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Myanmar. La situazione vista dall’interno

Myanmar. La situazione vista dall’interno

Torniamo a parlare di Myanmar, dopo quanto già introdotto nelle scorse settimane,[1] ora abbiamo la possibilità di gettare uno sguardo all’interno del paese. Il grosso problema riguardante le informazioni “di prima mano”, assieme alla reale difficoltà di trovare comunicati traducibili, ha gettato un velo di impenetrabilità sull’intera questione. Ma andiamo per ordine, nelle ultime ore qualcosa sembrerebbe essersi mosso, il summit dell’Asean, l’associazione dei paesi del sud asiatico, tenutosi a Giacarta il 24 Aprile, ha licenziato un comunicato nel quale si esprime la volontà di inviare degli osservatori nel paese per far ripartire il dialogo fra la giunta militare e l’opposizione. I toni sono abbastanza tiepidi, non si condanna esplicitamente il colpo di stato, si chiede “la cessazione immediata della violenza in Myanmar” e si esorta a un “dialogo costruttivo fra tutte le parti per raggiungere una  soluzione pacifica nell’interesse della popolazione”. Nulla di definito o di definitivo, in pratica le manifestazioni continuano e si continua a sparare sulla folla e a perseguitare i militanti e tutti gli oppositori della giunta militare. La vera “svolta” per quanto ci riguarda, è costituita dall’aver finalmente stretto un canale di comunicazione con alcuni compagni birmani e non senza difficoltà abbiamo avuto modo di porre qualche domanda. Va precisato che il rischio di arresto e uccisione dei compagni in Birmania è altissimo, ragion per cui non riveleremo nulla su chi ha rilasciato l’intervista, né il genere né lo specifico gruppo politico di appartenenza, ci limiteremo ad una lettera “C”: un generico compagno o compagna.

[R] Ciao C

[C] Piacere di conoscervi tutti, e sono felice che qui possiamo parlare liberamente del Myanmar.

[R] Puoi dirci come va in questi giorni? Seguiamo la situazione ma le notizie giungono sempre molto frammentate.

[C] In questo periodo devo nascondermi, in quanto ricercato. Anch’io dovrò seguire in maniera indiretta la situazione per vedere cosa accade giorno per giorno.

[R] Ho sentito che hanno bloccato Internet in Myanmar, l’hanno riaperto o puoi usare una VPN?

[C] Sì. Bloccano tutti gli operatori Internet e di telefonia, sono ancora disponibili alcuni WIFI e alcune carte sim cinesi e  tailandesi di seconda mano. In questo momento sto usando una sim estera e ho utilizzato una VPN per poter accedere a Facebook, Twitter e Instagram.

[R] Puoi fornirci una panoramica della situazione?

[C] La situazione qui in Myanmar è critica, come sapete i militari uccidono bambini, donne incinte e manifestanti disarmati. Oltre 800 persone sono già cadute e ogni giorno si contano almeno 3 o 4 manifestanti uccisi in ogni città. Molte persone si fanno tatuare dei simboli della rivoluzione sul corpo, se i militari vedessero questo tipo di simboli arresterebbero immediatamente le persone e le brucerebbero per distruggere il loro tatuaggio. La giunta militare terrorizza sistematicamente il popolo in Myanmar, ogni giorno. E l’oscuramento di Internet e della telefonia è uno strumento per azzerare la comunicazione e accrescere il panico. Noi cittadini del Myanmar non abbiamo diritti umani, non siamo al sicuro, possiamo essere uccisi dalle forze militari in qualsiasi momento. Vogliamo e lottiamo per avere dei diritti e per poter avere agibilità politica. È per questo che combattiamo, molti di noi hanno perso la vita per questo.

[R] Come vi siete organizzati o quali iniziative state portando avanti?

[C] Assieme ad alcuni compagni, da quasi un anno, abbiamo avviato il Movimento Food Not Bombs nella provincia di [OMISSIS]. Abbiamo avviato questo movimento perché tanto noi [OMISSIS] quanto tutti gli altri gruppi etnici che vivono nella provincia ne abbiamo abbastanza della guerra civile che imperversa in Myanmar da oltre 70 anni. Molte, troppe persone continuano a morire direttamente uccise dal conflitto, ma molte altre muoiono perché a causa di questo non hanno abbastanza cibo. Ecco perché siamo tornati e crediamo che il movimento Food Not Bombs sia il movimento migliore e più pacifico per il cambiamento, quindi abbiamo deciso di iniziare questo movimento.

[R] Cosa ci puoi dire a proposito del conflitto etnico all’interno del colpo di stato?

[C] A causa di questa lunga guerra pluridecennale siamo diventati diffidenti, serpeggia la sfiducia e chiunque non sia della nostra stessa etnia lo vediamo come un nemico. Siamo cresciuti con la guerra, sentivamo le bombe cadere giorno e notte, abbiamo visto persone morire proprio di fronte a noi quando eravamo bambini. L’esercito d’altra parte arruola anche i più giovani, e pur detestando l’arruolamento forzato molti di noi hanno dovuto sottomettersi, altri hanno dovuto lasciare il villaggio sin da piccoli per sfuggire all’esercito.

[R] Cosa dire dell’ingerenza cinese negli affari economici del Myanmar?

[C] L’economia cinese e quella del Myanmar sono molto integrate e i rapporti tra i due paesi sono iniziati da molti anni, ma da quando è avvenuto il colpo di stato, molti lavoratori hanno smesso di lavorare per le aziende cinesi. Molti agricoltori svendono o regalano i loro prodotti invece di vendere alle compagnie o agli intermediari cinesi. Ovviamente le grosse aziende della Repubblica Popolare Cinese hanno ancora molti affari in ballo con il regime militare, ma in alcune aree le cose non si stanno mettendo bene, ad esempio in Kachin l’esercito ha interrotto alcuni dei loro affari e cacciato tutti i cinesi che sono lì [purtroppo non abbiamo potuto avere più informazioni su questa vicenda, che potrebbe segnalare delle fratture interne allo stesso esercito, ndr]. Dal momento che abbiamo deciso di non vendere prodotti alla Cina, questo ha ovviamente avuto molte ripercussioni sull’economia di alcune regioni specifiche, in quanto questo commercio rappresentava la principale forma di reddito. La maggior parte degli eserciti autonomi regionali facenti capo ai vari gruppi etnici presenti nel paese, si affidano alla Cina per gli approvvigionamenti. Alcuni di essi che non stanno combattendo realmente contro la giunta militare della capitale continuano a guerreggiare tra di loro per la conquisa di punti chiave del paese.

[R] Puoi descrivere la composizione del movimento?

[C] Noi anarchici e tutti quelli che come noi si sono sempre battuti contro la dittatura, lo abbiamo fatto in molti modi diversi dando vita a molte esperienze come Food Not Bombs, Books Not Bombs e così via, in queste proteste siamo però spesso separati e poco coesi.

[R] In che modo il movimento di massa di queste settimane è collegato al NDL, il partito di An San Suu Kyi?

[C] Il movimento di protesta in questo momento in Myanmar è abbastanza legato all’NLD perché è stato il partito di governo eletto e ha garantito per qualche tempo un certo grado di democrazia che è quello che la gente vuole; è visto come il soggetto che può riportare la pace e uguali diritti per tutti i 135 gruppi etnici in Myanmar. Ciò non significa che combattiamo per l’NLD,[2] combattiamo perché crediamo che sia al momento l’unica strada per fare ciò che da sempre speriamo e ciò che abbiamo sempre voluto: abitare in un paese dove si possa essere liberi.

[Intervista redazionale]

NOTE

  1. Cfr. J.R, “il Myanmar e lo scomodo vicino” https://umanitanova.org/?p=13881

  2. La Lega Nazionale per la Democrazia (LND) in inglese National League for Democracy (NDL) è un partito politico birmano fondato il 27 settembre 1988. È guidato da Aung San Suu Kyi, che ha la funzione di presidente e, precedentemente, di segretario generale. Nato come opposizione democratica alla dittatura militare divenne il partito di governo nel 2016 dopo che le forze armate avevano accettato le libere elezioni del novembre 2015. L’esperienza democratica in Birmania ha subito una battuta d’arresto con il colpo di stato del 1º febbraio 2021, quando la giunta militare ha ripreso il potere. L’LND è accusata dai movimenti indipendentisti delle minoranze etniche in Birmania – a loro volta in lotta col regime ma per l’autodeterminazione – di aver portato avanti le proprie istanze sotto un’ottica politica che prevede l’assimilazione culturale forzata delle minoranze stesse, delle loro lingue, religioni e territori al dominio dell’etnia bamar, la maggioranza etnica che guida il paese. Tali accuse si inverarono quando Aung San Suu Kyi, nel periodo in cui l’LND fu al governo, difese pubblicamente il genocidio perpetrato dall’esercito birmano nel 2017 sulla minoranza etnica dei rohingya dello stato Rakhine.

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