Chi «timbra e se ne va» verrà «licenziato entro 48 ore» e «il dirigente che non procede al licenziamento rischia lui stesso di essere mandato a casa». Renzi annuncia il «pugno duro», in un’intervista, al Tg5 sui cosiddetti furbetti del cartellino, i famigerati fannulloni della Pubblica Amministrazione, che però il premier preferisce chiamare «truffatori», ricordando i casi di Sanremo e le recenti cronache di Roma. Insomma si tratta di passare da una media di 102 giorni per il licenziamento, tanti sono oggi necessari stando alle ultime statistiche della Funzione pubblica, ad appena due. Sotto la lente del Governo, che porterà le misure in Cdm già il prossimo mercoledì, la falsa attestazione della presenza in servizio, con l’ipotesi di mettere subito fuori dall’ufficio chi viene colpito in flagrante.
La Stampa 16 gennaio 2016
Spiega a Repubblica il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia: «Brunetta e i sindacati dicono sempre che le norme già ci sono. Ma a noi non interessa la norma come esercizio accademico, le leggi, secondo noi, devono incidere sulla realtà delle cose: chi truffa va a casa senza stipendio in 48 ore». E il diritto – come sottolineano in particolare i sindacati – di difendersi? «Se ti ho filmato che timbri per un altro, se timbri e vai a fare un altro lavoro oppure te ne torni a casa tua cosa c’è da difendersi? Etica vuole che in 48 ore sei fuori dalla pubblica amministrazione senza retribuzione».
La Repubblica 17 gennaio 2016
Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità
Democrito
Dunque il 2016 comincia con l’ennesima campagna contro i furbetti del cartellino, i dipendenti pubblici assenteisti, la burocrazia che rende tardive e inefficaci le sanzioni contro questi birbi.
Il caso dal quale ha preso l’avvio la campagna di moralizzazione è noto, presso il comune di San Remo sono stati “scoperti” oltre quaranta dipendenti che timbravano il cartellino e si dedicavano ad attività varie in giro per la città, uno è stato fotografato, provocando frizzi e lazzi, mentre timbrava in mutande e “finalmente” la magistratura, la polizia, il governo hanno deciso di colpire i cattivi costumi dei dipendenti pubblici.
Lo scandalo ha colpito l’opinione pubblica anche perché si è dato nell’operoso nord, fosse avvenuto in Calabria o in Sicilia è ragionevole supporre che avrebbe solo confermato un’opinione diffusa ma non prodotto tanta impressione come è avvenuto.
Sia come sia, le televisioni e le gazzette ci informano di licenziamenti a raffica nella bella San Remo e che, fra breve, ovunque di licenzierà in pochi giorni e che l’amata patria nostra sarà finalmente moralizzata.
Pure varrebbe la pena di porsi alcune domande intanto sul caso e poi sulla necessità che sta dietro al caso stesso.
Nel merito della vicenda di San Remo, è ragionevole rilevare che la città è lievemente più piccola di Shangai o di Città del Messico e come diavolo decine e decine di dipendenti comunali abbiano potuto darsi alla bella vita per anni senza che se accorgessero, in primo luogo, i dirigenti della burocrazia comunale e l’amministrazione comunale stessa, sindaco in testa, è una domanda, a mio parere, lecita.
In altri termini, ammettendo che tutto quello che si dice degli allegri dipendenti comunali di San Remo sia vero, non saremmo di fronte a dei seguaci di Toni Negri che praticano selvaggiamente il rifiuto del lavoro ma ad una clientela protetta.
Sarebbe, di conseguenza, interessante sapere in cambio di cosa è stata coperta dal ceto politico locale e questo stesso ceto politico qualche andrebbe, dal punto di vista dei giustizialisti a un tanto al chilo che oggi strillano in nome della pubblica moralità, non dal mio, messo di fronte alle proprie responsabilità e chiamato a pagare quanto c’è da pagare.
Invece, almeno per ora, l’eroe negativo della vicenda resta il vigile che timbra il cartellino in mutande, figura, a modo suo, sin simpatica se non da raccomandarsi alla pubblica lode.
Lasciando da parte i misteri sanremesi, c’è da domandarsi come mai tanto putiferio si sia scatenato solo ora, insomma quale necessità si celi dietro il caso specifico.
Proviamo, a questo proposito, a formulare alcune ipotesi:
- i contratti dei dipendenti pubblici dono bloccati da molto tempo con l’effetto che c’è un evidente e forte impoverimento. Spostare l’attenzione da questo banale dato di realtà alla caccia al furbetto del cartellino è operazione sin banale. Il governo, nel clima generato dallo “scandalo” può premettersi di proporre, per il rinnovo del contratto di lavoro, cifre ridicole e passarla liscia o, almeno, sperare di passarla liscia;
- vi è poi un problema di immagine, uno governo che si vuole innovativo, rottamatore, fresco, e un po’ frescone, deve trovare avversari nuovi in quantità. Cosa di meglio del burocrate ozioso ed assenteista come bersaglio? Insomma, una campagna mediatica ogni tanto fa bene al governo e ciò che fa bene al governo…;
- last but not least, uno degli obiettivi del governo è il rafforzamento del potere dei dirigenti nel settore pubblico, si pensi alla legge 107, la cosiddetta “Buona scuola”, per fare un solo esempio, e cosa c’è di meglio della possibilità di licenziare senza tanti impicci per dare smalto alla grigia figura del dirigente statale? D’altro canto, il dirigente ha, nel modello proposto del governo, più potere verso i subalterni e meno potere nei confronti dell’autorità politica il che garantirebbe l’ordinato, se non apprezzabile, funzionamento della catena di comando.
Come reagiranno i lavoratori del settore pubblico alla crescente pressione che subiscono non è facile a dirsi.
Con ogni evidenza il governo ha una buona carta in mano e la gioca con spregiudicatezza, le clientele che adornano il settore pubblico, per dirla con la mia solita finezza, fanno schifo ed è facile additarle al pubblico disprezzo, banalmente lo meritano. Sebbene sia giusto rilevarlo non serve a molto affermare che non si sono prodotte da sole e che qualcuno ne ha favorito la vita e lo sviluppo.
D’altro canto, che questa campagna sia pesantemente strumentale è altrettanto evidente ed è questa la questione su cui porre l’accento rimettendo al centro la questione salariale, quella dell’organizzazione del lavoro, quella dell’occupazione.
Cosimo Scarinzi