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Organizzazione formale e informale

Organizzazione formale e informale

Molti compagni, che hanno paura della parola più che della sostanza, o qualche volta questa sacrificano all’antipatia per quella, dicono che l’organizzazione non c’è bisogno di farla, ma che esiste già, di per se stessa.

È vero. L’uomo che pensa e e che lotta è un essere socievole per eccellenza, organizzabile ed organizzato. Quindi anche quei compagni che si dicono contrari all’organizzazione in fondo sono organizzati.

Solo, questa organizzazione, non avendo nome e forme esterne, fa le viste di non esistere, e serve per poter dito a noialtri: Vedete? senza organizzazione noi andiamo benissimo! – E serve anche a mascherare e dissimulare ciò che di poco coerente con il concetto d’autonomia integrale ci può essere nel funzionamento interno di tale organizzazione. Tali incongruenze sono inevitabili nella società odierna, ed io non me ne servo per combattere il metodo antifederalista; ma mi preme far osservare che dove mancano le forme esterne dell’organizzazione manca anche un mezzo importante di controllo per vedere quanto e fino a dove tale organizzazione si mantiene libertaria. Quando invece c’è una organizzazione visibile, la cui sostanza sia denunciata dalla sua forma, essa presta meglio il campo alla critica; e si possono di conseguenza meglio combattere ed eliminare, per quanto è possibile. in seno ad essa le manifestazioni antilibertarie.

Proprio cosi. L’organizzazione cosciente è utile anche perché è il miglior mezzo, – quando sia vera e sostanziale, e non soltanto formale – per impedire che un individuo o un gruppo accentri in se tutto il lavoro di propaganda e di agitazione e diventi troppo l’arbitro dcl movimento. I non organizzati, o

meglio quelli che sono organizzati senza saperlo e che perciò si credono più autonomi degli altri, possono essere molto più degli organizzati preda del conferenziere eloquente che passa, del compagno più attivo, del gruppo più intraprendente e del giornale meglio fatto. Essi sono incoscientemente organizzati dal conferenziere, dall’agitatore, dal giornale; e finché questi fanno opera buona tutto va bene, ma se prendono un falso dirizzone… buona notte! Prima che se ne accorgano passerà parecchio tempo. Invece gli anarchici che si sono organizzati da sé, sapendo ciò che fanno anche perché le forme esterne medesime loro rammentano che sono associati, e che discutono di partito preso ogni proposta, do chiunque essa parta. sono meno esposti alle sorprese; e appunto perché l’unione fa la forza, possono opporre una forza maggiore di resistenza alla suggestione dei compagni più intelligenti, più simpatici o più attivi. Essi sanno di essere organizzati, sono coscienti della loro organizzazione; ed è risaputo che è più difficile padroneggiare una massa di coscienti della propria situazione, che una quantità innumerevole di incoscienti.

Solo che. siccome anche gli organizzati sono uomini e tutta la virtù dell’organizzazione non li può salvare dal cadere in errore, e siccome, ripeto, nella società attuale la perfetta coerenza libertaria d’una organizzazione è impossibile (sarà poi proprio possibile anche in anarchia?), anche essi, per quanto in minor misura, offriranno spesso il fianco alla critica dei puri in teoria, poiché anche alla loro organizzazione avverrà di assumere più di una volta aspetti incoerenti o di produrre qualche manifestazione di centralizzazione o d’autoritarismo. Ma il torto loro, in confronto agli antiorganizzatori, consiste soltanto in questo: che la pagliuzza nel loro occhio è visibile a tutti perché c’è una organizzazione pubblica, mentre il trave negli occhi degli altri non si vede subito, -ciò che non toglie che questo faccia un danno molto maggiore al principio dell’anarchia.

Non si insisterà mai troppo in questa, che è una verità di fatto: che la mancanza di organizzazione visibile, normale e voluta da ciascuno dei suoi componenti. rende possibile lo stabilirsi di organizzazioni arbitrarie ancor meno libertarie, che credono di aver vinto ogni pericolo di autoritarismo solo col negare la propria essenza. E queste organizzazioni incoscienti costituiscono un pericolo maggiore poiché mettono il movimento anarchico a disposizione e a servizio dei più abili e dei più intriganti.

Oggi, la generalità degli anarchici è disorganizzata: ma appunto questa disorganizzazione formale fa sì che la massa dei compagni subisca il dominio intellettuale, senza controllo, di un direttore di giornale o di un conferenziere. È una forma di organizzazione anche questa, ma meno anarchica, perché più accentrata e più personale.

Noi vogliamo insomma una organizzazione cosciente, che dipenda dalla nostra volontà, per non essere costretti a subire una organizzazione incosciente e inconfessata. Siccome c’è da far trionfare qualche cosa di determinato e preciso, c’è la necessità di organizzarsi di fatto, non solo di nome, perché no farà soltanto bisogno di coscienze ma anche di quantità. L’essere in molti non guasta davvero … Ma non si creda che noi vogliamo porre in assoluta antitesi le parole: coscienza e quantità. Si può essere in molti anche essendo coscienti; e del resto anche se i coscienti fossero pochi, Il farsi aiutare dai meno coscienti non li farà certo diventare incoscienti. Senza contare che meno coscienti nell’organizzazione al contatto dei coscienti, acquistano la coscienza che lor manca, chi più chi meno a seconda dell’intelligenza e buona volontà. Anche quando non si organizzati, non può darsi che molti, attratti nell’orbita nell’azione da un individuo o da un gruppo più simpatico, intelligente o attivo, sieno anch’essi incoscienti? Solo che in questo caso molti, che potrebbero essere attirati sul terreno della lotta, aiutarla e in seguito divenire coscienti, dall’assenza dell’organizzazione sono lasciati nel buio e nell’inerzia.

Ma poi, intendiamoci bene una buona volta su questa benedetta coscienza! ci si dice: “o la vostra organizzazione è fatta di coscienti, e allora è inutile l’organizzazione (errore anche questo ma… lasciamo stare), o è fatta di incoscienti, e allora è dannosa perché travia e diventa centralizzata, autoritaria” Ecc. Rammentiamo subito che, siccome anche quelli che si dicono antiorganizzatori, nel fatto, se non vogliono isolarsi dalla vita e dalla lotta, primo o poi e bene o male s’organizzano, l’obiezione vale anche contro chi la move. Però essa è lo stesso un’obiezione sbagliata. Non si è coscienti o incoscienti in modo assoluto; la coscienza è una cosa relativa e multiforme. Ci sono dei più coscienti ed dei meno coscienti: e fra l’assoluto (inesistente del resto) della virtù-coscienza del vizio-incoscienza, c’è tale una scala di gradazione lunga come quella di Giacobbe. Così si può essere un cosciente rivoluzionario e insieme un anarchico poco coerente; e un anarchico coerente fino allo scrupolo bigotto, può essere addirittura negazione del rivoluzionario. Eppure tanto l’uno che l’altro a tempo e luogo sono stati utili all’anarchia, come sono utili tanto quelli che sono coscienti (permettetemi il paragone) a 10 gradi centigradi, come quelli a 100.

Del resto uno dei cosiddetti incoscienti, se accetta di stare in un’organizzazione anarchica e ci aiuta nella lotta, sarà sempre meglio e un tanto di guadagnato, che se non ci fosse: egli sarà in ogni modo più cosciente di quelli che sono nell’oscurantismo e giacciono nelle l’inazione, o peggio militano contro di noi, forza bruta in mano del prete e del tenente dei carabinieri. Se l’organizzazione non servisse altro che a far numero , e serve invece a tante altre cose, anche non tenendo conto della cultura che diffonde, delle cognizioni di idee che col contatto continuo aumenta fra gli organizzati, solo per questo sarebbe utile come fattrice di coscienza individuale e collettiva.

Ma, la propaganda determinata degli anarchici organizzatori è anche una forma, una manifestazione per preparare la società futura, una collaborazione a quel dato costituirsi gradatamente di essa, un mezzo per influire sull’ambiente e cambiarne le condizioni. Anche altri lavorano alla stessa opera di accordo. Ma noi vogliamo lavorare in un certo modo che crediamo più efficace, e scegliamo certe forme di lotta più consentanee al nostro modo di vedere e, se si vuole, al nostro temperamento. Dopotutto, sarà esso un modo come un altro di divisione del lavoro.

Appunto per contribuire più potentemente alla formazione di un ambiente libero, e per influire sul proletariato per lanciarlo nella lotta contro il capitale in modo più proficuo e più organicamente, noi anarchici che abbiamo uno speciale concetto della lotta e del movimento, intendiamo in precedenza accordarci sul come, senza perdita di sforzi, possiamo dare tale contributo ed esercitare simile influenza. Se ciò attirasse il proletariato nelle nostre file, nel nostro partito, tanto meglio; vuol dire che avremo saputo far bene la propaganda e avremo saputo avvicinarci alla rivoluzione e al trionfo dell’anarchia.

Luigi Fabbri

da: “L’organizzazione anarchica”

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