Razzismo di Stato e supremazia bianca europea. Gerarchia razziale nella crisi umanitaria in Ucraina.

Lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia ha portato numerose persone a fuggire dal paese governato da Zelensky. Secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), in Ucraina vi sono 470.000 cittadini stranieri, tra cui un gran numero di studenti e lavoratori; almeno 6.000 di loro sono arrivati in Moldavia e Slovacchia negli ultimi cinque giorni e molti altri hanno attraversato la Polonia.

Il trattamento preferenziale adottato dal governo ucraino consiste nel far andare via prima gli ucraini, chiedendo alle persone africane e asiatiche di pagare per lasciare il paese. Di fronte alle proteste dell’Unione Africana, il viceministro dell’Interno ucraino Anton Herashenko ha negato che il suo paese stesse ostacolando l’uscita degli stranieri: “stiamo rilasciando per primi le donne e i bambini. Gli uomini stranieri devono aspettare che le donne e i bambini si facciano avanti. Rilasceremo tutti gli stranieri senza ostacoli.”

Le testimonianze

Dalle testimonianze pervenute, però, si assiste ad un quadro molto più drammatico. Chineye Mbagwu, una dottoressa ventiquattrenne nigeriana che viveva a Ivano-Frankivsk, ha detto di aver trascorso più di due giorni bloccata al valico di frontiera Polonia-Ucraina mentre le guardie lasciavano passare gli ucraini: “Le guardie di frontiera ucraine non ci stavano lasciando passare. Picchiavano le persone con dei bastoni. Li schiaffeggiavano e li spingevano in fondo alla fila. È stato terribile.” La ragazza è riuscita a raggiungere Varsavia facendosi strada lungo il confine nonostante le guardie ucraine facessero passare solo le donne e i bambini ucraini: “Ogni volta che una donna nera cercava di passare, dicevano: ‘Prima le nostre donne’”.

Grace Kass, ventiquattrenne della Repubblica Democratica del Congo, era giunta a Kharkiv in Ucraina per studiare ingegneria, imparare le lingue ucraina e russa mantenendosi come truccatrice. Fuggita dalla città, Kass ha raggiunto la città di Leopoli al confine tra Ucraina e Polonia. In una dichiarazione rilasciata alla rivista settimanale Time, Kass ha documentato come lei e altre donne africane siano state costrette ad aspettare fuori dai treni e sotto la neve, mentre le donne bianche con bambini potevano salire prima di loro. Secondo Kass, vi sono stati pestaggi (calci, pugni e manganellate) da parte della polizia ucraina ai danni di uomini nepalesi, indiani e somali. L’unica ragione per cui lei e altre donne non sono state picchiate è stata per il loro genere di appartenenza.

Ahmed Habboubi, uno studente di medicina franco-tunisino di 22 anni, si è recato ad un cancello al valico tra l’Ucraina e la Polonia. Gli ucraini passavano liberamente mentre il resto della folla doveva attendere per delle ore. In un’intervista, il ragazzo ha detto: “L’esercito ucraino mi ha picchiato così tanto che non riuscivo a camminare correttamente. Quando finalmente sono riuscito ad entrare in Polonia, le autorità polacche mi hanno portato direttamente in ospedale. Era il caos assoluto. Siamo stati trattati come animali. Ci sono ancora migliaia di persone bloccate lì”.

Queste testimonianze, insieme a tante altre,[1] dimostrano in sostanza la totale disumanità e ferocia del potere istituzionale e confermano l’idea che i confini sono un vero e proprio strumento di discriminazione e, spesso, di morte. Se in certi casi la guardia di frontiera ucraina può essere risultata meno violenta, questa, però, ha in ogni caso seguito dei protocolli operativi consistenti nel dividere le persone rifugiate in base al colore della pelle.

La situazione sembra essere più o meno difficile a seconda delle varie zone di confine che le persone africane e asiatiche cercano di attraversare. Questo, lungi dall’essere frutto della bontà delle guardie di confine (ucraine e non solo), è dipeso dalla presenza di organizzazioni per l’aiuto umanitario e, soprattutto, dalla presenza di rappresentanti ufficiali di diversi Stati, perlopiù africani, che si sono presentati ai confini per aiutare i loro connazionali a scappare: sui social media c’è stata un’intensa circolazione di materiale informativo per gli studenti africani, con nomi, numeri di telefono e luoghi di confine dove potevano trovare queste figure istituzionali del loro paese.

Il razzismo istituzionale

Il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari, in una dichiarazione sull’attuale situazione russo-ucraina, segnala il trattamento riservato alle persone africane, in particolare nigeriane, presenti in Ucraina: “Da prove video, resoconti di prima mano, e da coloro che sono in contatto con i loro assistiti e/o funzionari consolari nigeriani, ci sono state spiacevoli segnalazioni di come la polizia e il personale di sicurezza ucraino si siano rifiutati di permettere ai nigeriani di salire su autobus e treni diretti verso il confine tra Ucraina e Polonia. In un video che circola ampiamente sui social media, una madre nigeriana con il suo bambino piccolo, è stata filmata mentre veniva fisicamente costretta a cedere il suo posto ad un’altra persona. Ci sono anche rapporti separati di funzionari polacchi che, semplicemente, rifiutano di far entrare i cittadini nigeriani in Polonia dall’Ucraina. Ad un gruppo di studenti nigeriani è stato ripetutamente rifiutato l’ingresso in Polonia; hanno concluso di non avere scelta se non attraversare di nuovo l’Ucraina e tentare di uscire dal paese attraverso il confine con l’Ungheria.”

Piotr Mueller, il portavoce del primo ministro polacco, ha negato le parole di Buhari dicendo: “(…) la Polonia sta facendo entrare tutti quelli che arrivano dall’Ucraina, indipendentemente dalla loro nazionalità.” Le parole di Mueller mal coincidono però con ciò che avviene nel paese governato dal partito “Diritto e Giustizia”.

La giornalista Anna Mikulska di OKO Press, un sito giornalistico che si occupa di diritti umani e valori democratici, riporta il video dell’attacco effettuato da gruppi polacchi di estrema destra alla stazione ferroviaria di Przemyśl contro Humanity First Germany, una ONG che si occupa di supporto umanitario e contro un gruppo di persone africane in transito.

Jan Moss, un volontario dell’organizzazione umanitaria polacca Grupa Zagranica, ha detto che mentre i rifugiati sono stati accolti in molti varchi fuori dall’Ucraina senza alcuna forma di discriminazione, l’accoglienza vicino al piccolo paese di Medyka del Distretto di Przemyśl (Polonia) è stata più problematica perché le persone arrivate sono state divise in base ad un “profiling razziale”. Il volontario ha aggiunto che gli ucraini e i polacchi sono stati autorizzati a passare attraverso la corsia dei veicoli, mentre gli stranieri dovevano transitare su quella pedonale – processo che si divide in tre fasi e può durare dalle 14 alle 50 ore.

Queste forme di violenze razziali in Polonia non sono nuove e rappresentano in pieno lo schema politico dell’attuale governo polacco e dei loro lacchè contro le persone che richiedono asilo. Situazioni del genere fanno il paio con quel che avviene al confine con la Bielorussia, dove l’esercito polacco respinge continuamente i richiedenti asilo (provenienti dall’Afghanistan, Iraq o Iran) nei boschi, condannandoli ad una sicura morte per ipotermia, annegamento o di fame.[2] Tutto questo perché tali persone non appartengono alla pura razza bianca tanto decantata dai gruppi e partiti fascisti presenti in Polonia.

Tornando alla crisi umanitaria in corso, la solidarietà e l’umanità mostrata verso il popolo ucraino rivelano, secondo il politologo Ziad Majed, una “scioccante distinzione tra i cittadini ucraini e i rifugiati del Medio Oriente. Quando senti certi commenti che parlano di ‘gente come noi’, si suggerisce che quelli che vengono dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan o dall’Africa non lo sono”.

Questo concetto”, continua Majed, “è stato accennato negli ultimi giorni da alti politici europei – molti dei quali hanno tracciato una divisione intenzionale tra i rifugiati bianchi e le loro controparti non bianche”.

Tra le tante dichiarazioni in tal senso, ci sono state quelle di giornalisti di TV europee e statunitensi che hanno fatto una netta distinzione, ad esempio, tra i rifugiati siriani arrivati negli scorsi anni e gli ucraini in fuga adesso, quest’ultime persone “relativamente civilizzate e relativamente europee” e “persone come noi”.

Sul versante politico, sono rivelatorie del doppio standard le parole di Kiril Petkov, attuale primo ministro bulgaro e co-fondatore del partito “Continuiamo il Cambiamento”: “Questi [in riferimento agli ucraini] non sono i rifugiati cui siamo abituati. Queste persone sono intelligenti, sono persone istruite. Questa non è l’ondata di rifugiati a cui siamo stati abituati: persone di cui non siamo sicuri dell’identità, persone con un passato poco chiaro, persone che potrebbero essere state terroristi.” Così come non devono passare inosservate le parole dell’ex procuratore generale ucraino David Sakvarelidze che, intervistato dalla BBC due giorni dopo l’invasione, ha detto: “È stato commovente per me vedere europei con capelli biondi e occhi azzurri uccisi ogni giorno dai missili di Putin”.

La discriminazione razziale messa in atto da una serie di media, partiti e personalità istituzionali europei, è un megafono che, in tempi di sindemia e di crisi economica globale, può sempre tornare utile per chi vuol dominare. Le basi di questa discriminazione razziale vanno ricercate da una supposta posizione dominante di una razza (quella bianca) su una o più razze subordinate (asiatiche, africane, ecc).

Nonostante siano passati secoli, le giustificazioni che troviamo non si discostano poi tanto da sonore idiozie come, ad esempio, la “Maledizione di Cam”, “l’Ebreo Errante” o la teoria della “schiavitù naturale” aristotelica. Tali teorie, tutte di matrici europee, sono state le basi per dominare culturalmente, legislativamente ed economicamente una massa di individui che stanno al di fuori dei canoni della razza bianca.

Benché i media mainstream e il mondo politico cerchino di ammaestrarci a pensare che il razzismo istituzionale in Europa non esista e il suprematismo bianco sia una prerogativa prettamente statunitense (ricordiamoci di come tutti i media europei erano pro-afroamericani all’indomani della rivolta del 2020), i fatti a cui stiamo assistendo oggi giorno ci dimostrano la più totale ipocrisia di questi personaggi, delle istituzioni che rappresentano e dei mezzi di informazione. Costoro, che fino a ieri si spendevano, a parole, nel condannare il razzismo oltre oceano, oggi mettono in atto gli stessi meccanismi di protezione razziale tipici della whiteness statunitense.

Aggiornamenti

Caso polacco

Da una testimonianza di uno studente nigeriano, si è scoperto che le persone africane provenienti dall’Ucraina sono state rinchiuse all’interno di strutture note come “centri chiusi per gli stranieri”. Questo comportamento discriminatorio contro le persone africane in fuga dalla guerra in Ucraina è stato riportato da The Indipendent e da Lighthouse Reports, un’organizzazione giornalistica investigativa senza scopo di lucro.

Le strutture in questione sono simili a delle prigioni perché le persone lì rinchiuse non possono uscire, non hanno a disposizione assistenza legale ed i loro telefonini sono stati sequestrati. Ciò avviene in barba alla direttiva di protezione del 4 Marzo emessa dall’Unione Europea che permette alle persone rifugiate di vivere e lavorare in un paese per almeno un anno e si applica anche ai “cittadini di paesi terzi diversi dall’Ucraina che risiedono legalmente in Ucraina e che non sono in grado di tornare in condizioni sicure e durevoli nel loro paese o regione di origine”.

Aya Chebbi, una femminista panafricana e diplomatica che risiede in Tunisia e ha lavorato con donne e giovani, ha definito tali modalità discriminanti tipici da “mentalità coloniale” e guerresca.

Quel che accade in Polonia, dice Chebbi, non è sorprendente ed è una situazione simile accaduta in Libia: “Questo è orribile, ma è previsto. Non è una novità il modo in cui l’Europa bianca tratta i neri africani. Non è niente di nuovo. È la storia dell’Europa. Ma potremmo prevenirlo”, ha detto. “Penso che questa situazione abbia bisogno di attenzione adesso, e dobbiamo fare rumore perché potremmo prevenirlo. Se quel campo viene chiuso, se la Polonia viene ritenuta responsabile, allora non può diffondersi da una parte all’altra. E tutti gli studenti africani dovrebbero essere in grado di avere un passaggio sicuro per i loro paesi o per andare in altri paesi quando non possono tornare indietro”.

Caso di migranti presenti nelle strutture detentive ucraine

Diverse decine di persone migranti sono rimaste intrappolate nel centro di accoglienza per migranti di Zhuravychi, un paese che si trova nell’Oblast’ di Volinia, regione dell’Ucraina che si trova al confine con la Polonia e la Bielorussia e fatta oggetto di bombardamenti. La struttura in questione, più che per l’accoglienza, ha una funzione detentiva. L’Unione Europea ha finanziato questa struttura (e altre due presenti in Ucraina) con lo scopo di confinare i richiedenti asilo – alcuni dei quali respinti dall’Unione Europea stessa. Tra i finanziamenti dell’UE verso il centro detentivo di Zhuravychi vi è quello di 1,7 milioni di euro per le serrature elettroniche delle porte ed elementi di protezione alle finestre.

Human Rights Watch (HRW) ha denunciato la continua detenzione di persone migranti nella struttura durante la guerra. In un rapporto pubblicato lunedì 4 aprile, HRW ha detto che il suo staff ha intervistato per telefono quattro uomini che sono detenuti a Zhuravychi dall’inizio di marzo. Secondo HRW, tutti e quattro gli uomini hanno detto di essere stati detenuti nei mesi precedenti l’invasione russa per aver cercato di attraversare irregolarmente il confine con la Polonia.

I migranti e i richiedenti asilo sono attualmente rinchiusi nel mezzo di una zona di guerra e giustamente terrorizzati”, ha detto Nadia Hardman, una ricercatrice dei diritti dei rifugiati e dei migranti con HRW, “non ci sono scuse, a più di un mese da questo conflitto, per tenere i civili in detenzione per immigrazione. Dovrebbero essere immediatamente rilasciati e autorizzati a cercare rifugio e sicurezza come tutti gli altri civili”.

Gruppo Anarchico Galatea-FAI Catania

Questo articolo esce in forma ridotta per la versione cartacea di Umanità Nova. La versione completa si può trovare sul sito del Gruppo Anarchico Galatea (gruppoanarchicogalatea.noblogs.org)

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