Oramai da qualche mese si sente parlare di un possibile intervento militare in territorio libico per contrastare il fenomeno migratorio. È un intervento fortemente voluto dal governo italiano e che sembra aver trovato una favorevole accoglienza nell’Unione Europea e che tenderebbe a superare l’approccio delle operazioni Mare Nostrum e Triton.
A fine maggio sono usciti su Wikileaks due interessanti documenti [1] che delineano gli aspetti generali della missione e i suoi obbiettivi. Contemporaneamente, secondo l’autorevole quotidiano britannico Guardian[2], sono iniziate le manovre diplomatiche per convincere i membri, sopratutto quelli con potere di veto, del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a dare il suo placet all’operazione.
Nei due documenti i tempi di inizio dell’operazione, divisa in tre diverse fasi, vengono indicati per fine giugno 2015; l’operazione prevede l’uso della forza militare per la distruzione delle organizzazioni dei trafficanti umani e delle stesse imbarcazioni usate per il traffico; l’operazione prevede che ci sia il placet del Consiglio di Sicurezza e/o del governo libico. Tutti questi punti pongono una serie di problemi, problemi che a loro volta indicano la complessità dello scenario del Mediterraneo centro-meridionale.
Innanzi tutto i tempi stretti che vengono indicati: due mesi di tempo (da quando sono stati scritti i documenti) per una complessa opera di diplomazia internazionale tesa ad ottenere il placet ONU per l’operazione e prepararla a livello operativo non sono tantissimi. Ma, sempre sul terreno diplomatico, la partita realmente complessa è quella che riguarda i rapporti con il governo libico. Perchè non esiste un governo unitario ma, in seguito alla guerra civile, il territorio libico si è diviso in due parti controllate da due governi differenti che si dichiarano entrambi leggiti. Ambo i governi, di cui solo uno è riconosciuto dalla comunità internazionale, si sono dichiarati contrari all’intervento europeo e hanno dichiarato che la questione dei flussi migratori è questione interna della Libia, quindi non si capisce come l’UE farà ad ottenere il placet del governo libico.
Altra complessa questione è quella riguardante le reazioni degli altri stati dell’area nord-africana. Qualora vi fosse uno stop, o anche una significativa riduzione, del flusso di migranti passante per la Libia il flusso stesso si sposterebbe sugli altre tre paesi facilmente utilizzabili per il traffico: Algeria, Tunisia, estremamente vicine alla costa italiana, e Marocco, vicinissimo alla costa spagnola e sul cui territorio sono presenti enclavi europee già estremamente fortificate per contrastare l’immigrazione.
È facile immaginare che i governi di questi stati sarebbero ben poco felici di veder trasferire su di sé il flusso migratorio ed è altrettanto facile immaginare che la loro reazione sarebbe l’uso della forza contro i migranti stessi.
Altro possibile canale per raggiungere l’Europa è la “rotta orientale”, quella che passa dalla Turchia e dalla Grecia. E anche qua si aprono altri problemi: l’Europa si troverebbe con il dover gestire la frontiera greco-turca e quindi a dover trattare da un lato con il ben poco conciliante governo turco dell’AKP e dall’altro con il governo greco di Syriza che è al completo sbando finanziario, e in forte divergenza con i principali paesi UE, e non sarebbe in grado di affrontare da solo l’emergenza che acuirebbe il già forte flusso migratorio nel paese ellenico.
Altra questione è l’operazione in sé e per sé: l’operazione avrebbe il compito di andare a distruggere i vascelli utilizzati dai trafficanti e di dare un colpo fatale alle organizzazioni degli stessi. Ma i vascelli usati dai trafficanti sono vascelli acquistati giorno per giorno dai pescatori libici e usati per un solo viaggio. Come fare, quindi, a mettere fuori gioco questi vascelli nella breve finestra di tempo tra la scoperta degli stessi e l’imbarco dei migranti? E come fare, prendendo per buono l’obbiettivo dichiarato dall’UE, a garantire anche la vita dei migranti? Sono due obbiettivi inconciliabili data anche la difficoltà a costruire un’efficiente e affidabile rete di intelligence in uno scenario con moltissimi attori come quello libico. In questa fase, tra l’altro, è previsto anche l’uso di forze anfibie, sconfessando quindi quanto più volte dichiarato dagli esponenti degli organi UE a riguardo del fatto che non ci sarebbero stati “boots on the ground”. E tutto questo ovviamente espone gli stessi soldati europei a rischi in quanto è facile immagine che qualcuno mal accetterà l’intervento straniero in Libia. Inoltre i danneggiamenti alle infrastrutture dei porti porterà ad un ulteriore stretta sulle condizioni di vita delle popolazioni locali la cui economia si basa sul commercio ittico: bel modo per generare ulteriori profughi.
Insomma un’operazione militare tutt’altro che semplice e tutt’altro che tesa a salvaguardare le vite dei migranti e dei civili libici.
Un’operazione che fa anche riflettere sulla totale idiozia delle classi dirigenti europee: prima fanno accordi con Gheddafi per ridurre i flussi migratori, cosa effettivamente avvenuta, poi quando è diventato impresentabile agli occhi del mondo lo scalzano, 2011, gettando il paese nel caos e infine devono trovare il modo intervenire direttamente quando la situazione si fa intollerabile sia dal lato dei flussi migratori che dal lato del rischio per le infrastrutture di proprietà di aziende europee presenti in Libia, pensiamo ai terminal gas-petroliferi e ai campi di estrazione stessi. E d’altra parte una possibile chiave di lettura sulle motivazioni di questo possibile intervento potrebbe passare anche da qua: oltre a colpire il flusso migratorio sarebbe interesse europeo anche mettere in sicurezza il flusso di combustibile dalla Libia, sopratutto in un momento in cui i bassi rapporti con la Russia potrebbero innescare un problema sulla questione vitale dell’approvvigionamento energetico.
Tanto per aggiungere un ulteriore elemento di analisi: il flusso migratorio che vediamo adesso ha come suo più vicino corrispettivo storico nell’area occidentale-mediterranea solo quello del periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale [3].
Infine alcune considerazioni sul ruolo italiano in questa vicenda. Renzi e, sopratutto la sua donna di fiducia in Europa, Mogherini, hanno mostrato di saper giocarsi la partita a livello europeo. Ma al contempo vengono evidenziati tutti i limiti dell’Unione Europea stessa che si trova a dover organizzare un intervento raffazzonato, di dubbia riuscita, con costi non ancora calcolabili, che rischia di rimettere in discussione i rapporti con vari paesi e primo nel suo genere: nei fatti un’operazione militare squisitamente a guida UE non si è ancora avuta. In ambito interno dell’Italia il dato che emerge è che il PD è disposto a fare quello che i leghisti, nelle loro sparate fascistoidi e propagandiste, proponevano già quindici anni fa: sparare sui barconi e fermare i flussi manu militari. È forse un caso che la propaganda leghista per l’ultima tornata elettorale si sia spostata sui nemici interni, individuati in sinti e rom?
Il Partito Democratico si dimostra ancora una volta all’avanguardia nel famoso sport tipico di tutti i governi centro-sinistri di superare a destra quanto proposto, vagheggiato e sognato, dai precedenti governi di centrodestra.
lorcon
[1] https://wikileaks.org/eu-military-refugees/PMG/page-1.html
[2] http://www.theguardian.com/world/2015/may/13/migrant-crisis-eu-plan-to-strike-libya-networks-could-include-ground-forces e http://www.theguardian.com/world/2015/may/10/libya-people-smuggle-military-action-not-stop-multifaceted-trade
[3] http://www.theguardian.com/world/commentisfree/2015/jan/03/arab-spring-migrant-wave-instability-war
Per un ulterio approfondimento della vicenda consiglio di sentire la mia chiaccherata di venerdì mattina ai microfoni di Anarres, trasmissione informativa di Radio Blackout. La registrazione del mio intervento della puntata la potete trovare su anarres-info.noblogs.org