Una risoluta ritirata

La guerra in Afghanistan, in cui anche l’Italia è coinvolta dal 2001, anche se appare derubricata rispetto ad altri conflitti globali anti-terrorismo contro nuove entità nemiche della civiltà, è ancora aperta e la Camera ha dato da poco via libera al rifinanziamento delle operazioni militari e di polizia all’estero, compresa la missione in Afghanistan per la quale verranno destinati ulteriori 185 milioni di euro, in aggiunta ai 245,5 milioni stanziati per il primo semestre dell’anno.

Anche se è in corso il ritiro di gran parte delle truppe e dei mezzi italiani, in realtà non esistono effettive premesse per uno scenario diverso da quello di una guerra destinata a continuare con differenti modalità d’intervento ed occupazione militare, in un contesto geopolitico in continua evoluzione contrassegnato dal moltiplicarsi delle zone di guerra.

Infatti, aldilà delle proclamate intenzioni dell’amministrazione Obama, la presenza militare degli Stati Uniti e della Nato è già pianificata ancora per un periodo senza un termine preciso. L’ultimo annuncio a riguardo del presidente Usa è dello scorso maggio, dopo una visita-lampo nella base di Bagram, quando prospettò il ritiro da completarsi entro la fine dell’anno delle restanti truppe statunitensi (circa 32 mila unità), ad esclusione di 9.800 militari incaricati di provvedere all’addestramento dell’esercito governativo afgano e condurre operazioni contro i terroristi di Al Qaeda.

In questo compito, i reparti Usa sarebbero affiancati da analoghi ridotti contingenti specializzati della Nato, compresi 800/900 “consiglieri militari” italiani, anche se l’esito incerto delle prossime elezioni presidenziali a Kabul e il precipitare della situazione in tutta l’area, destabilizzata dall’offensiva delle armate islamiste e dalle guerre civili in atto, potrebbe indurre a sostanziali cambi di programma, con una diversa suddivisione dei compiti di controllo e contrasto armato al variegato fronte anti-occidentale.

Comunque vada, tale operazione, denominata “Resolute Support”, prevede la permanenza di circa 10/12 mila militari, con le truppe americane concentrate a Kabul e Bagram, mentre Germania e Italia manterrebbero le basi occupate attualmente a Mazar-i-Sharif ed Herat schierandovi contingenti inferiori ai mille militari per un costo annuo stimato per l’Italia in 250/300 milioni di euro.

Ulteriori oneri saranno necessari per compiere il recupero degli uomini (ancora circa 2 mila) e il loro trasferimento in Italia con navi e aerei, nell’ambito dell’operazione “Itaca 2”, di 11.700 tonnellate di equipaggiamenti, camion, blindati, elicotteri, armi, munizioni; un trasloco che, peraltro, non appare esente da rischi come si è sperimentato nello scorso maggio, quando il mercantile Altinia, carico di camion, autogru, autoblindo Lince e Freccia, è rimasto alla deriva per giorni nel golfo di Aden dopo che era stato abbandonato dall’equipaggio a seguito di un grave incendio scoppiato a bordo.

Secondo quanto riportato dalla stampa, il ministero della difesa prevede che complessivamente saranno necessari una decina di viaggi per riportare in Italia tutti gli equipaggiamenti presenti ancora in Afghanistan. L’utilizzo degli aerei cargo fino al Golfo Persico e da là delle navi civili noleggiate comporterà costi elevati, stimati in circa 100 milioni di euro, che potrebbero lievitare di circa il 20 per cento in caso di annullamento dell’operazione “Resolute Support” e il conseguente completo ritiro di tutte le forze alleate – e quindi anche italiane – dall’Afghanistan entro dicembre, se il prossimo governo afgano non sottoscrivesse il previsto accordo politico-militare, già rifiutato dal presidente Karzai.

In ogni caso, è facile prevedere che nei prossimi mesi, l’intervento militare italiano più rilevante e lungo dalla fine della Seconda guerra mondiale, con oltre cinquanta militari deceduti, tornerà agli onori della cronaca nel tentativo di motivare quella che è stata una guerra non vinta in cui si sono state bruciate numerose Finanziarie, senza che i diversi governi che si sono succeduti incontrassero alcuna reale opposizione né dentro né fuori dal parlamento.

Un’anticipazione del prevedibile registro propagandistico ce l’ha già offerta mesi addietro una testata non solitamente dedita ad occuparsi di politica internazionale: La Gazzetta dello Sport che, citando il generale della Nato Giorgio Battisti, ha intitolato: L’orgoglio d’Italia: «Lasciamo un Paese uscito dal medioevo».

Invariata arroganza suprematista per l’epilogo di un altro disastro coloniale, disseminato di crimini militari.

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