Che succede da queste parti? Qualcuno sembra essersi accorto che le bugie, da queste parti diremmo le “minchiate”, sono state troppo grosse. Se anche il perito del TAR, il professor Marcello D’Amore dell’Università La Sapienza di Roma, nella sua relazione depositata al giudice ci ha dato ragione su tutta la linea qualcuno dovrebbe cominciare a preoccuparsi. Che avessimo ragione lo sapevamo già. Nessuno può veramente credere che un’installazione militare di questa portata possa essere costruita all’interno di una riserva naturale, con la relativa devastazione legata ad ogni infrastruttura militare. Il ministero della difesa italiano, delegato dalla marina statunitense a metterci la faccia, voleva farci credere davvero che l’impatto ambientale delle immense parabole potesse essere trascurabile? I nostri tecnici hanno svolto un lavoro encomiabile, tra segreti militari e misurazioni fatte addirittura con le parabole non ancora montate. Ma può la questione Muos risolversi in una dimensione scientifica? Il Tar non prenderà in considerazione l’aspetto politico della vicenda, che rappresenta la vera patata bollente. La chiara volontà della politica regionale e nazionale, con in testa il Pd renziano, di asservire il padrone americano è il segnale inequivocabile di una politica estera sotto dettatura. La crisi Ucraina, la “guerra santa” all’Isis, rappresentano alcuni dei segnali sulle aree calde del pianeta. Siamo riusciti per più di due anni a ritardare il funzionamento di un’infrastruttura necessaria per i piani bellici statunitensi, un’arma tecnologica imprescindibile per le strategie globali. La risposta “scientifica” di un piccolo (considerate le parti in causa) tribunale regionale non sono e non possono essere sufficienti a bloccare le brame coloniali degli Stati Uniti. Senza una risposta di massa, popolare ma determinata, qualunque carta di tribunale, anche se a noi favorevole, sarebbe inutile. Per questo motivo il 21 novembre, a pochi giorni dalla sentenza prevista per il 25 dello stesso mese, abbiamo lanciato una giornata di sciopero sociale. Per ribadire che il territorio non vuole strumenti di morte, per opporsi ad ogni forma di militarizzazione del territorio. L’idea di una mobilitazione di massa si è subito rivelata efficace riuscendo ad unire, in modo spontaneo, tutte le lotte presenti nel territorio. L’appello fa esplicito riferimento alle carenze idriche, sanitarie, infrastrutturali di un territorio devastato da spending review e malapolitica. Un territorio saturo di veleni, chimici e sociali, che intende rispondere in modo fermo a chi vorrebbe dargli il colpo di grazia in nome dell’alleanza con gli Usa. Riteniamo che la capacità di fare fronte comune, auto organizzando uno sciopero sociale, in qualche modo è anche frutto del lavoro quotidiano degli attivisti No Muos. Prospettare pratiche di lotta avanzate, in un territorio ormai assopito, rappresenta una scommessa e una ripartenza. Organizzazioni dal basso, senza l’appoggio dei sindacati confederali, stanno tentando di risollevare le coscienze malconce dopo anni di sfruttamento e oppressione: un risultato incerto ma su cui vale la pena investire. Il livello di maturità ovviamente verrà affinato nel corso delle prossime assemblee popolari ma, l’essere riusciti a creare un coordinamento tra tutte le istanze, rappresenta di per sé un passo avanti enorme per una realtà come quella siciliana e niscemese. Guardiamo inoltre con favore gli attuali passaggi per la rinascita di un movimento antimilitarista che riesca a leggere, e dunque agire, la gravissima situazione in cui il nostro assoluto servilismo nei confronti degli Usa ci ha costretti. La manifestazione contro le servitù militari che si è svolta in Sardegna, a cui abbiamo aderito, ha dato nuova linfa al movimento, rinvigorendo gli animi dei più scettici. Sentiamo forte l’esigenza di collegarci, fare rete, con tutte le realtà antimilitariste e anticapitaliste nazionali e internazionali, come forma di resistenza contro l’avanzamento delle armate neocoloniali. Per questo motivo abbiamo lanciato due giorni di incontri e dibattiti al presidio permanente di Niscemi nel tentativo di coinvolgere settori sociali e individualità nelle prossime tappe di una lotta che si annuncia lunga e difficile. L’annunciata partecipazione alla manifestazione romana in favore della Palestina, l’adesione alla campagna contro la militarizzazione dello spazio, partita proprio da attivisti statunitensi, e le tante altre tappe di un ottobre caldissimo potrebbero portare ad un nuovo corso per la lotta. Sul fronte repressivo va denunciata un nuova fase, in considerazione degli attacchi Usa in Medio Oriente, che ha innalzato il livello di sicurezza della base. Le abituali “colazioni No Muos”, che si svolgono settimanalmente ai cancelli della base Usa, sono sempre guardate a vista da un ingente dispiegamento di forze dell’ordine. Se per controllare qualche attivista, un paio di mamme e nonne No Muos, lo stato è stato costretto ad utilizzare decine di agenti, sei macchine di polizia, due dei carabinieri, e addirittura poliziotti in assetto antisommossa all’interno della base esce fuori un quadro grottesco e allarmante. La recente relazione del prefetto di Caltanissetta calcola in più di 8000 agenti utilizzati dallo stato nel 2013 per difendere i padroni americani. Segno evidente che qualcuno, dai piani alti, ha garantito che l’opera fosse operativa senza troppi intoppi. Ma non hanno fatto i conti con i nostri scienziati, con il Tar e sopratutto con la popolazione locale che ha già emesso la sentenza: no al Muos.