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La classe operaia (meridionale) non va in paradiso

La classe operaia (meridionale) non va in paradiso

La Questione Meridionale prima della Lega

Una caratteristica fondamentale della storia peninsulare ha sempre avuto a che fare con la migrazione: da quando la divisione politica ha portato ad una unione, i cosiddetti “italiani” si sono mossi verso mete più sfruttabili a livello lavorativo. Prima la migrazione era esterna, particolarmente verso le Americhe, il Belgio o l’Australia: poi, nel secondo dopoguerra, con il boom industriale questa ha riguardato l’interno del territorio, in altre parole molti meridionali hanno cercato fortuna verso il settentrione. D’altronde, la “Questione Meridionale” era più che mai viva: gli scarsi tentativi, nella maggior parte veri e propri tentativi-fantoccio, di riallineare economicamente il sud Italia al resto della nazione non hanno portato a risultati significativi. Chiaramente, in questo periodo, un minimo di sviluppo ci è stato, non però sufficiente a pareggiare il divario notevole tra questo tratto della penisola ed il resto non solo della nazione ma dell’Europa in generale, sia a livello sociale sia economico.

Costretti ad un esodo di massa, la popolazione meridionale si ritrova in un territorio di fatto estraneo, nel luogo delle opportunità. Il polo industriale del settentrione ha significato dall’inizio degli anni sessanta in poi una via di fuga da povertà ed arretratezza. Bisogna, infatti, considerare il fatto che, tra il 1959 ed il 1973, ben 82.000 persone andarono ad insediarsi nell’agglomerato urbano di Torino mentre altre 60.000 lasciarono la città per insediarsi altrovee.[1] Si vennero a creare vere e proprie “catene di Sant’Antonio” tra famiglie ed amici, in modo di trovare, in determinati luogo del nord Italia, appoggio sociale e lavorativo. Si formò quel fenomeno che bene viene descritto in alcune pellicole dall’inestimabile valore storico ed artistico come Rocco e i Suoi Fratelli (1960) di Luchino Visconti o Mimì Metallurgico Ferito nell’Onore (1972) di Lina Wertmuller, tra i più noti. Come si risolse la questione del divario economico e culturale? Ovviamente con un affondo dei più sfortunati, ovvero della valanga di migranti dal sud Italia. Nei due film citati – ma spess0o anche nella realtà – non c’è scampo per i protagonisti, neanche dopo l’essersi stabiliti in zone economicamente centrali..

Ecco, la situazione di perenne svantaggio nella quale versavano queste persone è un dato pratico, più che culturale: essendo partiti da zone meno sviluppate questi sono provvisti di un capitale umano più povero. Mentre le persone del nord venivano collocati in ruoli professionali più redditizi, i meridionali riuscivano ad ottenere dei gradi professionali molto bassi, se non i più bassi: operai non specializzati, insomma.[2]

La situazione di precarietà economica era unita a quella sociale e culturale: le discriminazioni vere e proprie del nord all’arrivo degli immigrati sono note a tutti, fanno parte della storia contemporanea. Famosi i cartelli affissi in ogni parte del nord Italia con scritto sopra “Qui non si affitta a meridionali”. Chiaramente si trattava di uno scontro tra culture fortemente diverse, ma anche di razzismo gratuito portato dall’ignoranza. Anche sul posto di lavoro venivano praticati due pesi e due misure a seconda della provenienza: anche il possesso di un titolo di studio superiore non era per nulla una garanzia di lavoro specializzato.

Niente di nuovo sul Fronte Settentrionale

Uno dei risultati di questa ondata migratoria e dei connessi scontri sociali, fu, alcuni anni dopo, la nascita della Lega Nord di Umberto Bossi, della quale è inutile ripetere punti di riferimento culturali ed ideologici platealmente antimeridionali e con toni dichiaratamente razzisti.

Con l’avvento alla segreteria della Lega Nord di Matteo Salvini, la propaganda del partito sembra essere radicalmente cambiata. Il segretario del carroccio posta deliberatamente selfies con piatti tipici del sud, fa comizi elettorali in tutto il Mezzogiorno ed ha addirittura tolto il termine “Nord” dal nome del partito. La difesa del lavoratore medio, apparentemente, è la difesa dell’italiano medio e non più del settentrionale medio. Chi si sarebbe mai aspettato dieci anni fa di vedere così tanti voti sparsi al meridione a favore della Lega? Era una cosa impensabile, ma nel lavoro dei politicanti, far finta, per lo meno, di cambiare opinioni, seconda del target elettorale ricercato, è all’ordine del giorno. Ora sono gli “extracomunitari” (quelli dal colore della pelle diverso ma non solo) ad essere i nemici incontrastati.

I “lavoratori onesti” pare non abbiano più bisogno di essere difesi, con toni quasi da far west di assedio dei pellerossa, dai meridionali “succhia tasse”. La Lega si concentra ora più su questioni di stampo europeo-sovranista, cose come “ci rubano il lavoro”, “molestano le donne” e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il meridionale medio ora è una persona onesta, il quale ha tutto il diritto di stare al nord per lavorare in nome del sacrosanto “diritto al lavoro”. Che la posizione contro gli extracomunitari sia disgustosa ed inaccettabile non c’è nemmeno da dirlo: qui vogliamo solo sottolineare il fatto come essa sia strumentale al tentativo di allargare il bacino elettorale leghista a tutta la penisola.

Ovviamente le retorica salviniana attuale è solo un trucco: la base leghista del nord sa bene che tutto ciò è strumentale alla conquista del potere politico, per poi proseguire nelle solita politiche antimeridionali, come si è visto con la vicenda – per niente conclusa anche con l’attuale governo dove la Lega è stata esclusa – del regionalismo differenziato, affrontato a più riprese sulle pagine di questo settimanale anche di recente.[3]

Tutto ciò viene dimostrato da un recentissimo fatto di cronaca, passato quasi in sordina sui media mainstream ma decisamente diffuso sui social media. Deborah Prencipe, giovane foggiana di 28 anni migrata nell’hinterland milanese per motivi di studio si vede rifiutare un affitto da un’autoctona. Il fatto sbalorditivo non è il rifiuto in sé, ma le ragioni addotte dalla proprietaria dell’immobile. La signora (…) affermerebbe, in un vocale WhatsApp condiviso sui social da un’amica della vittima, di non voler affittarle la casa perché “razzista, salviniana” per poi continuare con i “meridionali saranno tali anche nel 4000”, ovviamente con connotati totalmente negativi. Ora, il fatto che un razzismo, anche se almeno in apparenza diminuito, sia presente al nord non è una novità. Ci troviamo però nella situazione paradossale che migranti di seconda generazione hanno preso di mira il solito “terun”, lo stesso che, secondo lo stereotipo, ”svogliato” ruba le tasse ai grandi lavoratori del nord.

Il fatto che Rocco ed i suoi fratelli, dagli anni sessanta, siano riusciti in una faticosissima integrazione non ha impedito al Settentrione di mettere in gioco le stesse forze razziste di cinquanta anni fa, veicolate anche da un partito che fomenta questo odio. Salvini è corso ai ripari, affermando che la signora Patrizia sia “una cretina”, un insulto ad effetto che, comunque, verrà compreso nella sua strumentalità dagli elettori della lega, i quali non disapprovano affatto, appoggiando il latente razzismo nei confronti dei meridionali. Un famoso video su youtube mostra ancora il leader della Lega (Nord) alla festa di Pontida 2009, quindi dieci anni fa, recitare un famoso coro razzista contro i napoletani. In fin dei conti quel video è un compendio di cosa sia il razzista medio elettore della lega, il quale fa finta di accettare il meridionale lavoratore di turno in vista di un becero “fronte comune” – per il momento. Nulla è cambiato, ha solo preso forme diverse ed ancora più pericolose per le popolazioni meridionali, che rischiano di passare alla storia un po’ come degli ebrei che hanno votato convintamente per il nazismo.

Lorenzetto

NOTE

[1] “[…] Di questi immigrati, come abbiamo già rilevato, si conosce la provenienza ma non il luogo di nascita. Nel periodo circa il 30% risulta provenire dal Piemonte; un 18% dale altre regioni del nord e da quelle del centro (in misura rilevante dal Veneto fino alla metà degli anni sessanta: successivamente la direzione si inverte con un’impennata di ritorni); una piccola quota (4%) rientra dall’estero. Il contributo maggiore è dato dal gruppo che proviene dalle regioni meridionali: quasi un immigrato su due (il 48%) arriva direttamente da questa parte del paese e il flusso è costante in tutto il periodo fino al 1973, anno che precede la crisi petrolifera e che viene convenzionalmente indicato come l’anno in cui la grande immigrazione si conclude […]” (“Immigrazione e Traiettorie Sociali in Città: Salvatore e gli Altri negli Anni Sessanta” di Franco Ramella in L’Italia delle Migrazioni Interne. Donne, Uomini, Mobilità in Età Moderna e Contemporanea, a cura di Angiolina Arru e Franco Ramella, Roma, Donzelli editore, 2003, pag. 347).

[2] “Ora, secondo la nostra fonte riguardante la popolazione della città del 1979, la percentuale di operai meridionali forniti di licenza media sulla totalità degli operai del gruppo non è lontana da quella dei piemontesi (il 30,6% contro il 34,6%) ed è superiore a quella degli operai immigrati dal Centro-nord (28,9%). Ma, come abbiamo visto, gli immigrati originari del sud tendono a concentrarsi nelle posizioni operaie meno qualificate, mentre i nati nella regione in quelle più qualificate […]” (Ibid, pag. 345:).

[3] ZETA, Effe, “Autonomia Differenziata e Scuola”, in Umanità Nova, n. 26, 22 settembre 2019, p. 5.

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