Sono stati mesi difficili. Un tempo sospeso, dilatato, scandito dalle sirene delle ambulanze, dai bollettini quotidiani, dalla conta dei morti, dai lutti che ci hanno colpiti. I domiciliari di massa hanno contribuito a indebolire i legami sociali. Reagire è diventato più difficile. La paura del contagio, la perdita del posto o del reddito o l’obbligo a lavorare nonostante il rischio sono stati la cifra della vita al tempo del Covid-19. Purtroppo, non siamo ancora nel dopo. Un dopo che si misura con il virus che ancora infetta e uccide ma non solo. Un dopo ancora inattingibile per le piccole libertà di cui godevamo e che il governo non progetta di ridarci tanto presto. Se non sapremo riprendercele.
In questo clima stiamo assistendo al moltiplicarsi di teorie del complotto. Il senso di impotenza di fronte all’epidemia ne ha alimentato le correnti sotterranee oltre a metterne in circolazione di nuove. È più facile credere a una grande cospirazione agita da forze oscure e onnipotenti piuttosto che affrontare la realtà. Una realtà durissima. Nel cuore del primo mondo, nel centro dell’area più ricca del paese, abbiamo visto la gente ammalarsi e morire senza cure adeguate, i militari scorrazzare per le strade, i droni spia in mezzo alle case, i vicini trasformati in poliziotti, la fatica di vivere che investiva anche chi si era creduto al sicuro.
L’esistenza di un complotto è una ricetta semplice per questioni complesse, che si pensa di non poter comprendere, né modificare. Ci mettete un pizzico di paura, la convinzione che qualcuno abbia interesse a distruggere la vostra vita, mescolate con i fantasmi che vi offrono tv, social e tabloid, mescolate con cura e cuocete a fuoco lento. Se la ricetta funziona vi sarete costruiti un piccolo inferno personale. Capita a tante persone. Alcune finiscono drogate di farmaci e segregate nei repartini, altre se la cavano e riprendono a vivere, altre ancora riempiranno le pagine della cronaca nera.
La nostra cultura bolla con lo stigma della follia chi si sente perseguitato, controllato, manipolato. Vivere con agio la propria vita non è sempre facile. Ai tempi del Covid-19 tutto è peggiorato. Se questa ricetta la preparate con altri, se diventa piatto importante di tante cucine, se viene assunta collettivamente da interi gruppi umani, diventa evidente l’esistenza di un complotto. La prova del complotto è l’esistenza di una vasta comunità che lo crede vero e ovviamente rigetta l’etichetta di complottista. Un uroboro, un serpente che si morde la coda.
Va da sé che “complotti” veri esistono. I Protocolli dei Savi di Sion, il falso documento prodotto dall’Okhrana, la polizia politica zarista allo scopo di propagandare l’esistenza di un’internazionale ebraica che tramava per controllare il mondo, è un vero complotto, orchestrato tanto bene, che, nonostante quel documento sia un falso, viene usato ancora adesso per alimentare l’antisemitismo. Complottista è l’atteggiamento di chi lo utilizza comunque, perché ritiene che la sua confutazione sia parte integrante del complotto ebraico per nascondere la volontà di dominazione planetaria.
Ogni “prova” che confuti il complotto ne dimostra l’esistenza. Il “nemico” ha un enorme potere di controllo, nulla o quasi gli sfugge. Ne consegue che chiunque provi confutare l’esistenza di un complotto o ne fa parte o è una pedina inconsapevole di una gigantesca macchinazione. Le persone comuni non possono attingere a verità che sono nascoste o comunque rese irriconoscibili dalla propaganda che le riduce a barzellette, burle, fantasie di persone disturbate. Per chi crede di vivere dentro un mondo controllato da forze oscure, che operano nell’ombra e manipolano la narrazione della realtà per non venire smascherate, ogni argomento che confuti la loro convinzione non è che la prova della incommensurabile potenza contro cui si scontra. Tutti piccoli David contro il gigante Golia.
Chiunque neghi il complotto fa parte del complotto. Nel migliore dei casi è un fantoccio mosso da fili invisibili. I complottisti sono impermeabili a qualunque argomentazione: nulla intacca la convinzione che qualcuno trami per far scomparire loro e il loro mondo. La cospirazione è la chiave che apre tutte le porte. La convinzione che ogni male che ci tocca vivere si inserisca in un progetto di pochi manipolatori, è al contempo spaventosa e rassicurante. Le teorie del complotto danno ordine al caos, danno senso alla paura, offrono un nemico da combattere e annientare. Chi ordisce un complotto disegna la trama di un tappeto che altri tesseranno per lui.
Attenzione, tuttavia, a non cedere alla tentazione di liquidare il complottismo con le armi spuntate del ridicolo e della farsa. Le teorie del complotto si basano quasi sempre su elementi reali ma irrealizzati in una narrazione che trae alimento da una virtuale cassetta degli attrezzi dove è depositato un universo simbolico da usare e adattare al momento.
La maggioranza delle persone non riesce né a conoscere né a controllare i fatti che ne decidono la vita. I complotti sono come le religioni: spiegano tutto e indicano la via della salvezza. La crisi ambientale, le armi chimiche, gli enormi effetti dell’economia finanziaria sulle vite di miliardi di persone, la perdita di autonomia che ciascuno di noi esperisce di fronte alla parcellizzazione delle funzioni lavorative, l’impossibilità di capire e controllare i meccanismi di diagnosi e cura usati dalla medicina sono alcuni dei tasselli di una realtà che viviamo ogni giorno e in tanti vogliamo cambiare. La declinazione complottista delle medesime questioni alimenta la diffidenza irragionevole, la caccia all’untore, i pogrom, i campi di sterminio, le stragi in mare. In piena epidemia, quando l’Italia era divenuta il centro di maggior concentrazione di contagiati a livello mondiale, c’era chi tuonava contro i migranti che sbarcavano sulle coste siciliane, mentre il governo bloccava le ong.
I complottisti si narrano come comunità assediata, senza potere, senza parola. Si ritrovano e si riconoscono nell’universo virtuale dei social, nonostante li considerino un nido di vipere pronto ad azzannare chi osa proclamare verità negate dai “poteri forti”. I gestori dei social li tollerano senza fatica, ammucchiando il proprio bottino informativo da vendere sui mercati della politica e degli affari. Le teorie del complotto rendono impotenti, impediscono la critica e inceppano lo sviluppo di comunità di lotta capaci di porre al centro la necessità dell’autonomia dall’istituito, dell’autogestione, della sottrazione alle dinamiche reali di controllo e sfruttamento cui sono sottoposti miliardi di uomini, donne e bambini.
Siamo immersi in una sorta di metamondo, dove un video postato sui social, diviene la “realtà”, persino quando basterebbe uscire di casa per osservare, sentire, annusare l’aria che tira nel nostro quartiere. Lo straniamento diviene una condizione ontologica. I nostri stessi corpi si restringono nel rettangolino della videoconferenza, compaiono e scompaiono in un clic. In questi mesi siamo diventati gli avatar di noi stessi.
Questo è successo mentre il governo prendeva decisioni in cui la nostra nuda vita era messa in gioco. La tardiva chiusura delle fabbriche, la concentrazione dei malati tra ospedali e case lazzaretto, le veloci riaperture, la decisione di sacrificare gli anziani poveri sono alcuni dei tasselli di un puzzle mortale, che i complottisti negano. Questa negazione, sebbene travestita da critica “antisistema”, favorisce lo status quo.
Se il virus non uccide, se la pandemia è una bufala, se la medicina è un dispositivo iatrogeno che crea i problemi che sostiene di risolvere, se tutto serve a favorire il diffondersi del 5G e l’imposizione obbligatoria di un vaccino sponsorizzato dalla Fondazione Gates, il caos scompare, scompaiono i morti, i cadaveri portati via dai camion dell’esercito. Tutto si riduce a un complotto per vendere meglio, per far crescere i profitti dei burattinai del mondo. In questo modo le responsabilità di chi ha deciso che la produzione bellica non si doveva fermare, di chi ha investito in droni piuttosto che in tamponi, di chi ha cancellato quel poco che restava dell’assistenza sanitaria territoriale, scompaiono come neve al sole.
In tempi di pandemia il complottismo è stato un ostacolo potente alla critica dell’onnipotenza della scienza e divinizzazione dell’esperto avallata da governo e media. Non gli scienziati, che sono ben consapevoli della propria fallibilità ma il loro inserimento in un meccanismo di potere e profitto ci rende impossibile capire e decidere sulle nostre vite. Accade ogni giorno in quella che siamo abituati a considerare la “normalità”. Una normalità violenta, gerarchica ed escludente, che di fronte alla crisi ha mostrato il proprio volto più feroce.
Il complottismo negazionista non smonta il ruolo dell’esperto mediatico, ma lo sostituisce con altri “esperti”, misconosciuti e perseguitati perché portatori di verità supposte “scomode”. La teoria del complotto applicata alla pandemia diviene lo specchio rovesciato della narrazione mainstream. A noi tutti è interdetta la possibilità di critica e controllo sulla ricerca, la sperimentazione, la scelta degli obiettivi, delle priorità. La “dittatura dell’esperto” discende dalla negazione della natura politica e culturale della costruzione dei saperi, il cui statuto di “verità” è sempre relativo agli obiettivi che si cerca di conseguire, obiettivi che decide chi finanzia la ricerca, chi decide cosa sia la salute e quali siano i soggetti da tutelare e quali i vuoti a perdere.
L’esperto “alternativo”, il venditore di saperi negletti, non demolisce il piedistallo su cui sono stati collocati gli esperti, ma lo rinforza. La “libertà di cura”, invocata anche in ambiente libertario, non ha senso se si riduce a mera sostituzione di un paradigma con un altro. L’accesso alla dimensione politica della costituzione dei saperi è l’obiettivo che, da amanti di libertà, uguaglianza e solidarietà non possiamo non porci. Uno dei tasselli della lotta perché le nostre vite non siano merci di poco o nessun valore nella giostra che governi e padroni fanno girare.
Maria Matteo