“Economia di guerra” è un’espressione che leggiamo spesso, ma quali aspetti di tipo economico o sociale la caratterizzano?
Quando si parla di economia di guerra, ci si riferisce ad una serie di attività e di scelte politiche, messe in piedi da uno Stato per mobilizzare la sua economia verso una produzione finalizzata alla guerra. L’economia di guerra è l’adeguamento di un intero sistema produttivo allo sforzo bellico. La definizione, piuttosto ampia, riguarda diversi aspetti, che vanno dall’industria all’energia fino alla composizione della spesa e dei consumi.
Possiamo dire di essere, in questo momento, in un’economia di guerra?
La questione è controversa, e forse a prima vista diremmo con certezza di no, perché Stellantis continua a produrre auto, ma in realtà sono presenti alcuni segnali economico finanziari, ed è in atto un importante spostamento di risorse economiche sul settore militare. La corsa al riarmo, l’impegno ucraino, le missioni all’estero a difesa dei siti estrattivi, stanno drenando risorse sempre maggiori, che necessariamente verranno a mancare in altri settori. Il definanziamento della spesa sociale, tra cui sanità e scuola, tuttavia è iniziato molto prima (il blocco del turn over nella sanità risale al 2009), ma la contraddizione evidente è che mentre si chiedono sacrifici a tutt* l* sfruttat*, tagliando ancora i servizi, le risorse per la guerra vengono sempre reperite.
Solo alcuni dati di quella che è una vera e propria riduzione del “salario indiretto” costituito dalla sanità pubblica per tutt*: consultori attivi sul territorio –60% rispetto a quanto previsto dalla L.34/1996, mancano 70.000 infermieri (fonte FNOPI), solo in Toscana mancano 700 medici, chiusi ospedali e PS. Nella nota di aggiornamento al DEF 2023 per il periodo 2022–2026 la spesa sanitaria passa dal 6,9% al 6,2% del PIL.
Se ci spostiamo al Documento programmatico del Ministero della Difesa la musica cambia: la spesa per il solo ammodernamento delle strutture militari e per la realizzazione di nuove basi e nuovi poligoni di tiro triplica: dagli 89,9 milioni di euro del 2022 ai 262,3 per il triennio 2023-2025. Dal progetto di costruzione di una nuova base a Coltano per i GIS (Gruppi di intervento speciale), alle 44 missioni militari all’estero, al sostegno di paesi in guerra come l’Ucraina (in barba all’art. 11 della Costituzione). L’ultimo atto, di questa politica bellicista, è l’approvazione della normativa europea ASAP (Act to Support Ammunition Product). Vengono dirottati 500 milioni dal bilancio europeo per la ricomposizione delle scorte di armi e munizioni e per fare fronte alle sempre maggiori richieste del governo ucraino. Ma soprattutto è consentito agli Stati di reindirizzare i soldi del PNRR e del Fondo di Coesione e sviluppo, destinati alle politiche sociali, verso le spese militari.
Una corsa al riarmo mondiale: +3,7% in termini reali (al netto dell’inflazione) nel 2022 fino a raggiungere i 2.240 miliardi di dollari, segnando un nuovo massimo storico nell’ottavo anno consecutivo di incremento globale della spesa. Lo rivela l’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI).
Si muore sui campi di battaglia, si muore di fame e di malattie per la devastazione ambientale e agricola, ma per qualcuno tutto questo è un affare: i profitti della Leonardo SPA sono aumentati del 51,81% nell’ultimo anno.
Si sono intensificate esercitazioni e grandi manovre, ostentazioni di potenza bellica, che aprono prospettive inquietanti di un’escalation pericolosa, con l’impiego di armi sempre più devastanti. Sta per prendere il via nei cieli tedeschi, quella che viene definita “la più grande esercitazione NATO”, con la partecipazione di Giappone, Svezia e Finlandia.
Coinvolgerà 25 Paesi, 250 aerei e circa 10.000 persone. L’operazione, denominata Air Defender 23, è in preparazione da anni, ma l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia l’ha resa certamente più urgente.
Intanto dall’Adriatico al Mar di Sardegna, si è conclusa da pochi giorni, l’esercitazione marittima e multidominio Mare Aperto 23-1, parte del principale ciclo addestrativo avanzato della Marina Militare, organizzato e condotto dal Comando in Capo della Squadra Navale. Vede impegnate forze e personale di 23 nazioni (13 Paesi NATO e 10 Partner), 41 unità navali tra navi e sommergibili, oltre ad aerei ed elicotteri dell’Aviazione Navale, reparti anfibi della Brigata Marina San Marco, incursori e subacquei del COMSUBIN, mezzi navali e aeromobili del Corpo delle Capitanerie di Porto, con l’aggiunta di mezzi e personale di Esercito, Aeronautica, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza. In totale circa 5.500 militari coinvolti insieme a personale civile proveniente da diversi istituti universitari e centri di ricerca.
Siamo già in un’ ECONOMIA DI GUERRA?
Alcuni dati a confronto:
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Aumento della spesa militare e potenziamento produzioni belliche (approvato piano ASAP)
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Impegno militare all’estero: confermate le linee strategiche già definite negli scorsi anni. L’impegno nell’Europa continentale, in particolare ad Est e nei Balcani; la presenza nel settore asiatico, con le importanti missioni in Libano e Iraq; lo sviluppo dell’intervento in Africa; il sempre più rilevante ruolo delle missioni navali e aeree: 39 missioni per cui viene richiesta la proroga, e 4 nuove missioni per cui il Governo richiede l’approvazione, una di addestramento alle forze armate dell’Ucraina, una in Libia, una in Niger e una in Burkina Faso.
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Militarizzazione dei territori e del mare: esercitazioni sempre più invasive e devastanti, il nuovo progetto “Civiltà del mare” presentato all’Accademia navale di Livorno lo scorso 27 marzo, fino alla nuova Base dei GIS a Coltano, e al potenziamento di Camp Darby.
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Militarizzazione della scuola e dell’università: percorsi di alternanza scuola lavoro (PCTO) c/o strutture militari, gite in caserma nel giorno della festa della Folgore, o nel centenario dell’Aeronautica Militare, progetti di ricerca universitari finanziati dalla Leonardo e corsi di lingua tenuti da militari delle forze Nato. Solo alcuni esempi. A questo proposito merita attenzione il lavoro di controinformazione e raccordo di esperienze dell’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola.
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Riduzione della spesa sociale: prosegue la politica di tagli alla sanità, alla scuola, alla tutela del territorio e degli ecosistemi, all’edilizia popolare. Con il Decreto Lavoro è stato eliminato il sostegno strutturale del reddito di cittadinanza, con sostegni inferiori e a scadenza. Nessun sostegno economico per donne e soggettività non conformi che intraprendono un percorso di fuoruscita dalla violenza di genere, altra reale emergenza della società patriarcale.
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Debito pubblico: intorno al 146,00% del PIL.
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Aumento dei prezzi: energia, materie prime, carburante, generi alimentari, servizi. L’indice dei prezzi FOI (Famiglie Operai Impiegati escluso tabacco) negli ultimi 12 mesi ha registrato un +7,6% (dati di maggio 2023).
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Aumento della tassazione e sconti agli evasori: rateizzazione fino a 10 anni delle tasse non pagate.
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Crisi alimentare: la devastazione dei territori ucraini in particolare, dovuta alle guerre in corso, ha ridotto la produzione agricola, causando una crisi alimentare anche nei paesi non direttamente coinvolti nei conflitti, e già in gravi difficoltà come il Libano. Ad aggravare la situazione c’è l’immane catastrofe ambientale causata dall’esplosione di bombe, proiettili, droni, missili, che avvelenano e continuano ad uccidere sui territori di battaglia e su quelli dove da decenni passano truppe, da un’esercitazione all’altra.
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Stagflazione: stagnazione economica congiunta alla presenza di inflazione, oggi intorno all’8,00%.
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Salari bloccati e aumento della povertà: (tetto massimo aumenti previsto dal DEF 2,5% mentre il salario reale rispetto al 1990 è diminuito del 3,00%) e l’indice IPCA (indice armonizzato dei prezzi al consumo) è aumentato dell’ 8,1% su base annua.
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Aumento della precarietà: il Decreto Legge 4 maggio 2023 n. 48 (cd Decreto Lavoro) riformula il vecchio reddito di cittadinanza, riducendone l’importo e la durata. Aumenta la flessibilità e la durata dei contratti a termine da 12 a 24 mesi e nei contratti di lavoro in regime di somministrazione vengono aboliti limiti qualitativi, quantitativi e di durata.
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Repressione del dissenso, delle lotte sociali e sindacali, delle persone migranti: denunce a chi non si adegua in silenzio, a chi dissente, dai giovani di Ultima Generazione all* attivist* transfemminist* di NUDM che hanno contestato la Ministra per la famiglia al salone del libro di Torino, passando per le minacce e le botte ai facchini di Mondo Convenienza in sciopero o all’immigrat* che si arrangia per sopravvivere con mille difficoltà sotto il ricatto del CPR o del foglio di via.
La chiusura delle frontiere e gli accordi del governo italiano con i dittatori di Libia, Tunisia, Turchia per i respingimenti di persone che fuggono da guerre, povertà, devastazioni sono un altro aspetto della guerra che si sta combattendo contro noi tutti sfruttati. Circa 600 persone naufragate pochi giorni fa a largo della Grecia, sono una delle ultime stragi.
Dati che mettono in evidenza una grande contraddizione tra la narrazione che ci viene propinata, dalla mancanza di risorse per i servizi alla colpevolizzazione di chi mette a rischio la vita per emigrare. Tutto questo stato di cose non ha nulla a che vedere con i nostri bisogni di vivere in armonia e cooperare per il bene comune nostro e del pianeta in cui viviamo.
Siamo in guerra, una guerra internazionale contro noi tutti sfruttati, senza distinzioni, a solo vantaggio del mantenimento del sistema imperialista, capitalista e patriarcale che ha ridotto in rovina la possibilità di vita sulla terra.
I piani dell’oppressione e dello sfruttamento sono interconnessi, i confini un tratto di penna arbitrario. Solo se riusciamo a costruire e far crescere una fitta rete di solidarietà tra le diverse lotte, autogestita dal basso, a partire dai territori, rafforzando il sindacalismo di base e conflittuale, possiamo inceppare il meccanismo che ci schiaccia e migliorare la nostra condizione di vita.
La guerra è ovunque, la nostra lotta anche!
Nadia