Solidarietà sanitaria in Rojava

Il 9, 10 ed 11 novembre 2018 si è tenuta all’ex Asilo Filangieri di Napoli la tre giorni di Arte e Cultura Anarchica, che ha visto la partecipazione di oltre un migliaio di persone. Il 9 pomeriggio si è tenuta, a cura di Norma Santi ed Ennio Carbone, una partecipata conferenza sulla Solidarietà Internazionale con il Rojawa e sulla Staffetta Sanitaria di Medicina Preventiva e l’Accademia Medica della Mesopotamia. Quella che segue è la trascrizione di Enrico Voccia dell’intervento di Ennio Carbone, non rivisto dall’autore: ogni eventuale errore e/o imprecisione non gli è pertanto ascrivibile.

Innanzitutto grazie alle compagne ed ai compagni del Gruppo Mastrogiovanni della FAI di Napoli che hanno organizzato questa tre giorni e ci hanno invitato a parlare di questa esperienza di solidarietà fattiva nei confronti della Rivoluzione del Rojawa. Vorrei parlare appunto, partendo dalla mia esperienza, di quella che può essere un meccanismo di solidarietà diretta nei confronti di questa esperienza utilizzando gli strumenti e le conoscenze che si hanno a disposizione.

Io lavoro con la Staffetta Sanitaria che è una struttura della Mezzaluna Rossa Kurda e sono due anni che stiamo seguendo diversi progetti. Ho deciso di spendere così parte del mio tempo in virtù della mia formazione politica e dell’ammirazione che ho nei confronti di questo esperimento di applicazione delle teorie libertarie in un vasto tessuto sociale, una sorta di “empirismo anarchico” che l’intervento di Norma [NdR: vedi il numero scorso di Umanità Nova] ha così ben descritto, soprattutto per ciò che concerne l’influenza del pensiero di Murray Bookchin sull’esperienza rivoluzionaria in atto.

Leggere il testo di Ocalan “Oltre lo Stato, il Potere e la Violenza” è stata per me una vera sorpresa, vedendo la radicale trasformazione di quelli che ricordavo come dei marxisti leninisti fortemente autoritari, che adesso riprendevano le tesi del Bookchin anarchico, influenzato da Kropotkin e da Emma Goldman, e li stavano validando in un’esperienza concreta su discreta scala. Tra l’altro, mi sono divertito a contare nel testo di Ocalan le citazioni dei classici del marxismo e quelle dei pensatori anarchici come Kropotkin, ecc.: quest’ultime erano poche ma tutte in positivo, le prime, invece, erano a decine ma tutte, dico tutte, in negativo – al chè ho capito che questo era un testo rivolto innanzi tutto all’interno del movimento kurdo per supportare la svolta in senso libertario del movimento stesso: un tentativo che è riuscito decisamente bene, visti i risultati sul campo.

Dall’inizio della rivoluzione ad oggi – basta osservare una cartina in merito – i territori del nord siriano, il Rojawa appunto, liberati dall’ISIS si sono sempre più ampliati e con essi lo spazio territoriale ed umano della rivoluzione: questo per me significa due cose.

La prima è che il progetto politico libertario di Ocalan ha un forte potere attrattivo nei confronti di tutte le etnie della regione, risulta vincente e riesce a mobilitare masse di uomini e donne anche contro un esercito ben armato e feroce e questo potere attrattivo spiega anche il comportamento della Turchia – prima con l’attacco al cantone di Afrin e recentissimamente con il rinnovo del bombardamento di Kobane – che teme appunto la forza propulsiva di un esperimento rivoluzionario che ha raggiunto i 50.000 chilometri quadrati e due milioni e mezzo di abitanti.

La seconda cosa è legata alla prima: si tratta di una rivoluzione fortemente multietnica, che è stata capace di rompere gli steccati culturali ed ha fatto cooperare tutti sinergicamente per la realizzazione sia della difesa dal fascismo islamico, sia per la realizzazione di una società basata sull’autogestione, l’antiautoritarismo, l’antimilitarismo e l’uguaglianza sociale e di genere – altro aspetto davvero rivoluzionario, dato il contesto.

È oramai noto come tanti compagni anarchici sono scesi direttamente in campo nel Rojawa a favore della Rivoluzione nelle Brigate Internazionali. Nei contatti che abbiamo ora, però, i compagni ci dicono che certo i successi militari sono importanti, ma per quello bastano loro: dobbiamo dare solidarietà, invece, alla modalità di gestione diretta dei territori liberati, permettergli di offrire alla popolazione una qualità di vita elevata e superiore alla precedente, per mostrare la superiorità del socialismo libertario. Ci chiedono, in particolare, solidarietà per aiutarli in questi tre campi: salute, educazione, trasporti. Noi che abitiamo in Occidente sappiamo come i governi hanno trattato questi tre campi negli ultimi anni: in Rojawa, invece, pur nella situazione di guerra, si sta facendo di tutto per migliorare ed espandere questi tre beni collettivi.

Entriamo nel vivo della mia esperienza. Subito dopo il colpo di Stato di Erdogan del 2016 è partita una forte repressione, non solo nei confronti dei Kurdi, ma in generale di tutta l’opposizione di sinistra che vede coinvolti anche giornalisti, magistrati ed accademici: la Rete Kurdistan lancia allora un appello agli accademici di tutto il mondo affinché sottoscrivano un appello contro Erdogan ed a favore dei loro colleghi incarcerati. Insieme ad una settantina di colleghi ho firmato quest’appello e sono iniziate così una serie di contatti volti appunto a supportare la Staffetta Sanitaria per il Rojawa – cosa che mi è stata particolarmente congeniale data la mia specializzazione accademica [NdR: Ennio Carbone è un medico, docente universitario di Immunologia].

Il primo progetto che ho curato è stato quello di Medicina Preventiva. I compagni kurdi mi chiesero di intervenire contro un’epidemia infettiva di Leishmaniosi, causata dal proliferare del protozoo responsabile della malattia nei cantoni del Rojawa appena liberati; io ho pensato e costruito una strategia di prevenzione basata su una serie di cartelli con una grossa parte grafica e tradotti in kurdo ed arabo, che sono stati riprodotti ed affissi un po’ ovunque nei tre cantoni del Rojawa. In questo modo la popolazione è stata informata ed ha immediatamente applicato i metodi di prevenzione della malattia, una zoonosi altamente debilitante e con esisti spesso mortali, specie in età pediatrica. Una zoonosi significa che c’è un animale che fa da incubatore biologico – in questo caso cani e gatti – ed un animale vettore – in questo caso la zanzara – che trasmette il parassita alla popolazione umana.

I cartelli spiegavano sia come prevenire la malattia, sia come riconoscerne da subito i sintomi per potersi rivolgere tempestivamente alle autorità sanitarie ed entravano nel dettaglio di come impedire il proliferare delle zanzare, di come distruggerle e con quali metodi, di come utilizzare e trattare le zanzariere, su come evitare che l’acqua piovana raccolta diventi ricettacolo di zanzare, ecc. La campagna, fortunatamente, ha avuto successo nel limitare l’epidemia in corso e, paradossalmente, il grosso delle informazioni su cui è stata costruita deriva da fonti mediche dell’esercito statunitense liberamente presenti in rete, che ci tiene ad istruire le sue truppe mandate in giro per il mondo su come restare in buona salute…

Galvanizzati da questo primo successo, ci è stata fatta immediatamente una seconda richiesta. Di fronte alla difficile situazione sanitaria in Rojawa – un medico ogni venticinquemila abitanti che deve far fronte, oltre all’ordinario, ai problemi derivanti dalla guerra e all’afflusso di profughi dalle zone controllate ancora dall’ISIS o dal suo alleato, lo stato Turco – ed alla volontà di cui abbiamo parlato di voler giungere ad un’assistenza sanitaria la migliore possibile, ci è stata fatta la richiesta di supportare la didattica delle neonate tre università del Rojawa, specialmente ed ovviamente in campo medico-sanitario.

Va tenuto presente – ed anche questo è indice della volontà rivoluzionaria di migliorare il tenore di vita della popolazione – che prima della Rivoluzione non esistevano università nel Rojawa. Oggi ce ne sono tre: una di queste è l’Università di Scienze Sociali della Mesopotamia – con la quale insieme ad Enrico Voccia abbiamo una serie di idee per permettere la collaborazione a questo processo di solidarietà anche a compagni di diversa formazione accademica. Va detto che di quella di Afrin non si hanno più notizie dopo l’attacco turco, mentre io collaboro strettamente con quella di Kobane, l’Università Medica della Mesopotamia che, come quelle di Scienze Sociali esiste ancora ed anzi è in espansione.

Il mio contributo all’Università Medica della Mesopotamia iniziò ricontattando i settanta firmatari della petizione di cui ho parlato prima per vedere se era possibile procurare laboratori di biologia, microbiologia e di istologia per la didattica. Purtroppo questa chiamata alla solidarietà è caduta quasi nel vuoto, ma evito di commentare in questa sede la cosa. Per fortuna, invece, la Mezzaluna Rossa di Livorno, che ha ottimi contatti con i lavoratori del porto di Livorno, in collaborazione con il Gruppo Germinal della FAI di Trieste, è riuscita a procurarsi in una clinica privata una serie di strumentazioni revisionate e perfettamente funzionanti come una centrifuga refrigerata, una cappa a flusso laminare, ecc. che ora si trovano in un container del porto di Livorno in attesa che si creino le condizioni per il loro trasporto in Rojawa. Quando giungeranno, formeranno il primo laboratorio didattico dell’Università Medica della Mesopotamia.

In questo periodo abbiamo avuto una serie di scambi con i colleghi del Rojawa. Di fronte alla urgenza di formare personale medico-sanitario, si è dovuta abbandonare l’idea iniziale di un percorso di studi di sei anni che avrebbe permesso il mutuo riconoscimento a livello internazionale, a favore di un corso condensato in soli quattro anni (per gli infermieri un training di sei mesi, obbligatorio anche per gli aspiranti medici). Purtroppo così facendo si è dovuto rinunciare all’idea di un interscambio di docenti e studenti tra le università del Rojawa e quelle europee e statunitensi, che seguono lo standard esaennale.

Ci sono poi altre caratteristiche distintive dell’insegnamento della Medicina nei territori liberati del Rojawa. La prima grossa particolarità è l’enfasi sulla Medicina Preventiva: mentre nelle università occidentali esiste solo l’insegnamento di Igiene che cerca di affrontare quest’aspetto della Medicina e non è certo tra i fondamentali, questo è invece il tema portante dei quattro anni di insegnamento della Medicina nelle università del Rojawa. Tra l’altro questo è un ritorno alle origini della Medicina scientifica – si pensi all’opera di Pasteur, di Virchow, ecc. basata sull’opera di sanificazione delle acque, separazione delle acque bianche dalle acque nere, sulle vaccinazioni, ecc. Insomma il successo della Medicina moderna è stata in gran parte fondato sulla prevenzione delle malattie, al contrario di oggi che predilige l’intervento a valle e suscita un grosso interesse farmacologico ed interventistico che, di là della sua efficacia, è certamente molto più legato a logiche di mercato. I colleghi del Rojawa si rifanno a questa tradizione, anche in vista della loro volontà di trasformazione sociale.

Altro aspetto caratterizzante è l’intervento di Medicina sociale basato sul principio che la salute viene prima della produzione e mette in discussione tutte quelle attività produttive che portano a malattie professionali. Altro momento assai interessante è il recupero, supportato però da tutte le conoscenze della Medicina scientifica, di determinati trattamenti della Medicina popolare che non vengono esclusi a priori ma, appunto, analizzati alla luce delle conoscenze moderne. V’è poi il rifiuto del tradizionale esame di profitto, ritenuto inquisitivo e sostanzialmente inutile, sostituito da prove pratiche in corsia: se lo studente si mostra in grado di fare una diagnosi corretta, di intervenire chirurgicamente e/o farmacologicamente in maniera positiva, allora ha superato l’esame.

Questi [mostra una serie di foto di studenti in aula] sono gli studenti con cui terrò il corso a distanza. Un grosso problema è la lingua: su cinquantatré, solo quattro parlano inglese, gli altri kurdo o turco, qualcuno russo – di conseguenza, dovrò tenere le mie lezioni in inglese, che verranno tradotte dagli studenti che conoscono l’inglese in kurdo. Queste [mostra altre foto] illustrano un altro progetto della Staffetta Sanitaria – la costruzione di un ospedale con due ambulatori e dieci posti letto.

Questi sono i progetti in atto. L’anno prossimo dovrebbe partirne un altro, legato alla costruzione di protesi con stampanti 3d: su questo progetto si sono attivati una serie di compagni legati all’Istituto di Tecnologia di Genova, all’Istituto di Fisica della Materia di Trieste e di un Collettivo che si occupa di Informatica che si vede al Forte Prenestino di Roma – l’obiettivo è riuscire a fabbricare in loco protesi di qualità per tutti coloro che hanno subito mutilazioni nel corso della guerra.

Termino qui. Le cose che vi ho raccontato hanno una ricaduta immediata e concreta e, in generale, dimostrano che è facile, partendo dalle proprie competenze, costruire solidarietà alla Rivoluzione del Rojawa che ha così tanto da insegnarci.

Ennio Carbone

Related posts