Quanti sono stati gli astenuti alle ultime elezioni regionali? Molti commentatori, e anche qualche politico, hanno commentato la crescita dell’astensionismo, ma i dati reali, i numeri rimangono oscuri. Innani tutto in due regioni, la Toscana e le Marche, il numero degli astenuti suopera quello dei votanti, e questo senza tener conto delle schede bianche e nulle; inoltre secondo i dati del Ministero degli Interni la media dei votanti, nelle regioni interessate al voto, è stata del 53,90%. Questo è l’unico dato che dà la pagina internet del Ministero degli Interni dedicato alle elezioni regionali, non c’è il numero dei votanti, né quello degli elettori, né tanto meno quello degli astenuti.
Per trovare il numero degli astenuti, quindi, bisogna trovare prima la percentuale, per sottrazione dalla percentuale dei votanti e poi, con la percentuale trovata, calcolare il numero assoluto degli astenuti, applicandola al numero assoluto degli elettori che va cercato su internet, e che non è disponibile sulla pagina delle elezioni.
Ebbene, al termine di questi calcoli il numero degli astenuti è di 8 milioni e 748 mila. Non si tratta di otto milioni di rivoluzionari, si tratta di otto milioni di persone che hanno perso fiducia nel sistema democratico, che non si sentono rappresentati dal ceto politico. Di questi, calcoliamo un dieci per cento che hanno raggiunto un’effettiva radicalizzazione politica, quasi 900 mila persone; su questa parte calcoliamo un dieci per cento che potrebbero essere disposte a trasformare la loro radicalizzazione politica in qualcosa di più concreto: solo nelle sette regioni interessate al voto di maggio possiamo stimare che ci sono quasi 90 mila persone verso cui possiamo rivolgere la nostra propaganda, la nostra propaganda, la nostra proposta di organizzazione.
Ci lasceranno il tempo di portare a termine questo lavoro lungo e paziente? Da tempo governi, organizzazioni sovranazionali e agenzie private si occupano della crisi di legittimità che attanaglia i regimi delle grandi potenze imperialiste, crisi di legittimità aggravata dalla crisi econkmica e dalle politiche di austerità con cui le classi privilegiate cercano di scaricare i costi sui ceti popolari e sugli sfruttati. Prima dell’introduzione dell’euro, la Commissione Europea e i governi ad essa collegati studiarono attentamente le conseguenze economiche delle politiche restrittive sui bilanci, e delle conseguenze disastrose, di cui erano perfettamente consapevoli, sull’occupazione e sui redditi dei ceti più bassi. Erano anche consapevoli delle potenziali conseguenze in termini di ordine pubblico di quelle politiche. Alcuni anni dopo, nel 2010, Stratfor pubblica un articolo sulla crisi globale di legittimità, https://www.stratfor.com/weekly/20100503_global_crisis_legitimacy?utm_source=, ricollegandola alla crisi economica e alle politiche seguite dai governi. Stratfor (Strategic Forecasts, previsioni strategiche) è un’agenzia privata, composta da ex analisti dei servizi segreti, che si occupa appunto di previsioni, e le vende a chi ne ha bisogno, dai governi, alle multinazionali, a chiunque è interessato ed è capace di pagare. E’ ovvio che quello che circola liberamente in rete è meno accurato e, soprattutto, è già stato spremuto al massimo, cioè di questa crisi di legittimità si occupavano ormai da tempo. In questo articolo si sostiene che il rischio sistemico emerge quando appare evidente che le protezioni politiche e legali date dal governo agli attori economici, e in particolare ai membri dell’elite economica, vengono usate per arricchirsi, anzi che questa è la funzione della struttura politico-legale, e l’elite politica non intraprende nessuna azione per proteggere le vere vittime della crisi.
E’ ciò che sta esplodendo in Grecia in questi giorni, ma sono fenomeni che in questi anni tutti i paesi dell’Europa hanno visto; infatti per Stratfor è l’Europa il centro del rischio sistemico, a livello di stati nazionali, a livello di Eurozona, e a livello di Unione Europea. Secondo l’autore dell’articolo, le moderne nazioni possono essere rappresentate come composte di tre sistemi fondamentali, quello politico, quello economico e quello militare. Ciascuno di questi sistemi è gestito da elites; i tre sistemi intergiscono fra di loro, così che quando uno è in difficoltà, attraversa una crisi, gli altri compensano le difficoltà del primo. E’ implicito nel ragionamento, anche se l’autore non lo esprime, che quando la crisi economica mette in difficoltà l’elite finanziaria, e l’azione del governo volta a sostenerla genera un rischio sistemico, spetta all’apparato militare e alla sua elite farsi carico della salvezza del sistema.
La crisi di legittimità quindi, prima di portare ad uno sbocco rivoluzionario, porta alla crescente militarizzazione della società. In questa luce assumono un significato diverso sia l’amplificazione della minaccia terrorista, sia il crescente schieramento delle forze armate nelle nostre città. I governi hanno tutto l’interesse a provocare delle rivolte premature, improvvisate, da schiacciare con la repressione, in modo da mettere in condizione di non nuocere gli elementi più combattivi, prima che si sviluppi una maggiore presa di coscienza rivoluzionaria, l’organizzazione delle masse, la pratica di obiettivi di trasformazione sociale.
Il crescere del malcontento sociale, senza che si dia alle forze della repressionje la possibilità di intervenire in modo massiccio e risolutivo è la peggiore per il governo, che perde legittimità ogni giorno che passa, senza poter sostituire apertamente la violenza al consenso. Il crescere dell’astensionismo quindi, prima di portare ad un augurabile sbocco rivoluzionario, porta alla crescita della tensione sociale, dell’aggressivutà delle classi privilegiate e del Governo. E’ in quest’ottica che si spiegano i continui atteggiamenti provocatori delle istituzioni, l’atteggiamento irridente verso le rivendicazioni popolari, l’esibizione dell’autorità fino alla prepotenza più brutale, l’aperta rapina a danno dei lavoratori e dei pensionati, a vantaggio degli speculatori e dei banchieri, il dispregio per le stesse sentenze della magistratura, quando eccezionalmente si rivolgono contro i potenti.
Un governo che si comporta in questo modo punta a provocare la risposta popolare, sicuro della fedeltà dei propri sgherri, prima che il popolo si organizzi e si dia obiettivi concreti; è un governo che vede nell’uso della violenza l’unica ancora di salvezza, un uso della violenza che non ha intenzione di arretrare nemmeno di fronte alla guerra civile.
Gli anarchici sono contro la guerra, sono contro la violenza, ma di fronte alle provocazioni delle istituzioni saranno al loro posto. La storia ci insegna che in situazioni del genere molte sono le opzioni che si prosentano alle forze popolari e del movimento operaio, ma una sola è quella giusta. Si tratta di agire, non di discutere. Di fronte alla protervia del nemico, interrogarsi sulle ragioni dell’anarchismo finisce per indebolire le ragioni della nostra lotta, significa fare un favore al nemico. L’esperienza storica ci insegna che, dalla Russia al Messico, dall’Italia alla Spagna l’azione anarchica è stata incisiva quando si è legata alle lotte del movimento operaio; l’esperienza delle strutture di difesa della Confederacion Nacional del Trabajo, anima dell’insurrezione popolare contro il fascismo e il militarismo, non è concepibile senza l’esistenza di un’organizzazione di massa basata sull’autorganizzazione e l’azione diretta, senza l’esistenza di un’organizzazione anarchica unita sul piano teorico e strategico. Un’unità del movimento anarchico che porti ad annacquare questa strategia, che porti ad annacquare l’intransigenza rivoluzionaria dell’anarchismo, la sua minaccia vivente contro le classi privilegiate, la sua speranza per gli sfruttati di tutto il mondo, finirebbe per indebolire il ruolo del movimento nella guerra che le classi privilegiate hanno cominciato a combattere. La lotta contro l’autoritarismo del governo, contro il peggioramento delle condizioni dei ceti popolari può essere vinta se, anziché rivolgerci al ceto politico e alle sue componenti critiche, ci rivolgiamo alla maggioranza che non ha più fiducia, per orientarla ed organizzarla, sulla base del Programma Anarchico: si tratta di un lavoro di educazione e di organizzazione che deve essere compiuto accanto alle lotte particolari che portiamo avanti, ma che non si esaurisce in queste lotte. Nella misura in cui saremo in grado di svolgere questo lavoro, è possibile vincere la battaglia, è possibile che gli esiti della vittoria siano il più possibile vicini al nostro ideale. Per questo la presenza nelle lotte si deve accompagnare alla ricerca, casa per casa, posto di lavoro per posto di lavoro, scuola per scuola, degli astensionisti e all’organizzazione degli elementi più attivi. Ogni passo indietro nella chiarezza, teorica, strategica e organizzativa allontana questo obiettivo.
Tiziano Antonelli