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Vite salariate

Vite salariate

Sono passati cinque anni da quando Sabitri Das, 19 anni, operaia tessile, ha iniziato a lavorare nel settore dell’abbigliamento. La sua vita lavorativa è iniziata ancor prima quando lavorava come manovale con i suoi genitori. Portare la sabbia, in un cestino dall’interno di una nave al sito vicino, era il lavoro. Dovevano salire una scala stretta e scendere successivamente con un cesto di sabbia. È fisicamente impossibile trasportare più di 150 cestini al giorno, spesso sotto il caldo torrido. E sì, il prezzo di un lavoro fisico così pesante era un taka per cesto di sabbia.

Sabitri è partita per la città, sperando in un lavoro migliore, una paga migliore e un modo migliore per provvedere alla sua famiglia. E ora, si sveglia alle prime ore del mattino, inizia a lavorare alle 7 del mattino, considerando che casa sua è a dieci minuti a piedi alla fermata dell’autobus. La tariffa del bus è di 5 taka fino alla sua fermata, ovvero 300 taka ogni mese. Ci sono giorni in cui, invece di prendere il bus, cammina per 50 minuti per risparmiare denaro. Spesso non si prende nemmeno il fine settimana, lavora 70 ore di straordinario al mese. Quasi tutti i giorni, lei è al lavoro fino alle 22:00. Tutto quel lavoro, tutto lo stress, la fatica… per guadagnare 7700 taka che arrivano al massimo a 10000 inclusi gli straordinari. Ha la sua intera famiglia, sua madre e due fratelli minori sulle sue spalle, e le entrate mensili riescono a malapena a far fronte alle spese, quindi lavora come sarta nei suoi fine settimana, oltre che guardare due figli di un altro operaio, sempre nel tempo libero, che le fanno guadagnare un po’ di soldi extra.

Dove è il tempo libero per questo diciannovenne? Un po’ di riposo, un po’ di tempo per nutrire l’anima è qualcosa che non può permettersi. La vita per i lavoratori, la maggior parte dei quali sono giovani come Sabitri, è abbastanza simile per quasi tutti loro. Invece di essere negli istituti scolastici, stanno bruciando la loro vita giorno dopo giorno, faticando a restare in vita, a mantenere in vita le loro famiglie.

Il Consiglio per il salario minimo in Bangladesh ha fallito nell’assicurare il salario ai lavoratori dell’abbigliamento. Il governo non ha rivisto il salario minimo dei lavoratori dell’industria dell’abbigliamento dal 1994 al 2006. Rimase statico per dodici anni, a 930 taka al mese. Si sono sentiti obbligati a cambiare solfa solo quando i lavoratori del settore sono scesi in strada in massa nel 2006 e hanno chiesto aumenti salariali. Nel 2010 e nel 2013, il salario minimo è aumentato, ma l’aumento appena promesso è un salario da povertà. La revisione del salario minimo in corso sembra aver seguito la stessa traiettoria storica. Il rappresentante dei proprietari delle fabbriche di abbigliamento al Consiglio salariale minimo ha recentemente proposto un aumento di 1060 Tk rispetto al salario minimo esistente di Tk 5300, fissato più di cinque anni fa. Secondo il presidente del Bangladesh Garment Manufacturers and Exporters Associations, hanno proposto Tk 6360 dopo aver considerato l’inflazione, l’aumento dei costi di attività e la competitività del settore nei mercati globali. L’importo proposto di Tk 6360 come salario minimo comprendeva la retribuzione base di Tk 3600, la retribuzione base del 40% come affitto casa, Tk 300 come assegno medico, Tk 240 come assegno di viaggio e Tk 780 come assegno alimentare.

Le organizzazioni per i diritti dei lavoratori hanno immediatamente respinto la proposta sulla base del fatto che non promette nemmeno la paga di povertà per i lavoratori. Dall’ultimo aumento delle retribuzioni nel 2013, il paese ha visto un forte aumento degli articoli alimentari di uso quotidiano, le spese per le utenze sono anche aumentate più volte, aumentando i costi di vita per i lavoratori. I lavoratori hanno accusato la BGMEA di essere entrata nel negoziato per deviare l’attenzione dei compratori e delle organizzazioni sindacali globali sui problemi salariali dei lavoratori e la sua vera intenzione non è quella di migliorare il tenore di vita dei propri dipendenti. La credibilità del consiglio salariale è stata messa in discussione fin da quando è stata costituita nel novembre 2017, quando il ministero del lavoro ha nominato un capo del governo affiliato al partito del lavoro da un altro settore senza esperienza nel settore dell’abbigliamento come rappresentante dei lavoratori. In sostanza, il consiglio manca di vere rappresentanze operaie del settore. Dal rapporto del Bangladesh Institute of Labour Studies risulta che i calcoli del salario minimo si riferiscono più a una questione di negoziazione tra diversi soggetti interessati piuttosto che a un’analisi economica effettiva. Ciò che viene proposto in nome del salario minimo, come suggerito dall’organizzazione per i diritti dei lavoratori, è il salario della povertà.

I giovani lavoratori dell’abbigliamento sono scesi in strada dalla formazione del Consiglio dei salari per chiedere un salario di sussistenza. Come ogni altra protesta nel paese, anche loro furono vittime della macchina repressiva dello Stato. Come parte del movimento salariale minimo in corso per i lavoratori dell’abbigliamento, Bangladesh Garment Workers Solidarity ha pubblicato una ricerca dal titolo “Come sopravvivono i lavoratori?” rivelando la condizione socio-economica dei lavoratori e le loro difficoltà economiche. La ricerca è stata condotta con 200 lavoratori del settore abbigliamento provenienti da sei diverse aree. I risultati sono abbastanza scioccanti, soprattutto perché la nazione è orgogliosa del settore dell’abbigliamento considerato il principale contributore ai nostri proventi da esportazione.

Secondo i risultati della ricerca, che è stata condotta utilizzando metodi sia qualitativi che quantitativi, l’87% degli attuali lavoratori dell’abbigliamento ha meno di 30 anni e solo il 13% supera i 30. Raramente si notano lavoratori che hanno circa 40 anni nel settore dell’abbigliamento. Ogni lavoratore, in media, ha quattro membri della famiglia che risiedono con loro nelle aree di lavoro. Di solito hanno altri membri che soggiornano nelle loro case del villaggio e molti di loro dipendono da loro per il sostentamento. È una grande responsabilità, che sicuramente non può essere sostenibile da questi lavoratori con una retribuzione così bassa.

Quindi quanto guadagnano? Un lavoratore guadagna circa 6055 taka al mese, 1915 taka per gli straordinari e un bonus di 235 taka per essere puntuale; il loro reddito medio mensile rimane a 8200 taka. Il 23 percento del loro reddito va a spese di alloggio, il 28 percento per il cibo, il 17 percento per l’invio di denaro a membri della famiglia che vivono lontani da loro, l’8 percento per i trattamenti; questi sono i principali costi. Il 12 per cento dei lavoratori ritiene che le loro spese siano troppo alte per il loro reddito, il 49 per cento pensa che lo squilibrio sia piuttosto elevato e il 39 per cento pensa che il loro reddito non sia adeguato ma gestibile. Nessuno di loro pensa di essere pagato abbastanza per uno stile di vita sano e dignitoso.

Secondo lo studio, il 92% dei lavoratori deve prendere in prestito denaro quando le loro spese sono più alte del reddito, ma la cosa più spiacevole è che il 68% dei lavoratori taglia il costo del cibo ogni volta che ha bisogno di soldi. Un lavoratore spende circa 1110 taka al mese per il cibo. Secondo uno studio condotto dall’istituto di nutrizione e scienze alimentari dell’Università di Dhaka, un lavoratore ha bisogno di 2800 calorie al giorno per la quantità di lavoro che svolge. Secondo il prezzo di mercato, per gli operai ottenere cibo che fornisca tante calorie costerebbe 109 taka al giorno, cioé 3270 taka al mese. La differenza ci dice che gli operai consumano un terzo della quantità di cibo necessaria di cui hanno bisogno per lavorare bene e rimanere in salute.

Ora, devono sorgere delle domande sul perché un’enorme industria come quella dell’RMG. che sta guadagnando la maggior parte delle entrate nel Bangladesh, non può offrire una vita umana ai suoi lavoratori? È impossibile o è ignorato consapevolmente? Le statistiche dicono che se i proprietari mantenessero un po’ meno l’utile per se stessi e lo distribuissero tra i lavoratori, essi potrebbero migliorare drasticamente la loro vita. Negli ultimi cinque anni, i guadagni medi delle esportazioni dal settore dell’abbigliamento sono 231290 crore di taka. E anche se le entrate aumentano ogni anno, il numero di lavoratori è rimasto lo stesso, ovvero 40.000.000 lavoratori. L’industria spende circa 39360 crore di taka solo per i lavoratori. La ricerca dice che i proprietari guadagnano l’ 8-10% di profitto dall’industria ogni anno. Se i proprietari prendessero la metà del profitto che stanno facendo attualmente, potrebbero aumentare i guadagni dei lavoratori del 21 per cento. Quell’aumento di reddito mensile potrebbe fornire ai lavoratori un salario di sussistenza.

In decine di raduni e riunioni pubbliche, i lavoratori hanno sollevato interrogativi sulla vita lussuosa dai proprietari delle fabbriche mentre loro vivono nella pura e semplice sofferenza. “Mentre voi (proprietari di fabbriche) mangiate la coscia del pollo, noi mastichiamo le sue zampe, i suoi artigli”. Come diceva Marx, il lavoro produce opere di bellezza, consente ai ricchi di acquistare opere di bellezza, guadagnare profitti e così via. Per quanto riguarda i lavoratori? Zampe di pollo e speroni. Per provocare cambiamenti radicali nella società, non c’è alternativa al movimento anarco-sindacalista.

Un compagno del BASF-Bangladesh Anarco-syndacalist Federation

Traduzione a cura di Andres


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