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Per una fenomenologia della bufala

Per una fenomenologia della bufala

Qualche giorno fa, come preannunciavamo in un articolo di poche settimane fa,[1] è divenuto evidente che le fake news sono uno strumento di lotta politica che usano anche i governi e non solo la “gente comune”, l’unica di solito a venire chiamata in causa. L’uomo più potente della Terra, infatti, il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, ha utilizzato tutti gli strumenti mediatici a sua disposizione per annunciare urbi et orbi la seguente cosa: il COVID-19, in base agli studi del suo gruppo di esperti, non si è formato per una mutazione spontanea, “salto di specie” o altro, bensì è il risultato di un’operazione di ingegneria genetica avvenuta in un laboratorio cinese dell’Università di Wuhan e, intenzionalmente o per errore, fatto fuoriuscire al di fuori di esso, dando origine alla pandemia con le conseguenze che noi tutti conosciamo fin troppo bene.[2]

A questo punto qualche lettore potrebbe fare l’avvocato del diavolo (ehm…) e dire: in base a cosa si asserisce che l’affermazione di Trump non corrisponde a verità? Trump, si sa, è quello che è; non si può però affermare che ciò che dice è falso in base alla sua persona e/o perché l’amministrazione a stelle e strisce, per favorire i suoi interessi, ha spesso e volentieri mentito (in rete è girato un meme che recitava così: “Le prove dell’origine artificiale del COVID-19 si trovano nello stesso scaffale di quello delle armi chimiche di Saddam”). Si tratterebbe di una fallacia ad hominem e/o sue varianti[3] nel caso specifico, dal momento in cui chi mente lo fa per favorire determinati interessi, è chiaro che se la verità servisse ancora meglio di una falsità per avvantaggiarsi sarebbe molto meglio usare questa e, nel caso specifico, Trump potrebbe dire la verità intorno alla questione.

Questo scettico avrebbe perfettamente ragione: infatti le ragioni per cui occorre ritenere con un livello altissimo di probabilità che l’affermazione in mondovisione di Trump sia una bufala sono tutt’altre. Ora la questione va oltre lo specifico evento da cui siamo partiti: quello che Trump adombra è l’esistenza di un complotto (quanto meno nel tentativo di nascondere l’origine artificiale del virus) e la questione “complotti”, soprattutto per un movimento d’opposizione, è molto delicata. Da un lato, infatti, chiunque abbia fatto un minimo di militanza politica sa bene che questi esistono e che, di solito, vengono utilizzati dal potere contro gli oppositori (si pensi solo alla Strage di Stato del 12 dicembre 1969) e che occorre darsi un minimo di capacità di riconoscerli;[4] dall’altro, soprattutto negli ultimi anni, vi è un fastidioso ed enorme rumore comunicativo su complotti e assimilabili che appaiono del tutto improbabili (il mio personale top in questa ridicola classifica sono i cosiddetti “cerchi nel grano” che gli extraterrestri farebbero per noi e con i governi impegnati a farci credere che siano opera di burloni in modo da non farci comprendere questi importantissimi messaggi all’umanità). Quest’articolo vuole pertanto proporre un’analisi scientifica – assai utile però per i militanti – su come riconoscere in generale il vero dal falso.

Partiamo dalle fondamenta: per comunicare una qualunque cosa noi ci serviamo del linguaggio, in altre parole di una tecnica che fondamentalmente usa degli oggetti sensibili (suoni, disegni, gesti, ecc. – i significanti) per indicare dei concetti che abbiamo nella mente (i significati) che a loro volta rimandano ad ulteriori oggetti mentali o extramentali (i denotati). Quella che noi chiamiamo “verità” è, in effetti, una “meta-tecnica” – una tecnica che controlla il corretto funzionamento di un’altra – in base alla quale giudichiamo se una determinata affermazione rispecchia correttamente o meno lo stato delle cose che afferma esistere nel mondo.

Le cose si complicano un po’ perché in realtà il controllo di “verità” di un’affermazione può funzionare in quattro modi diversi: per fede/fiducia, per corrispondenza, per coerenza e per innegabilità. Il primo opera credendo sia nella buona fede sia nella conoscenza effettiva delle cose di chi ha fatto l’affermazione; il secondo andando a verificare concretamente la realtà delle cose; il terzo quando la cosa affermata è la conseguenza necessaria dell’esistenza di un’altra di cui siamo ragionevolmente sicuri o meno; il quarto quando è impossibile negare l’affermazione senza giungere a una contraddizione. Ovviamente gli ultimi tre sono quelli oggettivi – dipendono cioè dalla realtà effettiva delle cose – mentre il primo è fortemente soggettivo: c’è chi ha fede/fiducia in una fonte ed altri per nulla. Finché è possibile, allora, occorre utilizzare questi ultimi, che sono, come è evidente, molto più sicuri.

In realtà, però, molto spesso non siamo in grado per vari motivi (mancanza di dati, di competenze, ecc.) di farlo e siamo costretti a ricorrere alla prima – ed è questo il caso dell’affermazione di Trump. Questo almeno al momento attuale e, in generale, se le competenze richieste fossero comunque fuori dalla nostra portata almeno immediata. In pratica, la questione si sposterebbe sul chi fidarsi – se degli esperti di Trump o del resto della comunità scientifica. Il tutto si riduce allora a chi ci si fida di più? Fortunatamente non del tutto.

Esistono, infatti, alcune facili regole di controllo del grado di probabilità che la fonte della notizia sia credibile o meno. Innanzitutto, occorre accertarsi se la fonte esista davvero e/o sia ben identificabile (“lo dice la scienza”, “è ben noto che”, ecc. significa sostanzialmente che la fonte secondaria non riesce ad esibire concretamente la fonte primaria la quale dunque può essere del tutto fittizia): se questo dato viene a mancare la credibilità dell’affermazione scende pressoché a zero. Dopo di che si può ragionare su tutto il resto.

Supponiamo pure che sia possibile identificare la fonte. L’esperto invocato è però davvero tale? Ci sono una serie di parametri che si possono facilmente controllare, tipo se la persona ha compiuto effettivamente e con successo studi nel campo, se la sua competenza è riconosciuta più o meno universalmente, nel caso di testimoni se questi erano davvero sul posto, ecc. Altra domanda da porsi subito dopo è: l’esperto è davvero competente in quel campo specifico? Anche qui si può controllare facilmente se, per esempio, ci siamo rivolti a un esperto specializzato (ad esempio, se abbiamo una lite condominiale ci serve un avvocato amministrativista e non un pur bravissimo civilista generico), se il testimone sul posto era in condizione di vedere chiaramente gli eventi, ecc. La domanda successiva è: l’esperto in questione sta riportando un’opinione personale o è supportato in questa almeno da una larga fetta degli altri esperti nel campo? Certo, Galileo aveva ragione da solo o quasi contro il resto della comunità scientifica e aveva comunque ragione. È sempre però meglio sapere che la fonte è minoritaria all’interno della sua disciplina che non saperlo per poter prendere le proprie decisioni in maniera cosciente.

Entriamo ora in un altro aspetto, non legato alle competenze: la fonte ha un qualche interesse a mentire? Mettiamo che abbiamo di fronte un esperto ingegnere, specializzato nella costruzione di ponti e che le sue opinioni siano supportate dalla maggioranza della comunità scientifica cui appartiene. Il problema, però, è che sta dicendo la sua sulle cause di un crollo di un ponte che lui stesso ha progettato, dicendo ad esempio che il problema è derivato dalla mancata manutenzione e non dalla progettazione: potrebbe tranquillamente aver ragione, però allo stesso tempo è innegabile che sussista in lui un interesse a mentire di cui occorre tener conto. Ancora: la fonte è davvero un esperto, ecc. – ma la sua/loro opinione è davvero fondata? Va sempre tenuto presente che esistono le cosiddette “pseudo-scienze”: “conoscenze” semplicemente affermate ma non dimostrate in alcun modo valido, senza ricorrere alla verifica logica o sperimentale e che persino scienziati di fama possono crederci. Ad esempio, se ci si parla di una cura medica miracolosa, controlliamo se la cura in questione sia stata sottoposta ad una “verifica a doppio cieco” e tutto il resto connesso…[4] [5]

Torniamo adesso all’affermazione dell’ineffabile Trump. Innanzitutto i suoi “esperti” non sono per nulla identificabili: per quanto ne sappiamo noi, potrebbero essere il suo barbiere e il suo giardiniere – senza offesa per nessuna di queste due categorie… Di conseguenza non sappiamo nulla sulla loro effettiva competenza. Inoltre sia il presidente degli Stati Uniti d’America sia i suoi “esperti” potrebbero avere un effettivo interesse a mentire: il primo per sviare l’attenzione dalle sue responsabilità in merito allo stato di disastro del sistema sanitario del suo paese, gli altri (ammesso che siano davvero competenti in materia) per la loro sudditanza verso di lui.

Sulla qualità delle indagini che avrebbero svolto al momento, ammesso che siano state effettivamente svolte, non possiamo dire nulla: in compenso abbiamo di contro l’intera comunità scientifica che si occupa di ingegneria genetica. Riporto più o meno testualmente quanto mi è stato detto da una persona che lavora nel campo della ricerca universitaria: “Enrico, lo sai chi è la persona maggiormente competente nel riconoscere una banconota vera da una contraffatta? Un falsario. Qui i falsari siamo noi…”.

Insomma, questi sono i motivi razionali – gli unici che dobbiamo riconoscere come validi – per cui la probabilità che le affermazioni trumpiane siano vere al momento è pressoché prossima allo zero. Tutte le affermazioni che ci vengono fatte dobbiamo valutarle con questi criteri: perché non è affatto detto che tutte le ipotesi di complotti siano false – dal momento che empiricamente sappiamo che esistono, e per alcuni di essi sono possibili anche prove oggettive[6] – ma perché la proliferazione di ipotesi del tutto infondate sta creando il fenomeno dell’ “al lupo, al lupo”, per cui anche lo scetticismo più che fondato su determinati eventi rischia di cadere nel discredito generale favorendo, alla fine, il potere lasciandolo maggiormente libero nell’agire.

Enrico Voccia

NOTE

[1] VOCCIA, Enrico, “Ipotesi di Complotto e Razionalità”, in Umanità Nova, n° 13, anno 100, 19 aprile 2020, pp.1-2.

[2] https://www.partecipasalute.it/cms_2/saperericerca

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Argumentum_ad_hominem

[4] https://www.partecipasalute.it/cms_2/saperericerca

[5] Per un’analisi molto più approfondita di quanto detto finora e molti altri aspetti legati alla distinzione tra il vero ed il falso vedi VOCCIA, Enrico, “A Caccia di (Ig)Nobili Segni”, in Porta di Massa – Laboratorio Autogestito di Filosofia Epistemologia Scienze Politico-Sociali, Lemma “Segno”, n° 1 2020, pp. 87-99. La rivista è scaricabile gratuitamente anche dal cloud dove sono presenti i Quaderni di Umanità Nova (vedi riquadro in settima pagina).

[6] Sull’innocenza dei compagni e sulle responsabilità governative in merito alla Strage di Stato la documentazione è sterminata: giusto per non ricorrere al solo ambito militante vedi https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/litalia-stragi-trame-eversive-magistrati. Sempre a titolo d’esempio, per andare sulle forme oggettive del controllo di verità, l’11 settembre 2001 sono cadute a distanza di poche ore tre enormi grattacieli (uno nemmeno colpito) esattamente sul proprio asse a velocità di caduta libera. Lascio al lettore il calcolo delle probabilità che anche le sole travi portanti dei tre grattacieli abbiano raggiunto contemporaneamente lo stato di indebolimento necessario al crollo o, se si vuole, che nonostante non lo abbiano raggiunto in contemporanea i tre grattacieli siano ugualmente caduti in verticale ed il tutto sempre a poche ore di distanza o, ancora, ad una combinazione delle due uniche possibilità.

https://www.youmath.it/lezioni/probabilita/probabilita-discreta.html

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