n concomitanza con la prima udienza del processo d’appello per la morte del maestro anarchico Francesco Mastrogiovanni, tenutasi presso il Tribunale di Salerno il 7 novembre 2014, i familiari e le associazioni hanno chiesto alle autorità competenti che la contenzione sia considerata finalmente illegittima e che in ogni reparto psichiatrico siano installati impianti di sorveglianza. Da Giuseppe Pinelli a Franco Serantini, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, sono tanti gli “affidati alle cure dello Stato” che sono entrati con le loro gambe nelle questure, negli ospedali psichiatrici, nelle carceri e ne sono usciti rinchiusi in una bara. Ecco perché abbiamo richiesto, tra le altre, che sia garantito ai familiari e alle associazioni l’accesso in ogni momento ai reparti, che i pazienti siano trattati nel rispetto della propria dignità personale conservando i propri abiti civili e gli effetti personali, che siano posti nelle condizioni di poter comunicare con l’esterno, sia attraverso i personali telefoni cellulari che con i telefoni di reparto e che sia riconosciuto loro il diritto alla propria difesa e immediata opposizione al Tso, anche attraverso l’intervento di familiari, associazioni o legali di fiducia. Dopo la vergognosa, quanto clamorosa, sentenza Cucchi vogliamo evitare che anche il processo d’appello per la morte di Mastrogiovanni abbia lo stesso esito. Mentre nel caso di Stefano Cucchi si spera che qualche testimone racconti la verità sugli autori dei pestaggi,per Mastrogiovanni la prova è agli atti ed è il “video dell’orrore” che dimostra che in Italia esiste la tortura. Il filmato della durata di oltre 83 ore costituisce una prova “inoppugnabile” e “incorruttibile” di ciò che è drammaticamente successo. Per questi aggeggi elettronici è evidente che non valgono le false testimonianze, gli stati di rimozione e negazione e/o le alchimie processuali. I tentativi di scaricare il barile addosso ad altri (in genere ai sottoposti) si infrangono come onde del mare sugli scogli davanti alla dura realtà delle immagini che si fanno verità, storia e memoria di una morte disumana, priva di pietas e di dignità dove l’uomo, il medico, l’operatore sanitario ha annullato la propria coscienza non sappiamo ancora in nome di quale routine o ubbidienza. Nonostante la sentenza di primo grado abbia assolto i dodici infermieri siamo convinti che, nel processo d’appello, il comportamento gravemente negligente del personale sanitario in servizio sarà ri-analizzato.A suo tempo,i consulenti tecnici del GIP Rotondo, dottori Maiese e Ortano, parlarono, per il personale medico e paramedico, nella loro perizia, di negligenza commissiva nel mettere in atto una contenzione fisica con le modalità sopra descritte e di negligenza omissiva nel non controllare, monitorare e nutrire il paziente per tutto il periodo del ricovero. Da parte nostra vogliamo ribadire, come dimostra il filmato, che i dodici infermieri del reparto di psichiatria di Vallo della Lucania sono stati soggetti attivi nelle 83 ore di contenzione di Francesco Mastrogiovanni e hanno agito in prima persona (con autonomia di scelta e responsabilità così come prevede il codice) e quindi avevano l’obbligo di denunciare gli abusi e i comportamenti disumani che si verificavano sotto i loro occhi. L’art. 17 del codice deontologico afferma infatti che l’infermiere, nell’agire professionale “è libero da condizionamenti” mentre, nell’art. 30 ribadisce che lo stesso “si adopera affinchè il ricorso alla contenzione sia evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali”. Ricordiamo ai nostri lettori che la contenzione a cui è stato sottoposto Franco, non è stata neanche annotata in cartella clinica. Negli articoli 33, 34, 43, 48 e 51 dello stesso codice si ribadisce, con diverse sfumature, che l’infermiere è tenuto, di fronte a carenze, a condizioni che limitano la qualità delle cure e il decoro dell’esercizio della professione, ad abusi e comportamenti contrari alla deontologia, a denunciare tali situazioni ai responsabili della struttura, al proprio collegio professionale e (come è successo a Franco) in caso di maltrattamenti o privazioni a carico dell’assistito, di produrre segnalazione alle autorità competenti. Nulla di tutto ciò è stato fatto! Hanno lasciato morire l’insegnante cilentano nella più cupa solitudine.
Angelo Pagliaro
del Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni