Ha destato molto scalpore la consulenza depositata presso la Procura di Bergamo dal noto microbiologo Andrea Crisanti, che riguarda l’inchiesta sulla gestione delle prime fasi dell’emergenza pandemica in cui sono coinvolti 19 indagati, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro Roberto Speranza, e il governatore della Lombardia Attilio Fontana. I punti critici della relazione Crisanti sono essenzialmente i seguenti:
1) già dal 12 febbraio 2020, cioè otto giorni prima del paziente 1, i componenti della task force del ministero e del Cts (Comitato tecnico scientifico) conoscevano “ la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia di fronte alla pandemia di Covid”. Esisteva già un Piano pandemico nazionale che però risaliva al 2006 e non era stato più aggiornato e che comunque venne scartato a priori in quanto “il piano era datato e non costruito specificamente su un coronavirus ma su un virus influenzale”;
2) in un altro passaggio della relazione Crisanti si sofferma sulla mancata zona rossa in Val Seriana. Si tratta della mancata chiusura dei comuni di Alzano Lombardo e Nembro nei primi giorni di marzo 2020 e, in questo caso viene citata una affermazione del presidente Conte quando, nella riunione del 2 marzo 2020 dice che “la zona rossa va utilizzata con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto elevato”. Nella consulenza Crisanti, attraverso un “modello matematico” stima che misure più restrittive e tempestive, come la zona rossa, avrebbero “permesso di evitare, con una probabilità del 95%, rispettivamente 4.148 e 2.659 decessi”;
3) sempre nella consulenza, Crisanti sottolinea che il ministero e il Cts erano “consapevoli della difficoltà di reperire Dpi (Dispositivi di protezione individuale) e materiali per la loro produzione” oltre che della carenza di mascherine chirurgiche e di Ffp2, e quindi conoscevano “la situazione di vulnerabilità in cui si trovava l’Italia e del rischio a cui avrebbero esposto la popolazione e gli operatori sanitari non prendendo iniziative idonee”;
4) secondo Crisanti un’altra ombra riguarda la decisione di non effettuare subito i tamponi agli asintomatici. Il 24 febbraio 2020 “il Cts evidenziava che in assenza di sintomi il test era ingiustificato” parlando del rischio di “una sovrastima del fenomeno sul Paese”. Una indicazione che “avrà gravi conseguenze invece per comprendere cosa stava realmente accadendo”, perché il “conteggio dei casi asintomatici” avrebbe dato “informazioni cruciali sull’entità della diffusione” del Covid.
In questo articolo tuttavia non ci interessa tanto seguire le vicissitudini della vicenda giudiziaria o le eventuali “rese dei conti” fra i vari gruppi politici interessati, quanto ribadire, ancora una volta, le tesi, già più volte esposte, sull’origine della pandemia da SarsCov2 e sui comportamenti conseguenti delle autorità e delle istituzioni entro i limiti imposti dalle compatibilità capitalistiche.
La prima cosa da sottolineare è che l’affermazione secondo cui la pandemia da Covid-19 sarebbe stata un evento inaspettato e imprevedibile è palesemente falsa. La comparsa e la successione in epoca recente di epidemie e pandemie dovute a mutazioni virali, dal virus HIV/AIDS degli anni 80/90 alla SARS del 2003, dall’influenza aviaria del 2013 all’influenza suina, dalla Mers dei cammelli all’attuale coronavirus Covid-19, avrebbero dovuto mettere in allarme un sistema sanitario pubblico minimamente efficiente, cosa che non è avvenuta. Il mancato aggiornamento del Piano pandemico nazionale è solo la conseguenza evidente di questa sottovalutazione o voluta dimenticanza. Eppure nella scienza medica esiste una branca, denominata “epidemiologia”, che studia appunto il sorgere e l’evolversi delle epidemie, comunque un sapere evidentemente trascurato, in quanto mirato soprattutto alla prevenzione delle malattie piuttosto che alla cura. Nella confusione che caratterizza oggi il sistema sanitario scompare la prevenzione. In campo medico si parla molto poco di inquinamento ambientale e sui luoghi di lavoro, delle scorie chimiche, delle malattie da onde elettromagnetiche (cellulari, antenne, ripetitori, cavi elettrici ecc.), delle radiazioni nucleari (dopo Chernobyl e la guerra in Jugoslavia con le bombe a uranio impoverito gettate nell’Adriatico c’è stato un forte aumento delle malattie della tiroide e dei tumori), delle malattie psichiche da stress lavorativo, da mobbing, da rapporti sociali e interpersonali sempre più conflittuali.(1) Soprattutto compito della prevenzione sarebbe quello di evitare il manifestarsi di malattie conclamate, cosa che evidentemente contrasta con la tendenza, sempre più accentuata, a realizzare profitti proprio sulle malattie stesse. Una vera medicina del territorio deve affrontare tutti questi problemi con mentalità aperta, collegandosi a collettivi di quartiere, associazioni ecologiche, a movimenti per una alimentazione più naturale ecc. operanti sul territorio. Tutto questo comporta un profondo sconvolgimento delle relazioni sociali e della cultura dominante che un capitalismo in profonda crisi strutturale non sembra in grado di compiere.
Se poi passiamo alle cause che hanno dato origine alla pandemia esse sono da ricercarsi nel modello di sviluppo capitalistico, che comporta deforestazioni, grandi monoculture, allevamenti intensivi e distruzione dell’ambiente naturale e che hanno così provocato lo “spillover”, cioè il salto di specie del virus. Tutte cause comunque riconducibili al tipo di sviluppo distorto generato da un capitalismo selvaggio in fase di declino storico.(2) Alcuni autori hanno chiamato in causa, come fattore favorevole allo sviluppo dei virus e alle loro mutazioni, il sovraffollamento presente nelle grandi megalopoli moderne con decine di milioni di abitanti, altri hanno parlato di un rapporto cambiato fra specie umana e specie animali, a causa degli allevamenti intensivi e della presenza nelle grandi città di volatili che non c’erano prima, dai pipistrelli ai gabbiani. Tutte conseguenze queste di un rapporto alterato fra genere umano e mondo naturale in un’era che gli esperti definiscono come “antropocene”, o, per meglio dire, “capitalocene”. Per non parlare poi dell’inquinamento atmosferico, o, meglio, della presenza nell’aria delle polveri sottili che costituiscono un ottimo veicolo per la diffusione del virus nell’ambiente. Una circostanza questa che potrebbe spiegare la più rapida diffusione del virus in pianura padana rispetto alle regioni del Sud.
Il capitalismo quindi non può rimuovere le cause di questa pandemia, o di altre che seguiranno. Stando così le cose l’unica possibilità che rimane al capitalismo è quella di trasformare la pandemia in endemia, cioè renderla cronica come avvenuto con altre malattie come ipertensione e diabete. Ciò rende possibile continuare la produzione, e quindi l’accumulazione di profitti, oltre ad essere perfettamente conveniente per gli interessi delle multinazionali del farmaco. A titolo di esempio per il 2022 Pfizer prevede un fatturato record, grazie alla vendita dei vaccini anti Covid stimata a $32 miliardi e alle vendite della pillola anti Covid, attese per $22 miliardi.(3)
Per quanto riguarda la mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro è evidente che la chiusura dei comuni non è stata decisa per evitare la chiusura delle fabbriche presenti nella zona industriale della valle. Penso che a questo si riferisse il presidente Conte quando parlava di “un costo sociale, politico ed economico molto elevato”. Solo il 22 marzo il governo decideva di chiudere le attività produttive non essenziali e “non rilevanti per la produzione nazionale”, una definizione che lasciava comunque ampi margini di flessibilità. Mentre, al contrario, nella situazione di emergenza la classe operaia ha riacquistato visibilità, concretezza e forza nel conflitto: gli scioperi che si sono succeduti allora in diversi stabilimenti hanno chiarito che “gli operai non ci stanno a morire per il profitto”, costringendo il governo a emanare una serie di misure, insufficienti comunque e peraltro non applicate nella maggioranza delle fabbriche.
La questione della carenza di Dpi e mascherine ha dato origine ad alcuni fenomeni che potevano far ritornare alla mente situazioni tipiche di una economia di guerra. Per esempio la riconversione industriale in alcune fabbriche per la produzione di merci non più reperibili sul mercato nazionale, come le mascherine o i respiratori o i disinfettanti per le mani, ma si tratta, in questo caso, di fenomeni molto limitati, mentre la produzione di armi (quelle vere) è tranquillamente continuata, anche nell’emergenza. Niente di paragonabile con l’autarchia dei tempi di guerra naturalmente, caso mai si tratta oggi della interruzione di filiere produttive multinazionali, risultato della divisione internazionale del lavoro capitalistica affermatasi negli ultimi decenni, impropriamente definita “globalizzazione”, e da cui è difficile, o improbabile ritornare a una economia nazionale auto centrata.
Il fatto che per le esecuzioni dei tamponi si sia proceduto in modo disordinato e senza un piano predeterminato è dovuto alle carenze disastrose di una medicina pubblica sottoposta da decenni a tagli nei finanziamenti e a processi sempre più accelerati di privatizzazione e, in particolare, ai danni clamorosi provocati dallo smantellamento, ormai quasi completo, operato nei confronti della medicina del territorio, vale a dire della rete di distretti sanitari di quartiere, di ambulatori di medicina generale e di medicina scolastica, di centri vaccinali, di consultori familiari. Questa rete, per quanto imperfetta, consentiva almeno di tenere sotto controllo epidemiologico le malattie infettive presenti sul territorio e di intervenire al domicilio dei pazienti in caso di necessità. Proprio la mancanza di queste due fondamentali attività sanitarie è venuta drammaticamente in luce nella pandemia di Covid. In questa sede vogliamo solo ricordare che una efficiente medicina del territorio avrebbe evitato moltissimi decessi e contribuito a non intasare i reparti di terapia intensiva nella prima fase dell’epidemia, mentre gli indici di mortalità della pandemia potevano essere contenuti entro limiti minori se si fosse instaurata una adeguata terapia in una fase precoce della malattia, quando invece il protocollo del Ministero e dell’AIFA prescriveva solamente “tachipirina e vigile attesa”. Inoltre ancora adesso mancano dati certi sulla diffusione del contagio nei singoli territori, nei posti di lavoro, nelle residenze per anziani ecc., per non parlare dell’evidente fallimento della cosiddetta App Immuni. Una corretta prevenzione dell’epidemia richiederebbe l’individuazione tempestiva dei focolai di contagio e un piano di intervento coordinato di tutte le strutture sanitarie sul territorio con un monitoraggio continuo dei suoi sviluppi.
Per concludere è necessario riaffermare che la “scienza non è neutrale” ma sempre “di parte” (di classe). Questa è una delle scoperte fondamentali del 68, purtroppo oggi dimenticata. Tanto più quando la “scienza” diviene “autoritarismo e verità di stato”.
N O T E
1) In un convegno tenuto a Milano nell’aprile 2014 sulla privatizzazione della sanità uno dei temi trattati è stato proprio la crisi della medicina generale e della medicina preventiva del territorio. I materiali di questo incontro sono stati pubblicati in: Rete Solidale di Lotta (a cura di), La salute: un diritto universale. Disagio, malattia e cura ai tempi della crisi. Dibattito pubblico, Milano, 12 aprile 2014.
2) A questo proposito vedi: CHUANG – Social Contagion – Guerra di classe microbiologica in Cina – Covid19: origini e conseguenze – 26 febbraio 2020 – http://chuangcn.org/
3) Wall Street Italia – Pfizer prevede fatturato record 2022 con vaccini e pillola anti-Covid. Nel IV trim. utile più che quadruplicato oltre $3 MLD – 8 febbraio 2022.
Visconte Grisi