Transizione libertaria o dittatura? All’arrembaggio del futuro – parte 4^

Il Quinto Stato di Hernán Chavar

Prima parte: https://umanitanova.org/allarrembaggio-del-futuro-necessita-e-problemi-del-superamento-del-capitalismo/

Seconda parte: https://umanitanova.org/allarrembaggio-del-futuro-2-parte/

Terza parte: https://umanitanova.org/allarrembaggio-del-futuro-3-parte/

Riprendo le mie riflessioni sulla transizione ancora una volta a partire da Ernest Mandel. Nel suo testo l’autore si pone il problema del rapporto tra la crescita della produzione del settore dei beni di produzione e la crescita della produzione di quello dei beni di consumo. Mandel critica la scelta della dirigenza stalinista dell’Unione Sovietica, che si è data l’obiettivo di uno sviluppo più rapido del settore dei mezzi di produzione rispetto a quello dei beni di consumo ed è arrivata addirittura in epoca krusceviana a farne una legge scientifica dell’economia della fase di transizione.

A questo proposito Mandel cita un passo di Charles Bettelheim, tratto dalla sua opera “Problemes du developpement economique”:

«Queste trasformazioni possono aver luogo con la rapidità voluta, nonostante gli interessi che vi si oppongono, solo se l’azione dello Stato opera realmente in questa direzione e se questa azione è potentemente sostenuta dalle forze sociali che dovranno trarre beneficio dallo sviluppo economico. E questo appoggio sarà dato con il vigore necessario solo se coloro che debbono trarre beneficio dallo sviluppo economico constatano sin dall’inizio che la politica economica che viene praticata comporta per essi vantaggi reali».

Mandel prosegue, collegando la scelta della industrializzazione accelerata staliniana all’affermazione della casta burocratica in URSS, al crescente autoritarismo dello stato e al peggioramento delle condizioni di vita dei produttori. Ogni aumento del fondo di accumulazione – afferma – costituisce una rinuncia relativa in termini di consumo delle classi lavoratrici: le risorse impiegate per la costruzione di macchine avrebbero potuto essere adoperate per produrre beni di consumo.

In un’economia pianificata in modo burocratico e centralizzato è il governo a determinare arbitrariamente il tasso dell’investimento da cui dipende il volume del consumo reale delle masse. In questo modo vengono imposti sacrifici alle masse senza che queste siano state interpellate, senza ottenere preliminarmente il loro consenso, come nel capitalismo. Un sistema di gestione di questo tipo è contrario agli scopi del socialismo e porta, aggiungo io, inevitabilmente alla rinascita del capitalismo. Esso investe del potere di controllo sul sovraprodotto sociale solo l’amministrazione centrale, politica, economica e militare. Di conseguenza assicura a questa amministrazione il potere di controllare e subordinare a sé tutta la società. Il culto della personalità non era che lo sbocco finale di un simile potere arbitrario della burocrazia sull’economia e sull’intera società.

È del resto inevitabile che in una situazione di penuria ancora accentuata, una simile concentrazione del sovraprodotto sociale nelle mani di una amministrazione centrale comporti la concessione ai suoi membri di notevoli privilegi.

Sostiene lo stalinista Maurice Dobb: “Se la decisione che riguarda la suddivisione del plusvalore ricavato tra il consumo e l’investimento è la decisione cruciale per la determinazione del tasso di sviluppo di un’economia, ne consegue che chiunque prenda questa decisione si trova in una condizione di consumatore privilegiato, in qualunque senso prenda la sua decisione. Questa condizione di consumatore privilegiato deriva direttamente dalla funzione strategica che hanno in un’economia le persone che prendono queste decisioni”.

Rivoluzionare la struttura economica e sociale si traduce in pratica nella possibilità, per i diretti interessati, di prendere le decisioni riguardo la destinazione delle risorse disponibili per il consumo potenziale; questo è quello che il movimento anarchico intende per socialismo. Affidare queste decisioni ad una struttura di dominio centrale e alla burocrazia che ne discende è del tutto contrario al socialismo.

Queste riflessioni mostrano ancora di più la loro insufficienza rispetto al momento attuale: esse sono basate su una concezione produttivista che appare attualmente generare molti più problemi di quanti ne risolva. Questa concezione è d’altra parte condivisa da alcuni autori classici dell’anarchismo.

L’enorme sviluppo delle forze produttive che si è realizzato nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici pone problemi di sopravvivenza alle stesse forze produttive. Il problema non è solo garantire la soddisfazione dei bisogni dell’umanità, ma anche garantire la sua sopravvivenza e il mantenimento dei presupposti dell’esistenza dell’umanità. La crisi ecologica minaccia le fonti delle forze produttive, l’umanità, da cui esce la forza-lavoro, e la natura, da cui escono quei beni coinvolti nel ricambio organico fra umanità e natura. Questa crisi ecologica è il risultato dei rapporti di produzione.

La concezione per cui la fase di transizione è la fase in cui vengono sviluppate le forze produttive per il successivo passaggio al comunismo, alla società dell’abbondanza, deriva direttamente dal caposaldo della concezione materialista della storia per cui “nella produzione sociale della loro esistenza, le persone entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo” (Carlo Marx, Prefazione a “Per la critica dell’economia politica”).

È possibile rintracciare questa tendenza nei grandi sconvolgimenti della civiltà, ma i socialisti autoritari hanno dato a questa concezione lo status di legge obiettiva, scientifica, su cui hanno poggiato il loro “socialismo” scientifico e che hanno cercato di applicare ogni volta che hanno conquistato il potere: se i vecchi rapporti di produzione capitalistici erano catene allo sviluppo delle forze produttive, i nuovi rapporti di produzione avrebbero dovuto dar vita ad un prodigioso sviluppo delle forze produttive che avrebbe condotto in breve tempo, nel giro di una o due generazioni, all’età dell’abbondanza, al comunismo. E questa non fu solo la visione di Stalin, ma fu condivisa anche da Lenin e da Trotzkij, dalla Seconda Internazionale fino alla prima guerra mondiale, ed è condivisa, anche se con qualche attenuazione, dal nostro Ernest Mandel.

Ora, pensare alla fase di transizione come ad una fase di sviluppo della produzione avrebbe come conseguenza la continuazione della spoliazione delle aree arretrate da parte delle aree avanzate, così come l’aggravamento della crisi climatica e il peggioramento delle condizioni di vita delle grandi masse. Come ho notato sopra, i rapporti di produzione capitalistica minacciano l’esistenza stessa delle forze produttive, minando le loro fonti, con l’espansione della produzione per la produzione. È questo processo che va interrotto, portando la produzione sotto controllo, destinandola al soddisfacimento dei bisogni sociali e non al profitto privato.

Le problematiche attuali mettono in evidenza il duplice errore di Marx e del marxismo. Innanzi tutto aver dato ad una tendenza la forza di una legge di natura, da applicare in ogni tempo ed in ogni luogo senza tener conto delle condizioni oggettive e senza tener conto dei rapporti di dominio estranei alla sfera economica, come ad esempio i rapporti di dominio politici che danno vita al governo e allo Stato, e che hanno avuto un ruolo tanto importante nel soffocamento della Rivoluzione Russa e nella sconfitta militare della Rivoluzione spagnola.

In secondo luogo, la formulazione della citazione è ambigua: Marx afferma che i rapporti di produzione si identificano con i rapporti di proprietà e al tempo stesso che i rapporti di proprietà sono solo la forma giuridica dei rapporti di produzione – “…i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica)” -. Se noi pensiamo alla società attuale, vediamo che il rapporto di produzione capitalistico informa di sé non solo i rapporti di proprietà ma le stesse forze produttive: l’organizzazione del processo lavorativo, la tecnologia, la divisione del lavoro e la sua mediazione monetaria maschera i rapporti tra le persone con rapporti di valore, con rapporti fra cose. Il sistema creditizio e i rapporti di debito che ne derivano sono il tabù degli attuali rapporti di produzione, riducendo la parte sfruttata dell’umanità a lavorare in condizioni di schiavitù a beneficio della minoranza privilegiata. Non solo i rapporti giuridici, non solo l’ideologia, ma anche i rapporti interpersonali, i sentimenti e le emozioni sono condizionati dai rapporti di produzione, dal totem della produttività e del prodotto interno lordo, dalla rincorsa verso l’accumulazione.

Il marxismo ha dovuto aspettare gli anni ‘60 del secolo scorso, la Rivoluzione culturale, la messa in discussione degli esperti, la battaglia contro il confucianesimo e le concezioni tradizionali della burocrazia cinese per capire che la tecnologia non è neutrale ma, come la scienza, fa parte integrante dell’ideologia dominante.

Anche l’anarchismo classico ha condiviso con il marxismo l’identificazione dei rapporti di produzione con i rapporti di proprietà ma, diversamente da questo, non ne ha fatto una legge assoluta. Inoltre l’anarchismo non rinvia al futuro l’abolizione dello Stato, dell’organizzazione autoritaria del processo lavorativo, dei rapporti monetari e della divisione del lavoro, anche quella su base di genere; pone alle forze rivoluzionarie il problema di costruire fin da subito rapporti sociali alternativi a quelli capitalisti, creando le condizioni, anche attraverso la libera sperimentazione di forme di produzione, di distribuzione e di consumo e di forme di organizzazione della società, per l’eliminazione dei rapporti sociali e interpersonali basati sulla sopraffazione, nelle varie forme in cui essa si presenta, anche quella patriarcale.

Fino a che la produzione dominerà la società continuerà ad esistere la divisione del lavoro in base al genere e il patriarcato che ne è l’espressione, continueranno ad esistere le basi sociali del maschilismo; fino a che lo sviluppo delle forze produttive sarà al centro, sarà al centro anche il rapporto binario che permette la riproduzione di chi fornisce la capacità lavorativa. La liberazione delle soggettività non binarie e fluide può avvenire solo in una società che ponga al centro il consumo e non la produzione, che permetta la soddisfazione dei bisogni sociali, l’educazione dell’infanzia, l’istruzione, la sanità, l’assistenza all’interno della collettività e non all’interno della famiglia, minandone le basi.

Se questo non avviene, se ci limiteremo alla socializzazione dei grandi mezzi di produzione e di scambio rischiamo di avere una società dei produttori che riproduce a livello sociale i modelli della società autoritaria e capitalista. L’emancipazione della classe operaia non sarà accompagnato dall’emancipazione dell’intera umanità.

L’autogestione del processo lavorativo da parte dei produttori si deve quindi accompagnare alla gestione collettiva, cioè da parte dell’intera società, dalla rete di collettivi e di organismi territoriali, funzionali, produttivi che si formeranno nei giorni immediatamente precedenti e seguenti l’insurrezione vittoriosa. Sulla base della formazione e dell’ampliamento degli organismi basati su rapporti sociali liberi e solidali è possibile ridurre il peso della violenza e dell’appropriazione nella mente delle singole persone, in un processo di continua sperimentazione e discussione orizzontale. Un processo che deve iniziare subito e svilupparsi con la rivoluzione, senza aspettare una mitica età dell’abbondanza, per avere successo. Questo per me è il comunismo, questa per me è l’anarchia.

Tiziano Antonelli

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