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Bolivia: la notte dei vetri rotti

Bolivia: la notte dei vetri rotti

Nota redazionale

Grazie all’ottimo lavoro svolto da Mujeres Creando e Maria Galindo in una società profondamente etero-patriarcale come quella boliviana, le donne e le individualità non eterosessuali hanno potuto gridare e resistere contro le violenze a cui devono far fronte quotidianamente. Nell’articolo che pubblichiamo, pur non condividendo il discorso su democrazia e parlamento (e relativi esempi), siamo concordi sulla visione critica riguardante una democrazia che, come il resto degli Stati Centro e Sudamericani, non ha mai fatto i conti con il suo passato dittatoriale.

Nel mezzo del terrore, delle orde di gente e delle peggiori notizie, l’artista boliviana Maria Galindo, fondatrice di Mujeres Creando, ha scritto per lavaca.org il testo che segue, a proposito del colpo di stato in Bolivia, delle sue conseguenze e di quel che significa per il continente sudamericano. Lo chiama “la tappa fascista del neoliberismo”, nella quale il fondamentalismo religioso rappresenta l’elemento disciplinante per le donne. Facendo seguito al deteriorarsi dei governi progressisti, irrompe con violenze, fake news, razzismo e riferimenti al terrore. L’obiettivo: il saccheggio. Come far fronte a tutto questo? Galindo propone la sua ipotesi.

Dar fuoco alla whiphala – bandiera che in tutto il continente rappresenta i popoli indigeni – in tutti gli edifici pubblici è un atto fascista, però ugualmente fascista è l’utilizzo propagandistico delle idee, dei corpi e degli spazi. Entrare nel palazzo del governo con in mano una bibbia e una lettera [di dimissioni. Ndt] per inginocchiarsi davanti alle telecamere, senza essere legittimati da un mandato popolare, è un atto fascista e golpista. Bruciare le case dei membri del governo di Evo Morales è fascismo. Bruciare la casa del rettore dell’Università Pubblica, Waldo Albarracín, da sempre difensore dei diritti umani, è un atto fascista di intimidazione nei confronti di chiunque osi prendere parola, dissentire da Evo Morales o contestare la frode elettorale.

Questi sono alcuni degli esempi che stanno inondando gli schermi di televisori e cellulari in tutto il mondo. Scrivo sotto una pioggia torrenziale, in una notte che ho voluto chiamare “Notte dei vetri rotti”, poiché è destinata a seminare paura, a riaprire tutte le ferite di una società coloniale, razzista, misogina ed omofobica. Il revanscismo è sceso in strada in cerca di sangue e nemici. Oggi in Bolivia la cosa più sovversiva è avere speranza, le cose più sovversive sono l’umorismo e la disobbedienza, la cosa più sovversiva è non parteggiare né per gli uni né per gli altri e questa è la nostra posizione ancora una volta.

Cosa sta succedendo?

Non è facile da spiegare, giacché il conflitto non è ancora finito. Va crescendo e mutando di ora in ora. Questo scontro ha accecato degli occhi, fermato tre cuori e percosso innumerevoli gambe e teste, fino a trasformare le strade di città La Paz in uno scenario di guerra, che si è calmato per poche ore a causa di un ammutinamento generale della polizia.

Evo ha denunciato di fronte alla comunità internazionale che si tratta di un colpo di Stato sostenuto dalla CIA e dall’oligarchia latifondista fascista cruceña [della zona di Santa Cruz. Ndt], questo è certo ma è solo metà della storia.

Il 20 ottobre siamo andat* a votare alle elezioni generali con la dolce mansuetudine propria di queste terre, però tanto l’andare alle urne quanto i successivi scrutini erano atti svuotati di significato. Privi di alternative reali e condizionati da una frode le cui dimensioni già sono state denunciate dalla Commissione di monitoraggio elettorale dell’Organizzazione degli Stati Americani e dalla Commissione di monitoraggio elettorale dell’Unione Europea.

Per questo il momento elettorale ha rappresentato l’inizio di un conflitto latente nella società e nella regione boliviana. La crisi profonda della democrazia liberale rappresentativa e della forma-partito come unica forma ufficiale di fare politica.

La falsa disputa tra destra e sinistra

L’idea che il Movimento per il Socialismo (MAS) sta vendendo al mondo intero – mi costa fatica doverlo ripetere – è che in Bolivia si stiano scontrando un blocco popolare progressista e una destra estrema e fondamentalista. Il governo di Evo Morales è da molti anni strumento dello smantellamento delle organizzazioni popolari, dividendole, convertendole in dirigenze corrotte e clientelari, stringendo accordi di parziale gestione del potere con i settori più conservatori della società, incluse le sette cristiane fondamentaliste, alle quali ha regalato la candidatura illegale fascista di un pastore evangelico coreano, avallata dal beneplacito del MAS.Nel contempo, Evo Morales si è posto al centro di un progetto di caudillismo che ha portato ad un vicolo cieco l’intero paese e pure il progetto masista.

Egli è il rappresentante unico, convertito in maniera delirante nel simbolo – e nella concentrazione – di un potere insostituibile, nel soggetto portatore del mito del “presidente indigeno” il cui unico potere simbolico è il colore della pelle, mentre porta avanti un governo composto da un circolo corrotto di intellettuali e dirigenti che lo venerano, poiché serve loro come facciata. Così come titolava Franz Fanon nel suo libro “Pelle nera, maschere bianche”, Evo non è nulla più che il caudillo e la maschera. Tutti i contenuti popolari sono mera retorica e questo ha portato al fatto che oggi ci troviamo di fronte ad un progetto politico esaurito, svuotato che ha potuto perpetrarsi solo distruggendo ogni forma di dissidenza, critica, dibattito, produzione culturale o economica. Il suo modello è neoliberale, consumista, estrattivista, ecocida e clientelare. È per questa ragione che di fronte ai brogli elettorali è cresciuta un’ondata di rifiuto, concentrato in una generazione giovane, fino ai 25 anni e urbana, che è stata la protagonista di una resistenza di quasi 20 giorni.

La fascistizzazione del processo: tra due caudillos deliranti

In questi giorni la parola democrazia è stata lentamente svuotata di contenuto e trasformata in uno slogan di gruppi fascisti e fondamentalisti. Evo Morales ha deciso di dare risalto alle manifestazioni razziste per accreditarsi come vittima utilizzandole in modo perverso, al punto che gli atti di razzismo commessi durante lo sciopero si sono trasformati in parte della propaganda governativa, amplificandone il discorso e rendendo il razzismo funzionale al governo stesso. Dal momento poi che il movimento di protesta è stato ed è esclusivamente urbano, il governo ha pure posto l’accento sulle divergenze tra città e campagna, come se il conflitto avesse origine da questo. L’intenzione era di utilizzare queste contraddizioni per squalificare le critiche e guadagnare tempo. Senza curarsi dei costi sociali.

Di fronte al caudillismo evista, il progetto cruceño ha schierato un altro caudillo, apparentemente antagonista ma allo stesso tempo complementare. Un uomo bianco, imprenditore, presidente di un ente “civico”, che ha fatto uso del fanatismo religioso e di un discorso apertamente misogino che fra le righe promette agli uomini il ripristino del controllo sulle donne. Tant’è che il suo braccio destro, avvocato e consigliere, è il difensore di quella che in Bolivia è stata chiamata la “Manada boliviana”, uomini che hanno stuprato una loro stessa amica in una serata in discoteca. Il fondamentalismo religioso del cruceño Camacho ha venduto l’idea del recupero della famiglia, della nazione e della persecuzione del “male”; ha camuffato il suo razzismo da interesse nazionale e la sua misoginia da interesse per la famiglia. L’apparente antagonismo ha esacerbato gli animi, polarizzato il conflitto e sostituito la democrazia con la messa in scena di un’impennata macista. I/le giovani hanno iniziato a manifestare con gli scudi e quando la polizia si è ammutinata, immediatamente si è convertita da forza repressiva ad eroi armati e protettori del conflitto.

Oggi, grazie a molti milioni di dollari, si sta garantendo la lealtà dell’esercito ad uno dei due fronti in conflitto. Evo Morales o Camacho. In entrambi i casi il risultato è di stampo conservatore. La fascistizzazione del processo ha silenziato la società civile e le decisioni si concentrano nei vertici più sanguinari di Morales o Camacho.

Parlamento delle donne

Quello che vi racconto è successo in poche ore in un processo confuso di intensa guerra a colpi di fake news, che ha esacerbato tutte le paure: paura di parlare, paura di prendere posizione, paura di non appartenere a una fazione. La capacità della popolazione di elaborare quello che sta succedendo è stata mutilata. Non ci sono spazi di analisi né di discussione. La discussione sulla possibile soluzione è nuovamente lontana dalla gente e molto confusa. Chi non ha un’arma pare non avere diritto a parlare.

È per questo che come parte di una serie infinita di azioni intraprese da Mujeres Creando, in questi giorni abbiamo deciso di aprire uno spazio deliberativo di donne chiamandolo “Parlamento delle donne”, dove sia possibile dar voce alle nostre speranze, dove si instauri un clima di dialogo e confronto, che è ciò che questa fascistizzazione ci sta strappando.

Farlo in mezzo a un clima che si è tramutato in una rissa tra due colpi di stato, tra due fascismi, rappresenta uno sforzo di tornare al dibattito originario sulla democrazia. Abbiamo bisogno di pensare, dibattere e proporre soluzioni concrete: questo è il compito del Parlamento delle donne, che riprende, ma in condizioni d’emergenza, la proposta nata nella Grecia di Tsipras e posta da Paul Preciado.

Contro la privatizzazione della politica: la crisi regionale.

Sono convinta che i conflitti in Bolivia, Perù, Ecuador e Cile mostrino, con diverse sfaccettature e in diversi contesti, la crisi della democrazia liberale rappresentativa e la privatizzazione della politica. L’intero processo neoliberale ha ridotto il contenuto della democrazia a una sorta di atto burocratico e di apparato elettorale e nulla più. Questo processo ha fatto sì che le elezioni si siano convertite in atti legittimatori dell’esclusione massiccia degli interessi della società, degli interessi di settori concreti, trasformando le voci complesse che compongono una società in spettatori e spettatrici esclus* legalmente dal diritto di parlare, pensare e decidere.

Questo lo chiamo privatizzazione della politica. Evo Morales, nelle sue dimissioni, diceva di aver nazionalizzato le risorse naturali in Bolivia, riferendosi allo sfruttamento del gas naturale. Anche se questa nazionalizzazione è parziale, una cosa che ha fatto è privatizzare la politica al punto che se non eri del partito non avevi nessun diritto a dire nulla, neppure però se eri del partito, posto che le decisioni erano e sono prese da un vertice esclusivo. Questo ha creato attorno un vuoto democratico enorme che è lo spazio che il fascismo ha utilizzato per installare un contro-modello caudillista, che sposta le frustrazioni sul piano di una polarizzazione insormontabile che può essere risolta solo per mezzo del terrore, della bugia, della logica del più forte.

La stessa crisi in Cile, Perù o Ecuador ha caratteristiche diverse ma essenzialmente espelle la società e le lotte sociali fuori dalla “politica” e ci allontana dall’idea che le soluzioni sono “politiche”, sono deliberative o sono basate su accordi. Si insedia la fascistizzazione generalizzata, il terrore, per convertire le soluzioni legittime e le contestazioni sociali in scenari di contrapposizione violenta di forze. Questa è quella che chiamo fase fascista del neoliberalismo.

Perciò la religione, in tutti i casi, acquisisce una preponderanza perché negando alla politica lo spazio del discorso si aprono i fanatismi alimentati da visioni “religiose”: la repressione delle libertà sessuali e delle libertà delle donne è la ricompensa che questi processi promettono.

L’invisibile

Lo scenario è attraversato inoltre da forze invisibili non esplicite, alimentate dal denaro, dalle armi, e che progettano strategicamente la messa in scena del dolore e le narrazioni. Dietro ci sono gli interessi dei progetti cinesi, russi e nordamericani sulla Bolivia, se non su tutta la regione, ma anche la disputa per il giacimento di litio più grande del mondo, che rimane inutilizzato e non assegnato nelle saline di Uyuni, a Potosì. In Bolivia si sta disputando, a dir poco, il controllo su Bolivia, Venezuela, Cuba e Nicaragua. Perché le proteste si sono convertite nel palcoscenico manipolato dalle forze che ci stanno usando.

Conclusioni al posto delle soluzioni.

Nel caso boliviano pare che non ci sia soluzione: la gente è spinta a scegliere una parte con cui schierarsi secondo processi identitari fanatici, secondo narrazioni che non hanno nulla a che vedere con i fatti, secondo narrazioni messianiche e caudilliste. È per questo che noi stiamo concentrando i nostri sforzi nella discussione più basilare: non vogliamo sprecare le energie cercando di convincere i circoli fascisti che costruiscono le loro rispettive narrazioni, piuttosto affermare gli spazi sociali che stiamo aprendo da decenni.

Riprendere lo spazio dei nostri corpi. Per questo la parola democrazia, che suscita speranze, può essere significativa per preservare quello che abbiamo, il luogo che occupiamo, le libertà che di fatto e senza chiedere permesso alcuno esercitiamo. Non solamente dall’attivazione di idee, ma dall’attivazione degli affetti, delle emozioni. Per questo l’umorismo, per quanto ironico possa apparire, lo humor sociale, la capacità di burlarsi delle narrazioni fasciste, è sorto con molta forza spontaneamente da tutte le parti.

Se hanno trasformato le nostre rivendicazioni nella domanda “chi è il più macho, chi è più forte?”, chiediamo un ring dove tutti gli attori in conflitto si stringano in un duello mortale e ci lascino in pace. Non siamo carne da cannone.

Marìa Galindo

[traduzione a cura di asia arsa & thn]

 

 

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