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Femminismo e anarchismo

Femminismo e anarchismo

Da Umanità Nova del 9 Gennaio 1977

Vivendo in una cultura dominata da una imperante mitologia maschile è difficile per le femministe prendere importanti e inevitabili provvedimenti che vadano oltre la nostra primaria lotta contro i più ovvi abusi delle leggi e dei legislatori maschili. Anche la valorosa lotta per il possesso dei nostri corpi e la lotta per uguali diritti nei settori del lavoro e dell’educazione, della nostra vita sessuale, domestica e pubblica è — in sostanza — appena un fare appello alla categoria dei maschi affinché revochino una legislazione ingiuriosa fatta propria da loro. Ma anche se ci fosse un pari o maggior numero di donne che decidono le leggi, la struttura patriarcale nella quale esse si troverebbero ad operare continuerebbe ad essere offensiva a causa della forma di governo intrinsecamente gerarchica. Vi è un vistoso disequilibrio nella struttura, non solo della nostra cultura ma nella nostra intera civiltà.

Abbiamo ragione, evidentemente, a combattere prima per specifici risultati e contro specifici abusi, perché le dirette e immediate sofferenze che ci vengono imposte e la loro alleviazione sono una priorità che le donne hanno sempre capito con una capacità più esistenziale di quanto le leggi maschili non potranno mai prendere in considerazione.

Ma la via della rivoluzione è sempre duplice (non divisa ma duplice) prendendo in considerazione il provvedimento immediato dell’abolizione degli abusi e della risposta ai bisogni e anche arricchendo il nostro panorama con alcuni barlumi di strategia che entrano e lottano profondamente nella nostra vita e che impediscono al nostro intervento nella prassi di diventare condizionato e settario. Abbiamo bisogno di riesaminare la struttura patriarcale della condotta completamente mascolinizzata nascosta dentro il dominio del linguaggio, della cultura ecc. Ma soprattutto nelle forme quotidiane dei rapporti sociali nei quali giace sepolta la radice della nostra sottomissione alla patriarchia. Finché non capiamo come il nostro comportamento sessuale crea un modello per tutti i nostri comportamenti, rimarremo sottomesse ai maestri che ci guidano con immagini virili, con concetti di falso orgoglio, con rigidità, valorizzando solo aspetti fisici, o come padri carismatici, con forzata retorica, con lo scettro e col bastone.

Le donne sanno che ” i diritti della donna” non saranno loro garantiti paternalisticamente dentro la prigione di una cultura maschile. Sappiamo che la struttura nella quale è basata la nostra vita è una finzione, una mitologia alla quale non possiamo rendere credito o fiducia più a lungo. Nel momento in cui cominciamo ad osservare le più profonde implicazioni del femminismo alla luce degli squilibri sociali, sono parecchi I miti della mitologia maschile che siamo pronte a individuare e a demistificare.

Per mitologia intendo un concetto fittizio cosi profondamente radicato nel nostro modo di pensare da avere le qualità di una fede quasi religiosa. I suoi principi fondamentali sono incontestati e sembra qualcosa di eretico contestarli o altrimenti è pensato come “innaturale” o contrario a qualche intrinseca funzione umana il contestarli.

Il mito principale è il mito dell’autorità stessa. Come anarchica questo l’ho sempre capito, ma come femminista attivamente presente nel risveglio femminista io intendo la sua funzione in modo completamente nuovo. Il mito dell’autorità è sostenuto da tutti gli altri miti della nostra società autoritaria, ma esso fa emergere il fatto amaro che molta gente creda sia necessaria alla nostra condizione umana il ruolo di una superiore figura patriarcale di qualche genere. I miti del beneficio sociale della competitività, della combattività e delle coercizioni fisiche sono stati utilizzati nella corrente principale della nostra cultura al fine di sostenere questa nozione. Uno di questi miti — il concetto della validità della forza fisica come metodo utile per risolvere i conflitti — ha portato alla falsa immagine della virilità che domina la nostra letteratura, la canzone, il teatro, l’arte e la storia. Dalla Bibbia al cinema di John Wayne il mito è consolidato: chi ha la forza fisica maggiore o è più spietato o è più sicuro nel tirare col fucile, è conseguentemente il migliore, e ha conseguentemente l’autorizzazione a comandare.

L’aspetto quasi religioso di questo mito culmina non nel ritenere che “il potere fa il diritto”, come dice il proverbio, ma nella credenza quasi piistica che “il diritto fa il potere” e che in essi vinceranno la lotta sanguinosa che è giusta e che ha dalla propria parte presupposti rivoluzionari.

Nel corso del mio lavoro ho incontrato centinaia di persone e tra loro gran parte erano anarchici che sostengono che la lotta armata è un ’indiscutibile necessità. E nelle mie discussioni con loro, quando io ho obbiettato a questa loro convinzione , le risposte dimostravano la loro paura che qualsiasi strategia non-violenta sia “ sentimentale ed effeminata”. Essi dimostrano una paura che L’altruismo o, ancora peggio, la tenerezza, rappresentino una minaccia alla loro virilità, che essi cioè, starebbero pensando da fifoni o sarebbero incapaci di lottare. E naturalmente questa paura è riflessa in molte donne che sono afferrate dalla paura provocata dal maschio di essere considerate più deboli e meno agguerrite degli uomini. Ma questo lo riscontro assai meno mano a mano che progredisce il risveglio femminista. La competitività è un altro mito della cultura supermascolinizzata . L’accettazione di strutture gerarchiche e la nozione di competitività come beneficio sociale sono strettamente correlate. L ‘esempio di sport competitivi è forse troppo facile per la nostra definizione . Ma l’esempio della negatività della nostra scuola competitiva, di promozioni, esami, di “ primi della classe “, e la paura e la tragedia degli errori e dei cattivi voti, dimostrano chiaramente come noi sia o portati a funzionare socialmente.

Le strutture piramidali dello stato che il movimento libertario sta combattendo per dimostrare come siano un male non necessario, non sono nient’altro che un’estensione di questa forma competitiva di condotta e di teoria. I sentimenti delle donne e le qualità dell’educazione femminile tendono, al contrario, all’altruismo e al mutuo soccorso, alla cooperazione piuttosto che a soluzioni competitive/esplosive di fronte a problemi umani e sociali. Ciò che stiamo cercando è di fatto una femminilizzazione della nostra cultura. E per quei maschi che sono offesi da questo concetto lasciatemi aggiungere che considerare questo come un genere di guerra tra uomini e donne è esattamente quella specie di pensiero competitivo che sto suggerendo dobbiamo imparare ad evitare, o piuttosto disimparare. Poiché noi abbiamo abbastanza, tutti noi, pensato di difendere la cultura del maschio e di sentire che femminilizzare la cultura sarebbe un mettere in pericolo il naturale e spontaneo equilibrio della nostra società.

Il fatto è che la cultura non è equilibrata. Il fatto è che le caratteristiche maschili sono le dominanti e spesso le sole caratteristiche che motivano l’azione e il pensiero nella nostra struttura sociale.

Stiamo parlando di equilibrio in una società dominata da maschi, nella quale le influenze femminili sono state distorte, distrutte e represse. Quando il principio della leadership è correttamente analizzato come la ripetizione della vecchia e quasi mistica forma di dominazione dell’immagine paterna e come l’intera mitologia psicosessuale che è trascinata con essa, allora i principi delle anarchiche visionarie come Luis Michel, Flora Tristan, e Maria Luisa Berneri e Emma Goldmann e Doroty Day possono essere tradotti in azione diretta. I principi femministi sono un’espressione di libertà incompatibile con il principio della leadership. La base del femminismo è antiautoritaria definendo l’autoritarismo come forma patriarcale. La storia , muovendo attraverso tutti noi, ammonisce il movimento anarchico a riconoscere questo legame.

Non possiamo predire o programmare il genere di azione diretta che può assumere una cultura femminista , o anche il genere di azione diretta che un movimento anarchico può prendere quando esso accetti la presa di coscienza femminista nella sua corrente di pensiero. Ma noi possiamo prevedere che le sue dimensioni si baseranno sull’energia creativa delle persone le cui preziose capacità costruttive sono state sepolte sotto la dominazione dei miti maschili per migliaia di anni, e quando questa energia diromperà….

Judith Malina

(trad. a cura del Gruppo Anarchico Malatesta di Imola )

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