Alessandro Dal Lago è morto il 26 marzo 2022: ci ha lasciato uno dei più noti sociologi italiani ed internazionali, che ha saputo nella sua vita coniugare le proprie ricerche scientifiche con gli interessi e le domande di chi si sentiva appartenere, pur senza riconoscersi in un gruppo specifico, all’attivismo sociale della sinistra radicale. Una relazione bidirezionale: da un lato Dal Lago indagava con gli strumenti delle varie scienze sociali i punti di interesse militanti dei movimenti – si pensi alla continua riflessione della figura del migrante quale prototipo dell’esclusione sociale[1] – dall’altro sapeva scorgere e indagare nella società gli elementi più generali del dominio dell’uomo sull’uomo – in particolar modo il senso della violenza nelle relazioni umane.[2] Ad esse affiancava una serie di analisi, sempre originali, su tantissimi altri temi tra cui, giusto per citarne qualcuno tra i tanti trattati da un autore poliedrico, il significato sociale e “religioso” dell’arte nella società contemporanea[3] e qualche incursione nel campo della filosofia,[4] dove cercò – ad avviso di un “benpensante”[5] come me con scarso successo – prima di creare una cornice epistemologica per le sue ricerche, poi di porre un argine al sempre più evidente franare di quel “pensiero debole” cui in qualche modo faceva riferimento.
In ogni modo, i suoi studi sociologici mostrano una notevole validità a prescindere dalle sue non sempre fortunate incursioni in campo filosofico. Alessandro Dal Lago è morto mentre è in corso, nel cuore dell’Europa industrializzata e nuclearizzata, una guerra: proveremo allora a ricordare brevemente qui alcune delle ricerche di Dal Lago che possono darci un senso del presente e, sperabilmente, trovare una via d’azione per uscire da una situazione quantomai pericolosa per le sorti dell’umanità e dell’intero ecosistema.
Innanzitutto, ovviamente, la guerra. Un testo come Carnefici e Spettatori. La Nostra Indifferenza verso la Crudeltà,[6] partendo da un confronto tra “la crudeltà degli antichi e dei moderni”, passando per la rappresentazione letteraria e documentaristica della prima età industriale in un periodo in cui la stampa era l’unico media disponibile per arrivare, infine, ai nostri giorni caratterizzati dai media audiovisuali, giunge a mostrarci con estremo dettaglio quali sono le strategie di comunicazione del potere durante i periodi bellici. Se un tempo – non è detto però che questi tempi siano finiti – la guerra era esplicitamente rappresentata come un dato positivo, espressione di una potenza imperiale data come valore in sé, oggi, dopo la prima metà del Novecento ed i suoi massacri, un senso diffuso di ripulsa popolare verso la guerra ha portato il potere a negare le guerre in quanto tali. Negarle ovviamente non nella loro realtà effettiva di massima espressione organizzata della crudeltà cui può giungere l’essere umano ma, invece e purtroppo soltanto, nella sua rappresentazione: la guerra non è mai tale e, poiché come diceva Dal Lago “la crudeltà è sempre degli altri”, essa diventa “operazione di polizia internazionale”, “peace keeping”, “aiuto ad un popolo martoriato” e quant’altro.
Oggi l’uso del termine “operazione militare speciale” da parte del governo russo mostra perciò ancora una volta, come già detto sulle pagine di questo giornale, come la vera colpa della Federazione Russa sia stata quella di voler imitare in tutto e per tutto le dinamiche di potere degli Stati Uniti d’America. Una guerra che vede da entrambe le parti, poi, l’uso di truppe speciali – in larga parte “contractors” – fenomeno che nel testo Dal Lago analizza nelle specificità presente nelle guerre dell’era industriale. Sempre in Carnefici e Spettatori. La Nostra Indifferenza verso la Crudeltà, troviamo anche l’analisi comparativa delle forme di crudeltà “sportivizzate” e rese spettacolo di consumo a pagamento, dai giochi gladiatori alla boxe, analisi presente come tema centrale nel suo ultimo testo pubblicato prima della morte: Sangue nell’Ottagono. Antropologia delle Arti Marziali Miste.[7] Dal Lago sottolinea i rapporti tra una simile pratica sportiva e le culture guerresche e le ideologie autoritarie – non a caso assai spesso i partecipanti alle varie ed anche contrapposte formazioni belliche, specie nelle ultime generazioni, ufficiali o ancor più “irregolari” sono passati per la pratica delle MMA, cosa che si può notare anche in questa guerra.
Infine, sempre quest’ultima guerra ci fa assistere ad uno spettacolo già analizzato in quella che è la produzione scientifica più famosa di Alessandro Dal Lago, l’analisi della devianza in senso ampio,[8] cioè una plateale divisione dei “migranti” buoni – ucraini, donne, vecchi, bambini ma non uomini dai 18 ai 60 anni che sarebbero dei disertori – da tutti gli altri che restano sporchi e cattivi – non provengono, infatti, né dai paesi occidentali né fuggono dalla guerra giusta. In altri termini, il lavoro di Dal Lago ci aveva fatto da tempo comprendere le dinamiche tutte politiche dell’esclusione sociale contemporanea – il che, tra l’altro, non fa certo scommettere sulla persistenza della categoria di “migrante buono” che, in questo momento, è appiccicata a donne, vecchi e bambini ucraini in fuga dalla guerra una volta che questa sarà terminata e, chissà, si scoprirà che una buona parte di questi avranno poca voglia di tornare nella madre patria.
Enrico Voccia
NOTE
[1] Vedi DAL LAGO, Alessandro, La Produzione della Devianza, Milano, Feltrinelli, 1981; ID., Giovani Stranieri e Criminali, Roma, Manifestolibri, 2001; ID., La Città e le Ombre. Crimini, Criminali, Cittadini, Milano, Feltrinelli, 2004; ID., Non-Persone. L’Esclusione dei Migranti in una Società Globale, Milano, Feltrinelli, 2004
[2] Vedi DAL LAGO, Alessandro, Descrizione di una Battaglia. I Rituali del Calcio, Bologna, Il Mulino, 1990: ID., Regalateci un Sogno. Miti e Realtà del Tifo Calcistico in Italia, Milano, Bompiani, 1992; ID., Polizia Globale. Guerra e Conflitti dopo l’11 Settembre, Ombre Corte, 2003; ID., Le Nostre Guerre, Roma, Manifestolibri, 2010; ID., Carnefici e Spettatori. La Nostra Indifferenza verso la Crudeltà, Milano, Raffaello Cortina, 2012; ID., Sangue nell’Ottagono. Antropologia delle Arti Marziali Miste, Bologna, Il Mulino, 2022.
[3] Vedi DAL LAGO, Alessandro e GIORDANO, Serena, Mercanti d’Aura. Logiche dell’Arte contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2006; ID, Fuori Cornice. L’Arte oltre l’Arte, Torino, Einaudi, 2008; ID., L’Artista e il Potere. Episodi di una Relazione Equivoca, Bologna, Il Mulino, 2014. Queste riflessioni di Dal Lago e Giordano sono, in effetti, la ripresa e l’approfondimento delle tesi di un “classico” del 1968 ad opera di Jean Gimpel, uno storico dell’arte anarchico già noto per le sue ricerche sui costruttori di cattedrali: il testo, “sessantottino” sia nella data di pubblicazione sia nello spirito che lo anima, è GIMPEL, Jean, Contro l’Arte e gli Artisti. Nascita di una Religione, traduzione italiana Torino, Bollati Boringhieri, 2000 e viene esplicitamente citato in Mercanti d’Aura. Logiche dell’Arte Contemporanea a p. 52 ed a p. 160.
[4] Vedi DAL LAGO, Alessandro, Oltre il Metodo. Interpretazione e Scienze Sociali, Milano, Unicopli, 1989; ID., I Benpensanti. Contro i Tutori dell’Ordine Filosofico, Genova, Il melangolo, 2014.
[5] Il “benpensante”, nella analisi presente nell’ultimo testo citato nella nota precedente, sarebbe chi ritiene che è impossibile e contraddittoria la tesi secondo la quale i concetti di “realtà” e “verità” sarebbero eliminabili o perlomeno relativizzabili fortemente, mentre, in realtà, si tratta di concetti “ubiquitari”, in altre parole ineliminabili e presenti surrettiziamente – di qui la contraddittorietà e, dunque, la falsità – nelle stesse tesi del “pensiero debole”.
[6] DAL LAGO, Alessandro, Carnefici e Spettatori. La Nostra Indifferenza verso la Crudeltà, op. cit.
[7]DAL LAGO, Alessandro, Sangue nell’Ottagono. Antropologia delle Arti Marziali Miste, op. cit. La denominazione “miste” di questo sport da combattimento è dovuta al fatto che gli atleti ricorrono ad un vasto repertorio di colpi e mosse provenienti da pugilato, dallo judo, dal jujitsu, dalla boxe thailandese, dal karate, dal savate, dalla capoeira, dalla lotta libera, insomma praticamente da ogni specialità e stile. Nonostante le apparenze da scontro da “fight club” ed il fatto che spesso i protagonisti si ritrovano letteralmente ricoperti di sangue, in realtà le regole limitano notevolmente i rischi per i partecipanti – i morti dopo un tradizionale incontro di boxe sono a decine, contro al massimo (la cosa è controversa) un solo incidente mortale nelle MMA.
[8] Vedi nota 1.