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Alla fine vince sempre il mercato. Analisi della legge di bilancio.

Alla fine vince sempre il mercato. Analisi della legge di bilancio.

Abbiamo, nostro malgrado, assistito ad una campagna elettorale come non se ne vedevano da anni, la gara a chi la sparava più grossa in termini di “definitiva chiusura con il recente passato”, contro le ricette Conte e Draghi, alla fine l’ha spuntata semplicemente chi fino ad ora è sempre stato opposizione e, seppur a fasi alterne, opposizione di maggioranza. I tempi erano anche abbastanza propizi per una sorta di rigurgito nazional-populista, e che forse l’Italico popolo aveva bisogno di una dose di proclami altisonanti. Perché fondamentalmente stiamo parlando di semplici e banali proclami ai quali hanno abboccato parecchie persone. C’è da dire che l’attuale maggioranza ha pescato in un barile già pieno, attingendo al bacino di elettori della Lega, di quel poco che era rimasto di destra in Forza Italia e nella componente più nazionalista e sovranista di quel carrozzone multicolor che è il Movimento a Cinque Stelle. Fratelli d’Italia, nella Persona di Giorgia Meloni come front woman e Guido Crosetto nelle retrovie come somma eminenza grigia, hanno fatto incetta di voti semplicemente applicando la regola di addossare la colpa di tutto a qualcun altro e proporre un deciso e definitivo cambio di rotta. No all’Europa, no a Draghi, no all’austerity, e riproponendo la solita solfa tanto cara alla destra: il merito e la lotta agli imboscati (Farinacci e Starace docet..) Il tutto ovviamente condito con la solita salsetta del cambio dei nominativi dei ministeri con una serie di assurdità che in tempi altri avrebbero fatto ridere i polli, ma che oggi raccattano l’acclamazione popolare. Mala tempora currunt!

Ma come si estrinseca la fallacia di tali proclami altisonanti? Solitamente ogni Governo agisce attraverso un corpus normativo e al di là di “leggicole” più o meno orientate dalle promesse elettorali (ne è pieno l’ordinamento di norme inapplicabili istituite solo per soddisfare la fame forcaiola di un elettorato vorace) quello che inchioda in maniera incontrovertibile l’orientamento reale di un Governo è come intende spendere i soldi pubblici. Ebbene come in campagna elettorale questi drittoni patriottici hanno preso le distanze dai governi dell’ultima legislatura, così poi si sono messi a seguirne le tracce nella legge di bilancio. Entrando un po’ nel merito della bozza di legge di bilancio presentata il 23 novembre scorso c’è da farsi delle grosse risate, se non fossero fondi pubblici spesso letteralmente buttati alle ortiche. In perfetta prosecuzione con i Governi precedenti la nuova legge di bilancio estende, proroga e rinnova praticamente tutto quello che è stato istituito dal 2019 al 2022, con qualche excursus nel passato remoto.

Che sia un implicito riconoscimento alla bontà dei governi Conte e Draghi? Ovviamente no! Dal momento che anche quei provvedimenti erano assolutamente compatibili e complementari con la gli unici interessi che l’Italia deve salvaguardare: mercato dei bond e catene di valore europee (leggi le filiere di produzione che tengono in piedi le economie trainanti europee e l’addentellato internazionale). Il messaggio è chiaro “sostenere la domanda” ma il sottotitolo è “occhio al debito!” Ovviamente in questa anomalia figlia del pensiero unico ultraliberista (e tutto in salsa europea sia chiaro) è assai difficile navigare senza timori. Certo è che in tempi difficili il debito può essere ritoccato al rialzo l’importante è accettare una serie di compromessi che ipotecano il futuro delle prossime generazioni. Passando all’analisi della bozza di legge di bilancio che è circolata in questi giorni saltano agli occhi un paio di elementi dei quali poco si è parlato anche nelle solite ciance di approfondimento in TV. Quindi prima di capire che fine ha fatto l’incentivo per l’adeguamento energetico e il reddito di cittadinanza sarebbe utile dire due parole sui capitali esteri e sul caro energia. Cominciamo da quest’ultimo e andiamo a vedere cosa dice l’Art. 6, e troviamo l’abolizione dell’onere di riscossione del contributo dovuto dai gestori delle reti elettriche per le spese relative agli impianti nucleari sul territorio nazionale nonché il trattamento dei siti di stoccaggio delle scorie. Tutto ciò per la moica cifra di 535 milioni di euro annui, per eliminare qualcosa come 0,5 centesimi a kw gestito (ovviamente li pagavamo in bolletta). Bolletta forse più leggera ma sti soldi da qualche parte devono arrivare, quindi la compensazione è presto fatta, tra aumento delle accise sui tabacchi e una carezza all’evasione si racimola qualcosa per “sostenere lo sforzo”. Del 110% (bonus energia) non v’è traccia quindi si presume rimanga in vigore quanto stabilito dai precedenti governi. Quindi cattive nuove per i tabagisti e buone notizie per tutti quelli che hanno partecipazioni in investimenti esteri o sono morosi nei confronti del fisco per allocazioni di capitali in paradisi fiscali, possono cavarsela pagando quanto dovuto come tassazione ordinaria e l’ammenda pecuniaria è ridotta ad un diciottesimo pagabile in comode rate. Una sorta di condono in sordina ma non è farina del sacco di casa Meloni dal momento che proroga una serie di interventi stabiliti già in precedenza addirittura da governi di centro sinistra (1997 Governo Prodi). E di proroga in proroga, di estensione in estensione si dipana la bozza di legge di bilancio nella quale molti articoli restano senza testo (si attende ovviamente la presentazione del testo definitivo) e molte voci restano senza importo. Gli articoli in bianco più interessanti sono quello relativo al Ponte sullo Stretto (Art. 79) e quello relativo alla “Opzione donna”(Art. 54). Prima di discutere il provvedimento più interessante, quello su cui FdI ha basato gran parte della sua campagna elettorale, ossia la modifica del reddito di cittadinanza, merita di essere citato l’articolo 13, quello relativo alle mance dei camerieri. “Nelle strutture ricettive [..] e negli esercizi commerciali che offrono servizi di somministrazione di pasti o bevande, le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità, acquisite per il tramite del datore di lavoro, anche attraverso mezzi di pagamento elettronici, integralmente riversate al lavoratore ovvero ai lavoratori, previamente individuati, costituiscono redditi da lavoro dipendente e, salvo espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, sono soggette a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento, entro il limite del 25 per cento del reddito percepito nell’anno per le relative prestazioni di lavoro.” Ora quanti di noi lasciano la mancia come quota percentuale del conto e se la fanno accreditare sulla carta di credito? O meglio quanti di noi lasciano la mancia?

Tornando alla questione reddito di cittadinanza qui si misura la severità e l’intransigenza del nuovo governo. Un giro di vite degno della severità delle destre, ovvero praticamente nulla. A parte un ridimensionamento temporaneo nello stanziamento, dei fondi il dispositivo resta praticamente intonso. Il sussidio viene erogato per massimo otto mensilità ma tale limite non si ascrive ai “nuclei al cui interno vi siano persone con disabilità come definita ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, minorenni o persone con almeno sessant’anni di età.” Per quanto riguarda poi l’inserimento lavorativo, il sostegno viene tolto se si rifiuta la prima proposta di lavoro, ma c’è un interessante inserto nella frase che in pratica sconfessa i tutto facendo la felicità di giuristi e avvocati, ossia “non accetta la prima offerta congrua [..]” su cosa voglia significare congrua ovviamente il legislatore si guarda bene dal dare alcuna direttiva, il che apre le porte dei ricorsi. Qui in qualche maniera si chiuderebbe lo strombazzare in campagna elettorale del nuovo Governo, gli articoli che più inquietano sono quelli relativi alla difesa e allo stanziamento di fondi per la ricerca robotica e sostanzialmente nell’innovazione dei sistemi d’arma. Un “degno” contributo ai desiderata della NATO e un tangibile sostegno a quel mercato dello sforzo bellico che tiene a galla il carrozzone occidentale in un momento critico, nel quale viene messa in discussione la sua egemonia economica. Quindi il nazionalismo e il sovranismo tanto sbandierati di Meloni e soci sembra essersi sciolto un minuto dopo la chiusura delle urne.

JR

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