Truffa continua

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In queste settimane, il tormentato percorso della legge di stabilità sembra aver raggiunto un primo punto fermo con l’approvazione al Senato del maxiemendamento che sostituisce completamente il disegno di legge preparato dal Governo.
Con questa manovra parlamentare, il Governo ha fatto propri gli emendamenti al testo approvati nelle commissioni, ma ha al tempo stesso ammesso che il suo lavoro era gravemente deficitario e incoerente. La politica del fare, tanto osannata da Renzi, si rivela, in ogni occasione di una certa rilevanza, come i padiglioni dell’Expo, un inganno per gli occhi.
Il maxiemendamento non cambia la sostanza della legge, da segnalare comunque l’elevazione dall’aliquota IVA al 5%, per alcune prestazioni delle cooperative sociali, campanello d’allarme su dove il Governo tornerà a colpire in caso di mancanza di fondi.
La sostanza, comunque, non muta e il Governo continua a parlare di un cambio di segno, da una politica economica preoccupata unicamente della stabilità dei conti, ad una pronta ad approfittare di tutti i margini di manovra disponibili per sostenere la ripresa economica. L’audizione della Corte dei Conti ci aiuta a comprendere l’impatto macroeconomico del disegno di legge. Il quadro delineato dalla magistratura contabile è quello di una crisi non ancora superata, anche se in presenza di segnali incoraggianti. La principale preoccupazione della Corte, in questo quadro, è che un’interruzione della ripresa in atto abbia implicazioni sulla sostenibilità del debito. Si tratta di un assist alla linea di fondo della legge di stabilità, che verrà descritta più oltre, ma che ritengo ingiustificato. Infatti, di fronte ad una massa del debito come quello che grava sul pubblico erario italiano, i pericoli non vengono solo dall’interruzione della crescita, ma anche da una crescita che porterà prima o poi ad un aumento dei tassi d’interesse, non compensati da un analogo andamento del Prodotto Interno Lordo e del gettito fiscale. Si tratterà allora ancora una volta di taglieggiare gli scarsi redditi dei ceti popolari, per garantire il pagamento delle cedole ai rentier, i percettori d’interessi, e agli speculatori.
Ma qual è la linea di fondo del disegno di legge? Il governo si è preoccupato di adeguare la politica fiscale e la strategia di rientro dal debito alle esigenze di accumulazione del capitale; il governo ha infatti adottato misure espansive, rallentando la convergenza verso l’equilibrio dei conti. Qui, secondo me, sta il cuore della manovra. Il governo riuscirà, secondo le teorie del deficit spending, a stimolare una crescita economica che si tradurrà in un beneficio per tutti i cittadini? Questa domanda porta a quella più generale: l’azione del governo in campo economico può mai tradursi in un beneficio per tutti i cittadini, e in particolar modo per quelli più svantaggiati? Da parte degli anarchici, la risposta a questa domanda non può che essere negativa; lo scheletro teorico però – lo Stato, il Governo sempre e comunque agiscono a danno degli sfruttati e dei ceti popolari – deve essere rivestito di carne e sangue, deve essere capace di interpretare la realtà concreta ed essere di guida alla sua trasformazione. Per questo è importante capire in che modo il governo finisce comunque per peggiorare le condizioni dei proletari, per smascherare la falsa opposizione di chi chiede maggiori investimenti, senza porre il problema della proprietà, monopolio di una ristretta cerchia di privilegiati, e del potere, concentrato nella struttura burocratica e gerarchica dello Stato.
Il Governo ritiene che le misure previste dalla legge di stabilità porteranno ad un maggior aumento del PIL nei prossimi quattro anni dello 0,9%. La Corte dei Conti, nella sua audizione, afferma che istituti indipendenti stimano che nei quattro anni il PIL si manterrebbe, dopo l’attuazione della manovra, ben al di sotto di quanto previsto da Governo.
L’affermazione più preoccupante è che l’indebitamento dello Stato, nella previsione dei tre istituti, crescerebbe ad una media dello 0,8% annuo che, cumulato nei quattro anni, porterebbe ad un aumento del debito del 3,2%. In altre parole, in dati percentuali, per ottenere un aumento del prodotto interno lordo dello 0,9% annuo – che ricordo, è sempre la stima ottimistica del Governo – , lo Stato si deve indebitare del 3,2%. E’ così? C’è uno sbaglio? Ha sbagliato la Corte dei Conti? Ha sbagliato il Governo? Quello che è certo, è che se qualcuno ha sbagliato, a pagare saremo sempre noi.
Ma ancora più sconcertante appare la manovra se dalle percentuali si passa ai valori assoluti. Il prodotto interno lordo dell’Italia nel 2014 è stato di 1.542 miliardi di euro; se le previsioni ottimistiche del Governo si avverano, alla fine dei quattro anni il PIL dovrebbe aumentare di 13 miliardi e 878 milioni. Il debito pubblico a fine 2014 ammontava a 2.134 miliardi di euro; alla fine dello stesso periodo, un aumento dell’indebitamento del 3,2% si tradurrebbe in 68 miliardi di debito in più. La cifra può apparire spropositata, rispetto al beneficio, ma è solo una parte del crescente peso dello Stato sulla popolazione; infatti, nei primi nove mesi dell’anno, senza manovra, il debito pubblico è aumentato fino a 2.192 miliardi; cioè 68 miliardi in soli nove mesi!
Tutto il meccanismo, ad un profano delle regole della contabilità della pubblica amministrazione, appare come economicamente squilibrato, cioè dove i benefici attesi sono ben piccola cosa rispetto all’indebitamento certo, e ai conseguenti costi, quando non una vera e propria rapina a mano armata.
Quanto può durare questo andazzo? Negli ambienti governativi, a Parigi come a Roma e a Bruxelles, c’è chi ha visto nelle recenti stragi di Parigi e nella risposta militare scelta dal governo francese, un’occasione per sforare i limiti del patto di stabilità. Alle stragi quindi seguono le abbuffate dell’oligarchia finanziaria, e su tutto lo stato di guerra impedisce a tanti di far sentire la propria voce.
Questo è il quadro delle democrazie.
Tiziano Antonelli

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