020 si è portato stabilmente oltre il 100% del PIL. Entrambe queste voci sono ben oltre i limiti fissati dal nuovo patto di stabilità dell’Unione Europea, e questo espone la Francia all’apertura di una procedura di infrazione da parte delle istituzioni comunitarie.

Gli apologeti economici del capitale francese sono spaventati da questa eventualità. Ma quello che gli economisti non possono fare è individuare con chiarezza le cause ed operare per rimuoverle. Questo avviene non perché la spesa pubblica è “eccessiva” per il welfare e i benefici, ecc.; ma perché la Francia, come altre economie del G7, ha subito una serie di crolli finanziari e crolli in modo che il settore pubblico abbia dovuto salvare il settore privato. E la lenta crescita della produzione, degli investimenti e dei redditi ha ridotto le entrate fiscali e aumentato la spesa pubblica rispetto al PIL. A questo vanno aggiunti i sostegni pubblici all’agricoltura, al nucleare, alle industrie di punta come l’aerospaziale, automobilistico o il ferroviario. A questo è da aggiungere il costo delle missioni militari nel mondo e per il mantenimento di quello che resta del vecchio impero coloniale, che ha assunto le denominazioni politicamente corrette di Territori e Dipartimenti d’Oltremare, oltre alle spese per le politiche di riarmo e di guerra volute dall’Unine Europea e dalla NATO.

Che la causa dell’aumento del deficit di bilancio non sia l’eccessiva spesa per la previdenza e l’assistenza è che le politiche economiche messe in atto dai governi che si sono succeduti dalla metà degli anni ‘80 del secolo scorso ad oggi, politiche di sostegno all’offerta, cioè ai capitalisti, hanno portato all’aumento delle differenze di classe. Nel 1983, l’1% più ricco dei percettori di reddito ha preso il 7,5% di tutto il reddito nazionale, il 10% ha preso il 30% e il 50% inferiore ha ricevuto solo il 21,4%. Alla fine del 2022, l’1% più ricco ha preso il 12,7% (un aumento di oltre il 60%), mentre la quota superiore del 10% è salita al 34,8% e la quota più bassa del 50% è scesa al 20,3%. La disuguaglianza di ricchezza (ricchezza personale netta) è, come al solito in tutte le principali economie, molto peggio. Nel 1983 l’1% più ricco dei detentori di ricchezza possedeva il 15,9% di tutta la ricchezza personale in Francia, il 10% più ricco aveva il 50% e il 50% inferiore deteneva solo l’8,9%. Alla fine dell 2022, le disuguaglianze sono peggiorate. L’1% più ricco dei detentori di ricchezza ha ora il 24% (oltre il 60%), il 10% più ricco ora possedeva il 57,7% e il 50% più basso ha visto la propria quota di ricchezza personale scendere a solo il 5,1% (un calo del 48%).

Sarebbe semplice invertire questa tendenza all’impoverimento crescente delle masse e porre fine insieme ai crescenti deficit di bilancio e all’aumento del debito pubblico. Basterebbe porre fine alle dissennate politiche economiche a sostegno dell’offerta, cioè dei ricchi, al dispendioso avanzo dell’impero coloniale, alle politiche di riarmo e di guerra.

Ma per tutto questo non c’è molto da aspettarsi da queste elezioni.

Se si legge il programma del Nuovo Fronte Popolare, nome infausto vista l’ignominiosa fine del primo, si può dire che non c’è niente sul ritiro delle missioni militari all’estero così come non c’è niente sull’indipendenza dei cosiddetti Territori d’Oltremare. La questione più scottante, quella del Kanak-Nuova Caledonia è trattata all’interno di quella politica di compromesso che ha portato agli accordi di Noumea, ma che lascia intatti gli interessi delle multinazionali francesi nella zona. Oltre a questo, il programma si impegna per la difesa dell’Ucraina, l’argomento più usato per giustificare il riarmo degli Stati europei e le politiche di riarmo. Si può dire, leggendo il programma, che il partito socialista ha concesso il massimo possibile, senza concedere nulla che possa entrare in collisione con il sostegno dei socialisti europei alla nuova Commissione. Se e quando le forze più a sinistra dovessero premere perché l’Assemblea nazionale adotti misure più avanzate, i socialisti non esiteranno a schierarsi con le istituzioni europee.

E questo nella migliore delle ipotesi, che il fronte popolare riesca a conquistare la maggioranza. Se invece, come sembra prevedibile, nessuno dei tre raggruppamenti principali riuscirà a conquistare il 50 per cento più uno degli eletti, Macron potrà continuare a governare come ha fatto fino ad ora, sostenuto dalle forze armate, da le patronat e le istituzioni europee.

Non sarà un’elezione che fermerà il fascismo, non sarà un’elezione che cambierà le cose. Il primo passo per riprendere in mano il proprio destino è non andare a votare.

Tiziano Antonelli

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